Il 10 giugno la corte suprema argentina ha confermato la condanna dell’ex presidente peronista Cristina Fernández a una pena detentiva di sei anni e all’ineleggibilità a vita per frode.
Secondo la corte, “le sentenze di primo e secondo grado erano basate su prove molto solide”. Di conseguenza, i giudici hanno respinto il ricorso presentato da Fernández, principale oppositrice del presidente ultraliberista Javier Milei.
Avendo 72 anni, Fernández sarà probabilmente messa agli arresti domiciliari e non in prigione. Avrà cinque giorni di tempo per consegnarsi alle autorità e cominciare a scontare la pena.
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Fernández era stata condannata alla fine del 2022 per una “frode contro la pubblica amministrazione” compiuta durante la sua presidenza (2007-2015). La sentenza era stata confermata in appello nel 2024.
Il caso riguardava l’assegnazione di appalti pubblici per dei lavori stradali nella provincia di Santa Cruz. Sono state condannate anche otto persone tra ex funzionari pubblici e dirigenti d’azienda.
L’ex presidente ha più volte denunciato una “persecuzione politico-giudiziaria” per estrometterla dalla vita pubblica. “Mi vogliono in prigione o morta”, aveva dichiarato, riferendosi a un attentato a cui era sopravvissuta nel 2022.
Protestano i sindacati
“La sentenza era scritta in anticipo”, ha ribadito la sera del 10 giugno davanti ai suoi sostenitori a Buenos Aires.
Dopo aver definito i giudici della corte suprema “tre burattini manovrati da chi sta molto più in alto di loro”, ha affermato che “in un contesto simile la condanna è un certificato di dignità politica, personale e storica”.
“Giustizia. Fine”, ha invece commentato Milei sul social network X.
Nei giorni scorsi i sindacati avevano minacciato uno sciopero generale in caso di conferma della condanna. La Confederazione generale del lavoro (Cgt), il più grande sindacato del paese, ha avvertito che “la democrazia è in pericolo”.
Fernández è stata una grande protagonista della politica argentina negli ultimi vent’anni, prima come moglie del presidente Néstor Kirchner, poi come presidente e infine come vicepresidente.