Due giorni nella vita di due innamorati. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Gabriel, 35 anni.

Il primo giorno

“Sto facendo uno stage in un ufficio amministrativo di Berlino. L’atmosfera è ovattata, giacca e cravatta sono d’obbligo. Mio malgrado, sono un pinguino. Vivo in un appartamento condiviso a Friedrichshain, il quartiere ‘alternativo’. Girano molte droghe, mi piacciono le esperienze mentali, quella sensazione di allontanarmi da me stesso. Non mi fanno paura, riesco a rimanere abbastanza lucido, sono sempre stato il bravo ragazzo che non esagera troppo. Ho studiato economia e commercio per caso, perché mi avevano detto che poi avrei potuto fare di tutto, solo che il tutto è diventato il niente.

Esco con un gruppo di amici, ci sono Hans lo statunitense, Papa Will l’australiano, che parla inglese con un forte accento che faccio fatica a capire, e poi c’è Anna. Anna è londinese, la conosco a un compleanno in un ristorante piuttosto tipico. Prendiamo l’autobus insieme per tornare a casa. Lei è più giovane di me, fa teatro. Mi racconta che il suo ragazzo è geloso quando recita e deve baciare un attore. ‘E tu, saresti geloso?’, mi chiede. Le assicuro di no.

Questa ragazza è bellissima, fa anche la modella. A casa sua ci sono alcune foto di lei con il ragazzo, quasi mi rassicurano perché mostrano che non è libera per me. Ci avviciniamo, lei mi chiama ‘fluffy hair’ per i miei capelli spettinati. Una sera siamo a una festa a Berlino est, in una sorta di castello abbandonato, un vecchio edificio occupato con delle torri. Prendiamo della droga, ci teniamo tutti per mano, ci sono Anna e una svedese timida. Facciamo una sorta di catena umana per non perderci nei meandri di questa festa techno buia. Saliamo sulla terrazza, lascio la mano della svedese e continuo a tenere quella di Anna. C’è un divano che dà sul parco e stiamo lì, abbracciati sotto le coperte, ignorando i bassi che rimbombano al piano di sotto.

Passiamo sei ore senza muoverci nonostante gli effetti eccitanti delle sostanze che abbiamo preso. Stiamo legando, ci diciamo cose belle. Prima di allora non ero mai stato innamorato, avevo avuto solo storie molto brevi. Tutti quanti si avvicinano e provano a farci alzare dal nostro divano, ma rimaniamo lì, attaccati l’uno all’altra perché sappiamo che è un momento importante. È una di quelle serate che somigliano a una genesi.

All’alba i nostri passi scricchiolano sulla ghiaia del sentiero, il patto è fatto, lei lascerà il suo ragazzo, io le ho detto che l’aspetterò per tutto il tempo necessario. Ci baciamo, lei va a Londra e poi torna a Berlino. Vado a prenderla e le do una sciarpa rosa, è il primo regalo che faccio a una ragazza. Posso finalmente essere me stesso, proiettarmi nel futuro, non ho mai vissuto una cosa del genere e sono così orgoglioso di lei”.

L’ultimo giorno

“È il primo taccuino della Moleskine che ho comprato in vita mia, il primo di una lunga serie. È come un diario, non molto interessante, che prendo in mano quando penso ‘questo devo scriverlo’. Quel giorno sono a Londra, siamo in un bar, beviamo una cioccolata calda. Anna è di fronte a me, eppure scrivo sul mio diario che ho voglia di lasciarla. Lo squilibrio è troppo grande, ci stiamo facendo del male. C’è sempre più distanza, dei grandi vuoti.

La sera, a una festa, la guardo divertirsi con i suoi amici, non riesco più a trovare il mio posto. Quando viene da me le dico ‘I’m fine’, sto bene, mentre sono lì, come un cretino, con il mio bicchiere che svuoto troppo in fretta e con le sigarette che giro in continuazione. Anna fa fatica a riabituarsi a me, ai miei viaggi tra Parigi e Londra. ‘It’s weird’, è strano, mi dice.

Sul balcone parliamo, la parola ‘lasciamoci’ non è ancora stata detta e sono arrabbiato con lei. Perché non ho più un posto nella sua testa, non esisto più. Tra due giorni tornerò a Parigi, cosa succederà? Documento ogni nostro ultimo momento. ‘What are you writing?’, cosa scrivi?, ‘my thoughts’, i miei pensieri, rispondo evasivo. Di lei idealizzo tutto, come sarà la prossima?

Sono i miei ultimi momenti con lei. Non sembra molto turbata, anche se sa che è finita. Oscillo tra il dolore e il sollievo. Scrivo: ‘Anna, Anna, è davvero finita? Non ci vedremo più? Ti ho lasciata libera, forse un po’ troppo. Sei la prima donna che ho amato. Piangerai domani quando sarò partito con il treno delle 4 del mattino?’.

La notte ci abbracciamo, piangiamo, ridiamo, cerchiamo di farcene una ragione, tutto succede con dolcezza. Dentro di me provo ancora un po’ di rabbia, vorrei che le cose andassero diversamente. Mi piace questo modo di separarsi, di restare vicini, di accompagnarsi fino alla fine, di recuperare gli ultimi frammenti dell’altra persona. Sarebbe forse più facile essere offesi, detestarsi, per evitare i rimorsi e questo amore che si spegne piano piano. Finisco con questa frase un po’ grottesca: ‘Penserò a te come a un dolce, un dolce molto buono’.

Sono le 6, il sole è appena sorto. Sono l’unico sveglio sull’Eurostar. Ho lasciato Anna. Non ci devo pensare, è la mia vita, ormai è solo un’amica. Devo togliere le sue foto dal portafoglio, staccare quelle sul muro, cancellare i suoi messaggi. Devo eliminare le sue tracce. Sistemarla in un angolo della mia testa e ricominciare. Adesso sono libero. Non voglio essere geloso delle altre coppie che idealizzo.

Il ricordo di Anna svanirà. Usciamo dal tunnel e continuo a scrivere all’alba del mio viaggio. Arrivato a Parigi ricevo un suo messaggio: ‘You are special Gab. You mean so much to me’, Gab sei speciale. Sei molto importante per me”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore.

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