Il 17 settembre Julija Navalnaja, vedova dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj, morto in prigione in Russia il 16 febbraio 2024, ha affermato che suo marito è stato “avvelenato”, citando analisi effettuate in laboratori occidentali.
Navalnyj era morto a 47 anni in circostanze misteriose in una colonia penale nell’Artico, mentre scontava una condanna a 19 anni di reclusione per accuse che considerava politicamente motivate.
Dopo la sua morte, le autorità russe avevano rifiutato per giorni di consegnare il corpo alla famiglia, attirandosi le accuse di averlo “ucciso” e di voler “insabbiare il caso”.
Navalnaja, che oggi vive all’estero e ha assunto la guida del movimento del marito, ha ribadito la tesi dell’avvelenamento, aggiungendo che le sue affermazioni sono basate sulle analisi di “campioni biologici” prelevati dal corpo dopo la morte ed effettuate in laboratori occidentali.
“Due laboratori di paesi diversi sono giunti, indipendentemente l’uno dall’altro, alla conclusione che Aleksej è stato avvelenato”, ha dichiarato su Telegram e in un video.
In risposta a una domanda su queste accuse, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha affermato di non avere informazioni da condividere.
Navalnaja non ha reso pubbliche le analisi e ha precisato di non poter “ottenere i risultati ufficiali che indicano il tipo di veleno usato”.
Ha però riferito che il suo team ha avuto accesso alle testimonianze di cinque agenti penitenziari della colonia di Charp, dov’è morto Navalnyj. “Le testimonianze presentano alcune incongruenze, ma danno un’idea generale di ciò che è successo”, ha spiegato.
Un’ex stretta collaboratrice di Navalnyj, Marija Pevčich, ha affermato su Telegram che al momento della morte l’oppositore “si contorceva in terra, vomitava e urlava per il dolore” e che “invece di soccorrerlo le guardie l’hanno tenuto chiuso nella sua cella”.
L’ex braccio destro di Navalnyj, Leonid Volkov, ha accusato su Telegram il presidente russo Vladimir Putin di averlo “assassinato”.
Considerato il principale oppositore del Cremlino, Navalnyj era stato avvelenato una prima volta nel 2020 in Siberia con l’agente nervino Novichok, ed era stato ricoverato per mesi in Germania.
Era stato poi arrestato al suo ritorno in Russia, nel gennaio 2021, e condannato a varie pene detentive, sempre più dure. Molti dei suoi sostenitori erano stati imprigionati o erano fuggiti all’estero.