Si va verso la catastrofe, pare. Sembra un secolo che questa telenovela della trattativa tra la Grecia da una parte e l’Unione europea, la Banca centrale europea (Bce) e il Fondo monetario internazionale (Fmi) dall’altra procede più o meno stancamente, e in modo incomprensibile ai più. Ma a guardare bene la vittoria delle elezioni di Alexis Tsipras e di Syriza risale a poco più di tre mesi fa.
Tre mesi in cui il premier greco e la sua squadra hanno fatto solo quello che normalmente i cittadini chiedono ai propri leader in casi simili: negoziare con determinazione per cercare, in una condizione obiettivamente molto complicata, di spuntare le condizioni sociali ed economiche migliori possibili per i greci mantenendo il paese in Europa e nell’area dell’euro. Eppure la stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione, dopo un iniziale atteggiamento favorevole verso dei naïf, ma simpatici dirigenti della sinistra ellenica , molto presto ha rimesso le cose a posto: i greci vogliono solo tornare a godersi sole, stipendi esagerati e welfare generoso, Tsipras è il solito chiacchierone della sinistra radicale, il ministro delle finanze Yanis Varoufakis è un perditempo con poche idee confuse. Prova ne sia, spiegano, che ogni volta che a Bruxelles c’è un incontro importante la delegazione greca si presenta sistematicamente senza un piano preciso di riforme.
Pare un po’ bizzarro, no? E in effetti le cose sono molto più complicate. Per riassumerle in poche parole, potremmo dire che il governo greco – convinto com’è che l’austerità ai livelli tossici a cui è giunta è insostenibile, e impedirà che il paese esca anche in un lontano futuro dalla crisi economica – è pronto ad accettare un compromesso, e a mandar giù un nuovo pacchetto di sacrifici purché al paese non si chiedano sull’avanzo primario e sul debito accumulato sforzi materialmente impossibili. Ma la Germania, la Commissione europea, l’Eurogruppo, la Bce e l’Fmi (chi più, chi meno) vogliono semplicemente che la Grecia esegua per filo e per segno quello che era scritto nel Memorandum accettato a suo tempo dal governo conservatore di Nea demokratia. Altrimenti – ne hanno apertamente parlato molti giornali in Europa – si può tranquillamente andare al default controllato attraverso un commissariamento della Grecia, allontanando Syriza e varando un governo di tecnici in cambio di un piano di aiuti di emergenza.
Ecco il pacchetto di sacrifici che in queste ore sta presentando a Mario Draghi e all’Eurogruppo il nuovo negoziatore speciale inviato da Tsipras, il vicepremier Yannis Dragasakis, che complessivamente vale 14 miliardi di euro tra nuove entrate e tagli di spesa e potrebbe riportare l’avanzo primario all’1,5 per cento del pil.
Una patrimoniale straordinaria dell’1,5 per cento sulla ricchezza dei 500 greci più ricchi; il mantenimento della sovraimposta che grava sui redditi superiori ai 30mila euro l’anno; un aumento medio del 30 per cento della tassa sul lusso, cioè sugli acquisti di gioielli, abiti di lusso, opere d’arte, auto di lusso, piscine, ville; il varo di una tassa di soggiorno (la pagheranno i turisti) per chi va in alberghi di lusso nelle isole dell’Egeo; l’aumento al 23 per cento dell’Iva (oggi agevolata al 16 per cento) di cui godono le attività economiche sempre sulle isole; l’obbligo di ricorrere a mezzi di pagamento elettronici o tracciabili (come assegni o carte di credito) per tutte le transazioni economiche di importo superiore ai 70 euro.
Possibile anche il varo di un condono fiscale di massa per le tasse evase negli ultimi dieci anni e di una penale per i redditi non dichiarati trasferiti illegalmente all’estero. Via libera anche alla privatizzazione (con cessione a una società tedesca) degli aeroporti regionali, e riapertura della procedura di dismissione di un pacchetto di maggioranza per il porto del Pireo. Non pare poca cosa, anche perché così facendo Syriza romperebbe molte delle sue promesse elettorali, come l’abolizione della tassa unica sulla proprietà immobiliare, la detassazione dei salari sotto i 12mila euro l’anno, l’aumento del salario minimo a 751 euro al mese (oggi è a 550).
Ma per le controparti tutto questo non basta. In queste ore il Fondo monetario internazionale e l’Europa continuano a chiedere con forza che il governo greco accetti misure che sulla carta non c’entrano assolutamente nulla con i problemi della finanza pubblica: la rinuncia al ritorno alla contrattazione collettiva per i salari nel settore privato (adesso tutto è negoziato individualmente), la piena liberalizzazione dei licenziamenti collettivi, il taglio di 15mila posti di lavoro nel pubblico impiego, e infine ulteriori tagli alle pensioni. Anche se il 44,8 per cento dei pensionati greci vive al di sotto della soglia di povertà, la pensione media ammonta a 665 euro al mese, l’89 per cento dei pensionati ha 61 anni, e già sono state cancellate per quasi tutti tredicesima e quattordicesima.
Per questo la situazione ora è così tesa. Tsipras, in una recente intervista televisiva, ha fatto capire chiaramente che se non ci sarà il sì delle controparti a un accordo complessivo che preveda un qualche intervento di sterilizzazione del debito pubblico, userà i soldi per pagare stipendi e pensioni piuttosto che per rimborsare i prestatori. E andrà a un referendum in cui chiederà esplicitamente ai greci non se vogliono o meno restare nell’euro, ma se sono disposti ad accettare o meno le nuove misure economiche richieste dall’Europa e dall’Fmi. Il premier greco pensa che il no a nuovi sacrifici vincerà, e continua a credere che alla fine i prestatori preferiranno una soluzione negoziata piuttosto che rischiare una Grexit che, a cascata, potrebbe avere conseguenze gravi anche per l’Eurozona.
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