Nel panel intergovernativo delle Nazioni Unite per il clima, la Cop27, riunita a Sharm el Sheik, in Egitto, per la prima volta la giustizia climatica è entrata nell’agenda ufficiale. Ma una mobilitazione senza precedenti di attivisti e leader politici internazionali per salvare l’attivista egiziano Alaa Abdel Fattah in sciopero della sete (dopo duecento giorni di sciopero della fame) ci ricorda che non può esserci lotta climatica senza diritti umani.

Da nove anni la madre e le due sorelle di Alaa Abdel Fattah – arrestato l’ultima volta nel 2019 per avere condiviso un post su Facebook in solidarietà con i detenuti politici – usano tutti mezzi legali a disposizione in Egitto per chiederne la liberazione. Abdel Fattah è stato uno dei leader della rivoluzione egiziana del 2011, è un importante intellettuale e ha trascorso gli ultimi dieci anni in carcere, con qualche interruzione.

Davanti al muro di gomma alzato dalle autorità egiziane la famiglia ha deciso di usare la nazionalità britannica della madre per far avere la cittadinanza britannica anche a lui, in modo da usufruire della protezione consolare del Regno Unito e poter contare sull’aiuto della comunità internazionale. Dal 2 aprile il più importante prigioniero politico del Medio Oriente, autore del fortunato libro Non siete stati ancora sconfitti, è in sciopero della fame.

Durante le ultime visite che è riuscita a ottenere, la famiglia ha avvertito che l’uomo è molto debole e che il suo corpo “sta scomparendo”. Dall’inizio della Cop27, ha smesso di bere. E non ci sono più notizie sulla sua salute da allora. Il suo avvocato Khaled Ali aveva ricevuto il 10 novembre l’autorizzazione del procuratore per fargli visita nella prigione di Wadi al Natrun, dove sua madre aspetta da giorni “un segno di vita”. Ma la visita è stata vietata per motivi amministrativi.

Lappello internazionale
Per il regime del presidente Abdel Fattah al Sisi la Cop27 era un’occasione per rilanciare l’attenzione sul paese e ripulirne l’immagine, ma le cose non stanno andando come previsto. La mobilitazione straordinaria della società civile e il coraggio delle tre donne della famiglia di Abdel Fattah mettono a nudo l’insostenibile situazione dei diritti umani nel paese.

L’Egitto conta oltre 60mila prigionieri politici secondo Human rights watch. Nei primi due giorni del summit, leader come Boris Johnson, Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno pubblicamente dichiarato di aver chiesto la liberazione di Abdel Fattah durante le riunioni private con il presidente egiziano. Joe Biden ha annunciato che lo farà venerdì 11 novembre. Diverse personalità dell’attivismo e della cultura di tutto il mondo hanno dichiarato la loro solidarietà con Abdel Fattah: da Roger Waters a Greta Thunberg, dalla scrittrice indiana Arundhati Roy al premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux.

Ci sono state fiaccolate davanti alle ambasciate britanniche nel mondo, il suo nome è stato proiettato sul British museum. In Italia centinaia di persone hanno fatto lo sciopero della fame il 9 novembre in solidarietà con Abdel Fattah su iniziativa del blog Invisible arabs e Amnesty international. A Sharm el Sheikh, il 10 novembre, centinaia di attivisti per il clima hanno manifestato per ricordare che “non c’è giustizia climatica senza diritti umani”. I delegati della società civile si sono vestiti di bianco per ricordare i detenuti politici egiziani.

L’intervento della sorella di Abdel Fattah, Sanaa Seif, ospite del padiglione tedesco il 9 novembre, è stato seguito da una folla di giornalisti internazionali. Ma la donna è stata interrotta da un parlamentare filogoverantivo. La segretaria generale di Amnesty international Agnès Callamard ha commentato: “I ‘cittadini’ egiziani hanno provato a disturbare la conferenza stampa, dando a tutti noi un piccolo assaggio del regime di paura e censura che vige nel paese in questo momento”.

L’operazione di greenwashing voluta dal governo egiziano sta andando male. Davanti a una pressione internazionale così forte il governo non ha però cambiato atteggiamento di una virgola. Dopo aver negato che Abdel Fattah fosse in sciopero della fame da 224 giorni, ora ha dichiarato che il detenuto viene seguito dal punto di vista medico, senza fornire altre informazioni. Come nel caso di Giulio Regeni, i governi occidentali, che hanno contratti miliardari con Il Cairo, non sembrano volere o potere fare uso di questo mezzo di pressione, neanche per salvare un loro concittadino.

David Lammy, ministro degli esteri ombra del governo britannico e parlamentare del collegio elettorale delle sorelle di Alaa Abdel Fattah, ha dichiarato di essere indignato del fatto che il suo paese non abbia “sfruttato la leva che ha sull’Egitto con un accordo commerciale da quattro miliardi di sterline (…). I cittadini del Regno Unito sono stati gravemente traditi”.

Il sostegno delle democrazie occidentali alla dittatura egiziana sta diventando ogni giorno più incomprensibile. Sanaa Seif, che è già stata incarcerata tre volte in Egitto per il suo sostegno al fratello, ha dichiarato al pubblico della Cop27, con palpabile preoccupazione, che “qualunque cosa accada, Alaa ha vinto. La battaglia simbolica è stata vinta grazie al vostro sostegno. Spero solo che il suo corpo non sia sacrificato per questo”.

“Non siete stati sconfitti”, ha scritto Alaa Abdel Fatah: se potesse vedere la solidarietà della società civile e l’incredibile mobilitazione per la sua liberazione ne sarebbe ancora più convinto. L’11 novembre alle 11 gli egiziani avevano previsto una manifestazione per contestare il governo di Al Sisi. Prima dell’evento erano già stati arrestati più di 135 attivisti .

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