L’annuncio ha preso Pechino di sorpresa, con l’ennesima dimostrazione di imprevedibilità che è il marchio di fabbrica di Donald Trump: il 18 dicembre Washington ha annunciato la fornitura di armamenti a Taiwan per 11 miliardi di dollari.
Anche se la cifra è notevole, queste armi non potranno certo cambiare il rapporto di forze tra l’isola popolata da 23 milioni di persone e la Repubblica popolare cinese, con il suo miliardo e mezzo di abitanti. Detto questo, si tratta comunque di un segnale politico rilevante.
Dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca, i leader di Taiwan hanno seguito con preoccupazione la volatilità dei rapporti tra Cina e Stati Uniti e le loro ripercussioni sull’isola rivendicata da Pechino. Nel corso dei mesi i taiwanesi hanno avuto alcune brutte sorprese, come l’assurda accusa rivolta dal presidente statunitense a Taiwan di aver “rubato” l’industria dei semiconduttori agli Stati Uniti. E sui dazi doganali nessun regalo per Taipei: Trump non ha alleati né amici.
Ma ad aver suscitato preoccupazione è stato soprattutto l’incontro fra il leader americano e il numero uno cinese Xi Jinping, il mese scorso in Corea del Sud, che ha segnato una relativa distensione nei rapporti tra le due potenze.
Nell’equazione regionale, infatti, esiste ancora il fantasma di un grande accordo tra la Cina e gli Stati Uniti in cui Taiwan potrebbe diventare merce di scambio. Il fatto che Trump dovrebbe fare una visita di stato in Cina il mese prossimo alimenta ulteriormente le preoccupazioni, tanto più che l’argomento democratico sostenuto da Taipei non ha alcun valore agli occhi del presidente statunitense.
La prima catena di isole
In ogni caso a Washington e nella Silicon valley ci sono diverse voci che ricordano alla Casa Bianca l’importanza strategica di Taiwan. Senza l’industria taiwanese dei semiconduttori non esistono i chip Nvidia indispensabili per l’intelligenza artificiale, principale asso nella manica dell’industria statunitense. Il capo di Nvidia, l’americano-taiwanese Jensen Huang, ha un rapporto stretto con Trump.
Gli Stati Uniti hanno dunque un interesse strategico nella difesa della cosiddetta “prima catena di isole”, cioè la linea che va dal Giappone alle Filippine passando per Taiwan e che blocca il passaggio della flotta cinese verso il Pacifico. Se questo catenaccio dovesse saltare, l’obiettivo egemone della Cina diventerebbe più vicino. Un argomento che fa presa sia sul congresso sia sul Pentagono.
Con l’annuncio della consegna di armi, Trump si “bidenizza”, cioè continua la politica del suo predecessore Joe Biden, anche se continua a denigrarlo. Ormai da un decennio, la questione cinese genera un consenso bipartisan a Washington.
Oggi il tema principale riguarda il modo in cui reagirà all’annuncio la Cina (che probabilmente era stata rassicurata dalla relativa moderazione della strategia per la sicurezza statunitense appena pubblicata), soprattutto in preparazione della visita di Trump in Cina.
Pechino ha condannato la consegna di armi, ma era prevedibile e quasi scontato. Comunque sia, questo convincerà ancora di più i leader cinesi che l’ostilità tra i due giganti del ventunesimo secolo non si indebolirà, anche se potranno esserci momenti di distensione. Agli occhi di Pechino, Taiwan è troppo importante per fare un passo indietro. L’isola resta uno dei luoghi più esplosivi del pianeta, e da oggi lo è un po’ di più.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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