All’alba del 28 ottobre gli abitanti di due complessi di favelas alla periferia nord di Rio de Janeiro, Alemão e Penha, si sono svegliati al suono di raffiche di colpi. Mentre alcuni elicotteri sorvolavano la zona, una trentina di veicoli blindati e circa 2.500 agenti della polizia civile e militare hanno fatto irruzione nella zona per arrestare i capi del gruppo criminale Comando vermelho, il più potente del paese dopo il Primeiro comando da capital.
Il bilancio dell’operazione, ordinata dal governatore Cláudio Castro, è senza appello: più di 110 persone sono state arrestate e più di 130 sono state uccise, tra cui quattro agenti. Inizialmente il bilancio era di 64 vittime, ma con il passare delle ore gli abitanti del Complexo da Penha hanno cominciato a portare decine di cadaveri nella piazza São Lucas, caricandoli su dei pick-up dalla zona dove gli scontri erano stati più violenti.
O Globo racconta che le persone presenti, quando sono arrivati i corpi, sono rimaste in silenzio. Qualcuno si è avvicinato ai cadaveri, ha scostato le lenzuola e ha tagliato i vestiti per facilitare l’identificazione dei familiari. Quasi da subito sui social media sono circolate immagini, video e racconti di quello che era successo.
Si tratta dell’operazione più sanguinosa condotta dalle forze di sicurezza nello stato di Rio de Janeiro dal 2007, dopo quelle di Jacarezinho nel 2021 e di Vila Cruzeiro l’anno successivo, in cui morirono rispettivamente 28 e 23 persone. I dati del gruppo di studio sulle nuove illegalità dell’università federale Fluminense, che raccoglie informazioni sulle operazioni di polizia realizzate nella regione dal 1989, mostrano che dall’agosto del 2020 – quando si è insediato il governatore Castro, del Partido liberal, di destra – sono state uccise quasi 1.900 persone, una media di trenta al mese.
L’ultima retata fa parte dell’operazione Contenção (Contenimento), un’iniziativa permanente del governo di Rio per contenere l’espansione territoriale del Comando vermelho, che controlla varie zone della città. Castro ha definito l’irruzione della polizia nelle favelas un successo che ha inflitto un duro colpo al narcoterrorismo, aggiungendo che le uniche vittime sono stati i quattro agenti.
Coordinamento federale
In seguito a queste affermazioni, il giudice della corte suprema brasiliana Alexandre de Moraes lo ha convocato per un’udienza la prossima settimana, mentre il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha scritto su X che “non possiamo accettare che la criminalità organizzata continui a distruggere le famiglie, a opprimere gli abitanti e a diffondere droga e violenza nelle città”, sottolineando la necessità di un lavoro coordinato a livello federale e statale che colpisca il traffico di droga senza però mettere in pericolo la polizia, i bambini e le famiglie innocenti.
Il riferimento è a una legge, la Pec de segurança, che deve essere approvata alla camera e che riformulerebbe la gestione della sicurezza, togliendo autonomia ai governi statali. Dopo l’operazione di martedì, il promotore della norma, il ministro della giustizia Ricardo Lewandowski, ha dichiarato che è davvero sorprendente che un’azione di questa portata venga realizzata all’insaputa del governo federale. Le Nazioni Unite e molte associazioni per i diritti umani hanno definito l’operazione “un massacro” e hanno chiesto alle autorità di avviare quanto prima un’indagine per chiarire la dinamica dei fatti.
Bbc mundo ha raccolto la testimonianza del fotografo Bruno Itan, nato a Recife ma residente nel Complexo do Alemão da quando ha 10 anni. Itan ha lavorato per il governo dello stato ed è il fondatore del progetto Olhar complexo, che offre corsi gratuiti a bambini e giovani della favela. Ha raccontato di essere rimasto impressionato dalla quantità di persone che sono morte pugnalate e dal numero di ferite da armi bianche: “Alcuni corpi erano decapitati, ad altri mancava un braccio o una gamba, non avevo mai assistito a una simile violenza”.
Itan ha aggiunto che “in Brasile qualsiasi delinquente, indipendentemente da ciò che ha fatto, deve essere processato in tribunale. Però nel Complexo do Alemão e nel Complexo da Penha è stata applicata la pena di morte. Sono stati gli agenti a stabilire chi doveva vivere e chi morire”. L’efficacia di operazioni del genere è messa in dubbio da molti esperti.
Intervistato da Le Monde Daniel Hirata, che si occupa di violenza urbana all’università federale Fluminense, sostiene che il Comando vermelho non smetterà di espandersi: “Per contenere l’avanzamento territoriale dei gruppi criminali occorrerebbe colpire le loro fonti di finanziamento e la rete politica che li protegge. Ma non è stato fatto niente di tutto questo”.
Per rallentare l’avanzata delle forze dell’ordine, gli affiliati del Comando vermelho hanno lanciato bombe e granate con i droni e hanno sparato agli elicotteri con fucili d’assalto. L’organizzazione criminale ha anche bloccato diverse strade principali di Rio de Janeiro, disponendo autobus sequestrati per fermare il passaggio delle auto e alzando barricate di pneumatici incendiati.
Governo parallelo
Il gruppo criminale, il più antico del Brasile, è nato negli anni settanta in piena dittatura militare, nella prigione Candido Mendes di Ilha Grande, sulla costa davanti a Rio, dove alcuni detenuti comuni impararono dai guerriglieri che combattevano contro il regime a organizzarsi per difendere i propri diritti.
Inizialmente si limitava a raccogliere soldi per finanziare le evasioni e alleviare le condizioni terribili della detenzione. Poi, negli anni ottanta, gli affiliati cominciarono a rapinare le banche. Presto, però, si resero conto che il traffico di droga era un’attività più redditizia. Dallo spaccio di marijuana passarono a quello di cocaina, collaborando con i cartelli della droga colombiani e affermandosi nelle zone più povere di Rio che erano state trascurate dallo stato.
In quegli anni il gruppo criminale stabilì un sistema parallelo di governo all’interno delle favelas e diede lavoro agli abitanti a lungo esclusi dalla società brasiliana. Il Comando vermelho è presente soprattutto a Rio, ma è attivo anche in altre regioni del Brasile, in particolare nello stato settentrionale dell’Amazzonia e in quello occidentale del Mato Grosso.
Il principale capo dell’organizzazione ancora in libertà, Edgar Alves Andrade, non è stato arrestato nell’operazione del 28 ottobre. Andrade ha 55 anni ed è accusato di almeno cento omicidi, tra cui quello di tre bambini.
Secondo Amarilis Costa, avvocata esperta di diritti umani, alla base della sanguinosa operazione della polizia a Rio c’è uno stato che si riserva di decidere chi vive e chi muore, soprattutto nei quartieri poveri dove la maggioranza della popolazione è nera. E ancora prima della morte, la logica dell’annullamento comincia con l’assenza dei servizi igienici, la mancanza di investimenti nella scuola e la violenza delle forze di sicurezza: “La criminalità è il pretesto, non la causa. Il corpo nero è il crimine stesso, l’obiettivo di uno stato che ha naturalizzato la sua eliminazione”.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
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