Il 5 novembre la procura libica ha annunciato l’arresto dell’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Osama Almasri Najim, accusato di torture nei confronti dei detenuti e ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi).

La procura ha precisato in un comunicato di aver raccolto informazioni su “violazioni dei diritti dei detenuti avvenute nel principale istituto penitenziario di Tripoli”, e in particolare di “atti di tortura e trattamenti crudeli e degradanti”.

Almasri si trova attualmente in custodia cautelare.

Ex capo della polizia giudiziaria e responsabile del centro di detenzione di Mitiga a Tripoli, Almasri è oggetto di un mandato d’arresto della Cpi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi a partire dal 2015.

“Gli inquirenti hanno condotto un interrogatorio sulle circostanze delle violazioni dei diritti di dieci detenuti e sulla morte di uno di loro in seguito ad atti di tortura”, ha affermato la procura.

Almasri era stato arrestato a gennaio in un hotel a Torino, in Italia, sulla base del mandato d’arresto della Cpi, ma era stato rilasciato due giorni dopo su ordine della corte d’appello di Roma per vizio procedurale ed espulso verso Tripoli a bordo di un aereo messo a disposizione dal governo italiano.

L’episodio aveva messo in forte imbarazzo la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni.

Una volta tornato a Tripoli, la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) aveva chiesto il suo arresto.

“Dal momento che Almasri è stato rimandato in Libia, chiediamo alle autorità libiche di arrestarlo e di aprire un’inchiesta sui suoi crimini, oppure di trasferirlo alla Cpi”, aveva affermato l’Unsmil.

Dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, la Libia è precipitata nel caos, con due autorità rivali che si contendono il potere: il governo guidato da Abdul Hamid Dbaibah a ovest, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello che fa capo al maresciallo Khalifa Haftar a est.

La Libia non ha mai aderito formalmente alla Cpi, ma nel maggio scorso il governo di Dbaibah, con sede a Tripoli, aveva trasmesso alla corte una dichiarazione ufficiale in cui accettava la sua giurisdizione “sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel paese a partire dal 2011”.