Li trovavano spesso sul ciglio della strada, abbandonati lì dove si erano accasciati sotto i colpi d’arma da fuoco sparati in corsa dai sicari a volto coperto a bordo di una moto o dov’erano stati scaricati dopo essere stati uccisi altrove, la testa avvolta in un sacco di plastica e appeso al collo un cartello che li etichettava come spacciatori o tossicodipendenti. Le vittime della guerra alla droga di Rodrigo Duterte, ex presidente delle Filippine e già sindaco-sceriffo di Davao, erano quasi tutti maschi tra i 17 e i sessant’anni o più, poveri o poverissimi. La conta dei cadaveri supera i 12mila per i sei anni di presidenza di Duterte (2016-2022) – almeno 2.500 a opera della polizia nazionale, a cui il presidente aveva garantito una ricompensa per ogni morto ammazzato – e il livello di violenza, a detta di chi ha seguito le gesta del “giustiziere” anche nei vent’anni da sindaco, senza precedenti.
Duterte aveva inaugurato l’uso degli omicidi extragiudiziali per ripulire i quartieri più poveri dai piccoli criminali, spacciatori o presunti tali, quando guidava la sua città, Davao, promettendo di renderla la più sicura delle Filippine, e aveva poi applicato il “modello Davao” a livello nazionale con conseguenze devastanti. La scorsa settimana nel paese si sono tenute le elezioni di metà mandato, con 18mila posti da assegnare a livello locale e nazionale, e Rodrigo Duterte è stato di nuovo eletto sindaco della città, roccaforte della dinastia politica di cui è a capo. La sua rielezione non avviene solo alla luce dei crimini di cui più volte in pubblico Duterte si è vantato di essere stato il mandante, ma perché per quegli stessi crimini contro l’umanità ora l’ex presidente si trova in una cella all’Aja, dopo essere stato arrestato l’11 marzo ed estradato nei Paesi Bassi su mandato della Corte penale internazionale (Cpi).
In generale le elezioni hanno segnato una battuta d’arresto per Marcos, il cui partito ha ottenuto meno seggi al senato del previsto, e un’iniezione di consensi per la vicepresidente Sara Duterte, figlia di Rodrigo, che attende il verdetto del senato sull’impeachment a suo carico votato dalla camera dei deputati. Alle urne Rodrigo Duterte non ha vinto, ha stravinto, ottenendo 662mila voti contro gli 80mila del suo sfidante. Non solo. I figli Sebastian e Paolo e il nipote Omar, figlio di Paolo, si sono aggiudicati rispettivamente il posto di vicesindaco e un seggio al parlamento come rappresentanti di Davao. Un chiaro segnale che la sua città ha fatto quadrato intorno a lui dopo l’arresto, percepito da molti filippini e dal grande seguito di Duterte come un’interferenza straniera, o peggio, occidentale, negli affari nazionali. Ma anche un messaggio diretto al presidente Ferdinand Marcos jr in crisi di consensi, colpevole di aver “consegnato” il rivale alla Corte penale internazionale.
Sul futuro di Duterte la questione è aperta: può un sindaco guidare la sua città da un carcere all’estero con la possibilità di essere processato in un tribunale che il governo filippino non riconosce? Mentre era ancora presidente, infatti, Duterte aveva disposto il ritiro delle Filippine dal trattato fondativo della Cpi e al 2019 il disconoscimento era diventato effettivo. Secondo la legge elettorale filippina, un candidato dietro alle sbarre per presunti crimini può essere proclamato vincitore in una corsa elettorale, non sarebbe la prima volta. Ma non è chiaro se Duterte possa esercitare le funzioni di sindaco mentre è in carcere per volere di un tribunale internazionale. Per ora il figlio, e vice, Sebastian guiderà la città in attesa che Duterte ufficializzi il suo mandato. Per farlo dovrà prestare giuramento entro il 30 giugno, data d’inizio della nuova amministrazione cittadina, o al limite entro sei mesi dall’elezione, ma su come riesca a giurare stando all’Aja ci sono varie ipotesi e nessuna certezza. Non ci sono precedenti per un caso simile, dunque, fa notare l’Inquirer, “sta a Marcos contenere la risurrezione dei Duterte, noti per essere vendicativi nei confronti dei nemici”. La faida tra le due dinastie politiche filippine continua.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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