La sera di domenica 7 settembre potremo osservare un’eclissi totale di Luna fin dal suo sorgere, a oriente. Il disco del nostro satellite apparirà infatti coperto da un’ombra rosso scuro appena sarà tramontato il Sole. Alle 20.11 ci sarà il momento massimo dell’eclissi e dalle 20.52, mentre finisce l’oscuramento totale, lentamente la Luna uscirà dall’ombra della Terra, fino a riapparire in tutto il suo splendore poco prima delle 23.
Mentre osserveremo questo fenomeno celeste, che da tempi remoti ha suscitato l’attenzione umana, possiamo tornare a un’avventura della conoscenza che cominciò secoli fa per provare a rispondere a una domanda antica, aiutati dal cielo.
Intuizioni e ipotesi
Quand’è che noi esseri umani abbiamo scoperto la forma del nostro pianeta? Quand’è che abbiamo capito che abitavamo sopra a una grande palla e che la Terra era una sfera? Come siamo riusciti a immaginare la forma del nostro corpo celeste?
Non sappiamo precisamente chi per primo la immaginò così. In occidente forse Parmenide a Elea o Pitagora a Crotone, che vissero cinquecento anni prima della nascita di Cristo e condussero le loro ricerche nell’Italia del sud, in quella che allora si chiamava Magna Grecia.
Tuttavia, la loro era un’intuizione senza dimostrazione, tanto che più di un secolo dopo Platone scrive nel Fedone che gli sembra ragionevole che la Terra sia una sfera, ma di non essere capace di provarlo.
Fortunatamente Platone aveva un allievo vivace e geniale di nome Aristotele, che qualche anno dopo dimostrò che la Terra è una sfera, allungando il proprio sguardo fino alla Luna.
Domenica prossima, con i nostri figli, genitori, amiche e amici curiosi di cielo e di scienza, possiamo prepararci alla visione di questo evento celeste ritornando a una delle scoperte che hanno influenzato il nostro modo di pensare e vedere la Terra.
Da maestro elementare so per esperienza che, se vogliamo condividere una conoscenza e viverla come laboratorio di pensiero, come esperienza, la prima cosa da fare è rallentare, darci tempo e fermarci sul bordo di ciò che non sappiamo. Cercare le domande più stimolanti, i materiali necessari e predisporre uno spazio che ci permetta di esplorare strade nuove.
In questo caso devo immaginare materiali o strumenti da costruire insieme e manipolare che siano semplici ed efficaci, perché non possiamo limitarci alla sola lettura dei testi. Si tratta di trasformare una conoscenza inerte in conoscenza viva, di sperimentare un metodo capace di metterci alla ricerca.
A scuola la prima cosa di cui abbiamo bisogno è il tempo, averne molto, rubare tutto quello necessario.
Noi insegnanti ci lamentiamo spesso del tempo che non c’è, ma dobbiamo cambiare ottica. Il tempo lo troviamo se proponiamo meno argomenti e scegliamo di andare più a fondo, immaginando una didattica che non sia schiacciata sulla rete di rapide connessioni orizzontali, ma ricerchi una verticalità tale da spingerci ad andare in profondità e a volare verso l’alto.
Torniamo alla domanda iniziale. Come abbiamo fatto noi esseri umani ad accorgerci che la Terra è una sfera prima di uscire dall’atmosfera a bordo di un’astronave?
Se ne discutiamo liberamente con ragazze e ragazzi, o tra adulti, fantasticando e mettendo a confronto le ipotesi più diverse, forse a qualcuno tornerà in mente il ricordo di un’eclissi di Luna.
Cos’è un’eclissi di Luna? Quando succede? Dialogando e raccogliendo diverse idee, concordiamo che quell’eclissi, che vuol dire nascondimento, avviene quando la Terra si mette perfettamente in mezzo tra il Sole e la Luna.
A questo punto possiamo cercare anche in rete diverse fotografie di eclissi che possiamo stampare, perché tenere in mano un’immagine forse è meglio che limitarci a osservarla su uno schermo.
Continuiamo a ragionare. Quell’ombra che oscura in tutto o in parte la Luna cosa ci dice? Ne parliamo e arriviamo ad accorgerci che non è altro che l’ombra della Terra, che si proietta nello spazio per più di 380mila chilometri, fino a raggiungere quel corpo dalla luce lattiginosa che illumina le nostre notti.
Osserviamola bene. Che forma ha quell’ombra? Ne vediamo solo una parte ed è curva. Una curva più aperta di quella del cerchio della Luna. A questo punto, qualcuno che ha una fertile immaginazione geometrica, ne deduce che si tratta dell’ombra di un corpo più grande di quello della Luna. Dunque la Terra è più grande della Luna. Ma questa osservazione è sufficiente per arrivare a scoprire la forma della Terra?
Venticinque secoli fa circolavano diverse idee sulla forma del nostro pianeta. Alcuni pensavano che avesse quella di un disco piatto, altri quella di una sfera. Anassimandro, che per primo la immaginò sospesa nel vuoto, riteneva fosse simile a un cilindro.
Ci fermiamo e cerchiamo oggetti, scatole o barattoli che abbiano queste tre forme oppure le costruiamo con del cartoncino o del compensato. A questo punto ci mettiamo di fronte a una finestra da cui entri la luce del Sole e cominciamo a giocare con le loro ombre.
Se muoviamo i nostri oggetti, a un certo punto tutti e tre proietteranno ombre rotonde. Ma il disco piatto, girando su se stesso, se messo di taglio produrrà un’ombra che ha la forma di un rettangolo filiforme. Anche l’ombra del cilindro, messo in una certa posizione, arriverà a delineare un’ombra a forma di rettangolo.
Nascono dunque ipotesi e considerazioni spontanee, perché in nessuna delle immagini di eclissi che abbiamo con noi e che osserveremo domenica vediamo proiettarsi sulla Luna ombre che abbiano linee rette. Solo una pallina da tennis, che possiamo scegliere perché ha la forma di una sfera, in qualsiasi posizione noi la si metta proietterà sempre un’ombra perfettamente circolare su una superficie perpendicolare ai raggi del Sole o su un’altra sfera, com’è la Luna.
“Stando dunque al discorso ora fatto”, scriveva Aristotele, “è necessario che la forma della Terra sia sferica”.
Avremmo certo potuto limitarci a leggere le conclusioni di Aristotele senza perdere tempo a cercare o a costruire un disco, un cilindro e una sfera, senza aspettare di esporle ai raggi del Sole e giocare con le loro ombre.
Ma dare vita a un laboratorio è altra cosa. È concederci un luogo e un tempo in cui possiamo ascoltare diverse opinioni, dare voce a tutte e tutti per confrontare le nostre immagini e intuizioni, per raccogliere ragionamenti e sperimentare muovendoci nello spazio e manipolando oggetti.
È giocando con i nostri solidi immersi nella luce del Sole che siamo a poco a poco arrivati alla conclusione di Aristotele. E ci siamo arrivati attivando ciò che più ci sta a cuore: il metterci in gioco confrontandoci e accendendo il nostro desiderio di conoscere.
Specchio e metafora
Noi umani siamo dunque arrivati a scoprire la forma del pianeta che abitiamo guardando la sua ombra proiettata sulla Luna, come potremo fare domenica prossima.
Guardare lontano per accorgerci e provare a capire ciò che ci sta vicino è una esperienza da sperimentare e anche una bella metafora, perché credo che nel provare a viaggiare e a esplorare ciò che è distante e diverso sta il cuore del desiderio di conoscere, il senso della cultura e, forse, anche una possibilità d’incontrare noi stessi.
Del resto la parola desiderio viene dall’incontro tra de e sidera. Nomina la mancanza delle stelle, di cui abbiamo bisogno per pensare oltre ogni confine.
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