Il tribunale supremo federale del Brasile si trova vicino alla camera dei deputati e al palazzo presidenziale, su un’ampia distesa lastricata nota come piazza dei Tre poteri, a Brasília. È lo spazio pubblico per antonomasia eppure, il 13 novembre 2024, quasi nessuno ha fatto caso a un uomo di mezza età vestito da Joker che ha parcheggiato vicino al tribunale, si è allontanato di qualche passo, ha lasciato che la sua auto esplodesse, poi si è diretto verso la parte anteriore del tribunale, dove una scultura raffigura la dea della giustizia bendata e seduta con una spada in grembo. Ha preso uno zaino, ha estratto una molotov e l’ha lanciata contro la statua, apparentemente per darle fuoco. Mentre le guardie si avvicinavano, ha lanciato altri due ordigni contro l’edificio e ha aperto la giacca per mostrare un giubbotto suicida. Si è sdraiato davanti alla scultura e ha innescato un’altra esplosione che ha scosso la piazza, uccidendolo ma lasciando la statua illesa. L’attentatore era Francisco Wanderley Luiz, un fabbro di 59 anni di una piccola città del Brasile meridionale.

Il suicidio pubblico di Wanderley ha scatenato inevitabili reazioni contrapposte. Gli inquirenti hanno scoperto che in passato si era candidato senza successo al consiglio comunale, come esponente di un partito legato all’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro (2019-2023).

Da anni Bolsonaro conduce una battaglia feroce contro il tribunale supremo, in particolare contro Alexandre de Moraes, un magistrato combattivo spesso descritto come il secondo uomo più potente del Brasile. Dopo l’insediamento di Bolsonaro nel 2019, de Moraes ha avviato varie indagini su di lui e sulla sua famiglia. Mentre i sostenitori di Bolsonaro creavano “squadroni digitali” che inondavano internet di disinformazione – accusando gli avversari politici di pedofilia, diffondendo notizie false e inventando complotti – de Moraes ha cercato di costringerli a restare offline. Grazie ai poteri straordinari concessi alla magistratura, ha sospeso vari account di legislatori, miliardari e commentatori politici per aver pubblicato dei post da lui giudicati dannosi per la democrazia. I suoi avversari l’hanno definito un tiranno che violava i loro diritti. Nell’autunno 2022 Bolsonaro era candidato contro Luiz Inácio Lula da Silva, veterano della politica e pilastro della sinistra brasiliana per decenni. In campagna elettorale Bolsonaro ha sostenuto, senza prove, che i difetti di sicurezza delle macchine per il voto avrebbero permesso di manipolare i risultati. Dopo la vittoria e l’insediamento di Lula, una folla di circa quattromila sostenitori di Bolsonaro si è riunita nella stessa piazza dove in seguito Wanderley si è fatto esplodere. Hanno devastato il tribunale supremo, la camera e il palazzo presidenziale, una replica inquietante dell’assalto al congresso negli Stati Uniti di due anni prima.

Bolsonaro ha negato qualsiasi coinvolgimento e i suoi sostenitori hanno ribadito che in quel momento non era in Brasile. Tuttavia secondo gli inquirenti anche la sua assenza all’insediamento di Lula era sospetta. Invece di rispettare la tradizione di consegnare la fascia al nuovo presidente, Bolsonaro è andato in Florida, dov’è rimasto per tre mesi apparentemente senza nessun motivo, girando per i centri commerciali di Orlando e scattandosi foto con gli emigrati brasiliani.

Alla fine è rientrato in Brasile e nel giugno 2023 è stato giudicato colpevole di abuso di potere e di uso improprio dei canali di comunicazione per aver screditato il sistema elettorale. Reati non penali, ma che gli impediscono di ricoprire cariche pubbliche per otto anni. Secondo i suoi sostenitori è vittima di una campagna di persecuzione legale. Elon Musk su X ha attaccato de Moraes definendolo un “dittatore cattivo travestito da giudice” e chiedendone la rimozione.

Populismo strutturato

Secondo de Moraes l’attacco suicida di Wanderley è stato l’ennesima espressione della retorica violenta che dilaga online in Brasile, “cresciuta facendo un uso criminale della libertà d’espressione, invocata per offendere, minacciare e intimidire”. Il capo della polizia federale, Andrei Passos Rodrigues, ha aggiunto che “anche se l’azione finale la fa una sola persona, dietro ce n’è sempre più di una”. Per entrambi in Brasile si sta combattendo una guerra per il controllo dell’opinione pubblica in cui da una parte ci sono de Moraes e i suoi alleati, dall’altra una coalizione internazionale di influencer di destra, tra cui Bolsonaro, Musk e, sempre più spesso, Donald Trump.

De Moraes parla di rado con i giornalisti, ma ha accettato d’incontrarmi per discutere di quello che definisce “il nuovo populismo estremista digitale”. La prima intervista si è svolta sei settimane prima dell’attacco di Wanderley, nell’ufficio di de Moraes, un ambiente luminoso che affaccia sul lago Paranoá, a Brasília. Dalla primavera si stava scontrando con Musk a causa di account sui social media che secondo il giudice brasiliano diffondevano discorsi di odio e falsità. Quando de Moraes ha chiesto la loro rimozione, X non l’ha fatto. Quando ha imposto sanzioni non sono state pagate e alla fine il giudice ha congelato i conti bancari brasiliani di X e della Starlink, la rete satellitare di Musk. Ad agosto de Moraes ha inasprito le sanzioni e ha messo al bando X sul territorio brasiliano. Musk ha aggirato il divieto attraverso la Starlink, che fornisce servizi internet a molti brasiliani, però è rimasto scosso. I suoi rappresentanti hanno obbedito alle ingiunzioni di de Moraes, compresa la rimozione degli account incriminati e il pagamento delle multe. De Moraes ha fatto incassare allo stato cinque milioni di dollari e revocato il bando. Ma sapeva che la battaglia con le grandi aziende tecnologiche non era finita.

Sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro durante l’assalto agli edifici governativi. Brasília, 8 gennaio 2023 (Sergio Lima, Afp/Getty)

Secondo il giudice la lotta per il controllo della rete è cominciata più di dieci anni fa “durante la primavera araba, quando l’estrema destra si è accorta che i social media potevano mobilitare le persone senza intermediari”. All’inizio gli algoritmi sono stati sviluppati per fare soldi conquistando i consumatori. Poi si è capito quanto fosse semplice metterli al servizio del potere politico. I social media sono una forza determinante del nostro tempo: “Se Goebbels fosse vivo e avesse accesso a X saremmo spacciati”, ha detto de Moraes. “I nazisti avrebbero conquistato il mondo”.

È convinto che il Brasile offra un terreno di prova importante per le strategie di affermazione del potere politico attraverso la rete. I brasiliani sono molto attivi online e, nel mondo, sono tra quelli che usano di più X e WhatsApp. A differenza di altri paesi, le elezioni sono gestite dal potere giudiziario. “L’estrema destra vuole conquistare il potere senza dirsi contraria alla democrazia, perché perderebbe il sostegno delle persone, ma affermando che le istituzioni democratiche sono manipolate”, ha detto de Moraes. “È un populismo strutturato e intelligente. Purtroppo né in Brasile né negli Stati Uniti abbiamo imparato come reagire”.

I brasiliani spesso parlando di de Moraes con il soprannome Xandão o grande Alex, anche se il giudice non è particolarmente alto. Però è fisicamente in forma: corre, solleva pesi e fa allenamenti di muay thai (un’arte marziale) più volte alla settimana. Nel nostro primo incontro, mi ha detto che Musk l’ha descritto come “un incrocio tra Voldemort e un sith”, cioè tra il cattivo calvo di Harry Potter e un cattivo calvo di Guerre stellari. “A dire il vero, lo trovo divertente”, ha aggiunto. De Moraes è cresciuto a São Paulo, in una famiglia della classe media: il padre era un imprenditore e la madre un’insegnante. Da giovane ha frequentato la facoltà di legge all’università di São Paulo, che ha formato un terzo dei presidenti del paese. Era ambizioso e ha fatto carriera in fretta. A vent’anni era già procuratore e aveva scritto un best seller sul diritto costituzionale. Fra i trenta e i quarant’anni ha ricoperto vari incarichi governativi a São Paulo, come segretario ai trasporti, segretario alla giustizia dello stato e infine capo della sicurezza pubblica, in pratica comandante di polizia. All’epoca nessuno lo avrebbe accusato di avere simpatie di sinistra. Era un sostenitore della legge e dell’ordine che chiedeva tolleranza zero per il crimine: “I paesi più sviluppati sono quelli dove le persone rispettano la legge e sanno che se la infrangono ci saranno delle conseguenze”. Comandava più di centomila agenti e a volte inviava uomini in uniforme e veicoli blindati per disperdere le proteste.

Allora come oggi tende a ignorare le critiche: “A dire il vero sono sempre stato contestato”. Alcuni momenti della sua carriera sembrano discutibili anche ai suoi sostenitori, come l’ingresso nella politica nazionale. Nel 2016 la presidente Dilma Rousseff, una protetta di Lula, era stata messa sotto accusa da un gruppo di parlamentari di destra, tra cui Bolsonaro. Il vicepresidente Michel Temer aveva preso il suo posto, ma il mandato era stato segnato dal rischio di uno scandalo: una persona aveva violato il telefono della moglie e aveva minacciato di diffondere foto compromettenti della donna. Temer aveva 75 anni e la moglie, un’ex reginetta di bellezza, 32. Temer spiegò la situazione a de Moraes, che riunì una squadra di investigatori per rintracciare l’uomo e arrestarlo. Come ringraziamento, Temer nominò il magistrato ministro della giustizia del Brasile.

Le iniziative del nuovo ministro non calmarono i suoi avversari. Un video dell’epoca lo mostra mentre attraversa un campo di marijuana, tagliando le piante con un machete. “Quando sono diventato ministro della giustizia, la sinistra mi ha dato del golpista”, mi ha detto. “Mi odiavano. Ora mi odia l’estrema destra”.

De Moraes era ministro della giustizia da meno di un anno quando si è liberato un posto nel tribunale supremo federale e Temer glielo ha assegnato. Il tribunale ha undici giudici, che restano in carica fino all’età di 75 anni ed esercitano un potere straordinario. “L’autorità del tribunale supremo è quasi sconfinata”, mi ha detto Felipe Recondo, un giornalista che ha scritto vari libri sull’argomento. “La corte discute di tutto ciò che è importante, dalle tasse alle questioni razziali all’aborto”. De Moraes si aspettava di attirare nuove polemiche ma, ha ammesso, “né io né i miei colleghi potevamo prevedere che la democrazia sarebbe stata in pericolo”.

Bersagli

Prima che Bolsonaro si candidasse alle elezioni presidenziali del 2018, pochi osservatori lo prendevano sul serio. Dopo essersi ritirato dall’esercito con il solo grado di capitano, aveva trascorso decenni in parlamento distinguendosi per il linguaggio aggressivo. Forse l’aspetto più inquietante era la sua nostalgia dichiarata per la dittatura, al potere dal 1964 al 1985. Quel regime, appoggiato dall’amministrazione statunitense di Lyndon Johnson, cominciò con un colpo di stato che destituì il presidente di sinistra João Goulart.

A marzo si è tenuta una tavola rotonda nella facoltà di giurisprudenza dell’università di São Paulo, per celebrare il quarantesimo anniversario del ritorno della democrazia in Brasile. Erano previsti quasi unicamente interventi di donne, tra cui una storica e due docenti di diritto. Davanti a un pubblico di circa cinquecento persone che ascoltava con attenzione, hanno ricordato i loro sforzi giovanili per la democrazia e hanno insistito sull’importanza di proteggerla. Cármen Lúcia Antunes Rocha, l’unica giudice del tribunale supremo, ha collegato la lotta al regime con l’attuale conflitto sui social media: “Essere liberi significa essere senza catene, andare oltre le condizioni di oppressione che hanno segnato il nostro passato”, ha detto. “Non sono più le macchine a essere sottomesse agli esseri umani, ma il contrario, e questo apre la strada a nuove forme di tirannia. Rischiamo di restare incatenati agli algoritmi, a sistemi che sanno perfettamente per chi lavorano”.

Un aspetto spaventoso della candidatura di Bolsonaro è stato che non ha condannato il regime militare, anzi ne ha chiesto il ritorno: “Se muore qualche innocente, va bene”, ha detto.

Il grande vantaggio di Bolsonaro alle elezioni del 2018, oltre al talento per la provocazione, è stato che Lula non poteva candidarsi: era in carcere con accuse di corruzione, poi annullate. Bolsonaro ha vinto con un ampio margine e si è insediato al potere promettendo di difendere la libertà. Anche due dei suoi figli hanno ottenuto un seggio alla camera. Ma da subito ci si è chiesti in che modo la disinformazione online avesse alterato i risultati. Nel periodo precedente alle elezioni, la rete si era riempita di una quantità incredibile di affermazioni false e violente.

Un’analisi di Agência Lupa, un’importante organizzazione brasiliana di fact-checking, ha rilevato che solo quattro delle cinquanta immagini più condivise erano vere. Le falsità più offensive erano rivolte all’avversario di Bolsonaro, Fernando Haddad. Chi richiamava l’attenzione sulla disinformazione diventava un bersaglio. Agência Lupa ha registrato 56mila minacce al mese. Il diritto alla libertà d’espressione è garantito dalla legge brasiliana, ma è meno assoluto che negli Stati Uniti. Come sottolinea de Moraes, la costituzione, scritta nel 1988 dopo una storia di colpi di stato e una lunga dittatura militare, è stata concepita in parte per “resistere ai movimenti antidemocratici”. I discorsi razzisti sono vietati, come i crimini contro lo stato di diritto (diffondere falsità sul sistema elettorale) e la diffamazione (affermare che gli avversari sono pedofili).

Tra i messaggi diffusi dal gabinetto dell’odio di Bolsonaro c’erano accuse insistenti di illegittimità del tribunale supremo. Hanno cominciato a circolare online minacce di rapire o uccidere giudici. Normalmente l’ufficio del procuratore generale dovrebbe indagare su minacce simili, ma non l’ha mai fatto. Così il tribunale supremo, invocando una norma che lo autorizza a indagare su qualsiasi “violazione del diritto penale nei locali del tribunale”, ha aperto la sua inchiesta, diventando in sostanza vittima, pubblico ministero e giudice. De Moraes è stato incaricato del lavoro. Aveva esperienza di indagini e, a differenza della maggioranza degli altri giudici, era abile nelle manovre politiche. Come ha detto Recondo, era anche tenace: “Se gli si affida una missione, la porta avanti fino alla fine. E per lui questo caso era come sangue davanti a uno squalo”.

Bolsonaro era già travolto dagli scandali. Era emerso che il figlio Flávio versava uno stipendio alla moglie e alla madre di un poliziotto latitante, ricercato per aver organizzato un omicidio su commissione.

Crescevano le domande sulle proprietà della famiglia, circa cinquanta immobili nei dintorni di Rio de Janeiro, difficili da comprare solo con lo stipendio da funzionario di Bolsonaro. De Moraes ha aperto un’indagine e secondo Recondo non si è più fermato: “Bolsonaro continuava a commettere crimini e Xandão continuava a indagare”.

Alleati all’estero

Durante la pandemia Bolsonaro ha minimizzato il rischio sanitario, anche se il paese ha avuto uno dei tassi di mortalità più alti al mondo. Quando il ministero della salute ha smesso di pubblicare le statistiche quotidiane sulla diffusione del covid, de Moraes ha ordinato di pubblicare i dati entro quarantott’ore. Alla fine sono cominciate le proteste di fronte al tribunale supremo per le indagini su Bolsonaro e per le restrizioni dovute alla pandemia: i manifestanti dicevano di combattere per la libertà. “Gli estremisti di destra sono riusciti a manipolare queste parole per far credere alla gente di essere i veri paladini della democrazia”, mi ha detto de Moraes. “È un’impresa straordinaria di lavaggio del cervello”.

A volte, però, le indagini di de Moraes hanno messo a dura prova i limiti della sua autorità. Ha bloccato più di cento account di social media senza dare spiegazioni alla piattaforma. Dopo aver vietato X ha imposto una multa di quasi novemila dollari al giorno a chiunque accedesse usando una vpn (rete privata virtuale). In un caso che ha fatto discutere otto imprenditori si sono lamentati del governo in un gruppo WhatsApp e uno ha scritto: “Preferisco un colpo di stato al ritorno del Partito dei lavoratori”. De Moraes ha fatto perquisire le loro case e congelare i conti bancari. Secondo Rafael Mafei, che insegna legge all’università di São Paulo, la decisione era “al limite della legalità”.

Sostenitori di Jair Bolsonaro assaltano il parlamento. Brasília, 8 gennaio 2023 (Sergio Lima, Afp/Getty)

Il tribunale supremo a cui si era unito de Moraes non era particolarmente liberale. I giudici si erano opposti alla depenalizzazione dell’aborto, vietato quasi ovunque in Brasile. Si erano pronunciati sia a favore sia contro Lula in casi che lo riguardavano per accuse di corruzione e per la sua eleggibilità. Ma durante gli anni di Bolsonaro hanno sostenuto de Moraes. “Il tribunale è sempre stato una banderuola, flessibile e adattabile, un riflesso della maggioranza della società brasiliana”, ha detto Recondo. “Era composto da undici isole. E Bolsonaro le ha unite”. Nel giugno 2022 la magistratura brasiliana ha eletto de Moraes alla guida del tribunale superiore elettorale, l’organo che sovrintende alle elezioni politiche in Brasile. Durante la cerimonia d’insediamento il giudice ha tracciato le linee guida per la campagna elettorale, con un avvertimento diretto a Bolsonaro: “La libertà d’espressione non è la libertà di distruggere la democrazia”, ha detto. “Non è la libertà di diffondere odio e pregiudizi né idee contrarie all’ordine costituzionale”.

Gli sforzi di Bolsonaro per screditare le elezioni avevano trovato alleati all’estero. Suo figlio Eduardo era andato negli Stati Uniti, dove Mike Lindell, imprenditore e alleato di Trump, lo aveva aiutato a preparare una relazione sui presunti brogli elettorali in Brasile. De Moraes mi ha spiegato che la destra ha adottato tattiche simili in entrambi i paesi: “Negli Stati Uniti Trump ha preso di mira il voto per corrispondenza dicendo che si presta a essere falsificato. In Brasile, Bolsonaro se l’è presa con le macchine per il voto elettronico dicendo che permettono brogli”.

“Non voleva criticare il metodo di voto”, ha detto de Moraes. “Voleva dichiarare che il sistema è truccato per giustificare la presa di potere necessaria ad ‘aggiustare la democrazia’”.

La campagna di Bolsonaro ha funzionato. Le segnalazioni di disinformazione su internet sono aumentate di più del sedicimila per cento rispetto alle elezioni precedenti. Tre quarti dei sostenitori di Bolsonaro hanno dichiarato ai sondaggisti che non ci si poteva fidare dei risultati del voto. De Moraes si è affrettato a rispondere. Il tribunale elettorale ha ampliato la sua autorità per bloccare gli attacchi online all’integrità delle elezioni. Il giudice e i suoi colleghi hanno emesso decine di provvedimenti, limitando la propaganda politica, escludendo i candidati irregolari e schierando agenti federali per garantire la sicurezza il giorno del voto. La sera delle elezioni de Moraes è andato in tv per annunciare che Lula aveva vinto: “Spero che da questa elezione in poi cessino gli attacchi al sistema elettorale: i discorsi deliranti, le notizie false”.

Eppure molti brasiliani erano ancora agitati.

I critici più attenti sottolineano che de Moraes porta avanti un numero di indagini superiore a quello di ogni altro giudice, molte segrete

Il figlio di Bolsonaro, Flávio, riprendendo una tattica della destra statunitense dopo l’assalto del 6 gennaio, ha dichiarato a un quotidiano brasiliano: “Negli Stati Uniti la gente ha visto i problemi del sistema elettorale, si è indignata e ha agito di conseguenza. Non c’è stato alcun ordine diretto del presidente Trump, e non ce ne sarà nessuno di Bolsonaro”. Ma de Moraes sapeva che Bolsonaro non voleva arrendersi.

“Sospettavamo che potesse succedere qualcosa durante la cerimonia di insediamento, soprattutto perché pochi giorni prima c’era stato un attentato all’aeroporto di Brasília”, mi ha detto. “E il 12 dicembre, dopo la certificazione dei risultati elettorali, i rivoltosi avevano assaltato la sede della polizia federale. Per questo ci siamo organizzati affinché il giorno dell’inaugurazione non accadesse nulla”. Dopo la cerimonia le forze di sicurezza pensavano che la minaccia fosse passata. “Ma poi c’è stato l’attacco dell’8 gennaio 2023”.

Durante i disordini alcuni uomini hanno fatto irruzione nell’edificio del tribunale supremo, hanno rotto l’armadietto con la toga di de Moraes e hanno mostrato la porta scardinata alla folla come trofeo. De Moraes sembrava personalmente offeso: “Queste persone non sono civili”, ha detto. “Guardate cos’hanno fatto”. Poche ore dopo ha cominciato a emettere mandati d’arresto. Sono state fermate più di mille persone. “Il rischio era l’effetto domino”, mi ha detto. “Dovevo agire subito, nella notte”. Per neutralizzare i funzionari sospettati di favorire la rivolta, de Moraes ha sospeso il governatore del distretto federale e ha ordinato l’arresto del segretario alla sicurezza del distretto e del comandante della polizia militare. “Questo ha mandato un messaggio chiaro a tutto il paese”, ha aggiunto. “Non tollereremo il caos”.

Elon Musk ha accusato de Moraes di essere un autocrate non eletto. Gli osservatori più attenti sottolineano che porta avanti un numero di indagini superiore a quello di ogni altro giudice, spesso tenendole segrete, il che rende difficile valutarle pienamente. Alcune inchieste su Bolsonaro riguardano reati minori. Una lo accusa di aver impegnato illegalmente orologi di lusso ricevuti in regalo da governi mediorientali.

Recondo pensa che de Moraes abbia saputo sfruttare la tendenza dei brasiliani favorevoli ai leader autoritari: “Veneriamo i caudillos, uomini forti che prendono decisioni al di sopra della legge”. Tuttavia, ha aggiunto, la campagna di de Moraes contro la disinformazione non è né personale né ideologica. “Xandão crede nell’importanza di ciascun caso ed è sostenuto dai colleghi”. Il rischio è di creare un’autorità che non risponde delle proprie azioni. “Non posso dire se sia una buona cosa che un solo uomo accentri tanto potere”, mi ha detto.

Il no delle aziende tecnologiche

Alcuni brasiliani sostengono che le questioni legate ai social media vanno affrontate con le leggi, non nei processi. “Non credo che questo dibattito debba avvenire nel tribunale supremo”, mi ha detto la deputata Tabata Amaral. “Dovrebbe svolgersi in parlamento, dove il pubblico può partecipare e confrontarsi”.

Amaral ha 31 anni ed è in parlamento da sei. Dopo aver studiato politica e astrofisica ad Harvard, si è iscritta a un partito di centrosinistra e si è guadagnata una reputazione come sostenitrice dell’istruzione pubblica. Insieme a un altro parlamentare, Amaral ha passato anni a promuovere una legge che rendesse le aziende dei social media responsabili per le notizie false e i discorsi di odio. Ma mi ha raccontato che le piattaforme tecnologiche hanno respinto ogni proposta. Spotify e Instagram hanno diffuso messaggi ostili, mentre YouTube ha pubblicato un “avviso urgente” rivolto ai creatori di contenuti, avvertendoli che la legge avrebbe potuto danneggiarli. Google ha pubblicato annunci sui giornali e ha inserito un link sulla sua homepage, sotto la barra di ricerca, sostenendo che la norma “potrebbe aumentare la confusione su ciò che è vero o falso in Brasile”. Alla fine la proposta di legge è stata ritirata e Amaral e i suoi alleati si stanno concentrando su iniziative più circoscritte.

Parte del problema è che corruzione e criminalità sono così diffuse da risultare praticamente inseparabili dall’attività di governo. Amaral crede che i fallimenti del congresso abbiano costretto il tribunale supremo a intervenire. “Il processo democratico è fondamentale”, ha detto. Ma ha riconosciuto che senza l’intervento del tribunale la democrazia brasiliana sarebbe molto più a rischio.

Amaral si oppone al diritto di aborto, quindi la sinistra non la considera un’alleata naturale, ma le sue opinioni sui social media la rendono un bersaglio della destra. È stata definita una “Xandão con la gonna” e il suo avversario alle ultime elezioni l’ha attaccata online incolpandola del suicidio del padre. “Come per Trump, se Bolsonaro è contro di te, sei fottuto”, ha detto la parlamentare.

Il senatore che ha collaborato con Amaral alla legge sulle fake news è Alessandro Vieira, ex capo della polizia statale del nordest rurale. Eletto con l’immagine del crociato anticorruzione, nel 2018 aveva appoggiato Bolsonaro. Poi, dopo aver assistito agli abusi sui social media, ha cambiato posizione e nel 2022 si è schierato con Lula. Vieira mi ha detto che l’obiettivo del disegno di legge era di poter stabilire le responsabilità delle piattaforme, non punire gli utenti: “Non c’è una sola virgola nel testo che criminalizzi la libertà di espressione”.

Ma è stato impossibile farla passare. Il Brasile aveva elaborato un quadro normativo per internet “in un’epoca più romantica, quando si pensava alla rete come a uno spazio neutrale e democratico”, ha spiegato. “Ora la maggioranza del parlamento teme le ritorsioni delle aziende tecnologiche. Immaginate di candidarvi con un algoritmo che lavora contro di voi”. Secondo Vieira gli sforzi del tribunale per tenere sotto controllo i social media sono una necessità scomoda: “Questa indagine in corso è autoritaria e gli strumenti autoritari vanno sempre combattuti”, ha detto. Ma per ora “è l’unica soluzione possibile”.

Una chat su Signal

Dopo l’attacco dell’8 gennaio a Brasília, Bolsonaro ha ridicolizzato l’accusa che i disordini fossero un tentativo di colpo di stato. Ho chiesto a de Moraes quanto sia stata vicina la fine della democrazia in Brasile. “Un rischio c’è stato sicuramente”, ha risposto. “E c’è ancora”. Ha sottolineato che sono stati coinvolti ufficiali e alti comandanti della polizia militare che sorveglia la capitale. “La strategia era di occupare gli edifici governativi, senza necessariamente distruggerli”, ha detto. “Ma non si può controllare una folla. Il loro vero obiettivo era entrare negli edifici, rifiutarsi di uscire e creare una crisi così grave da spingere l’esercito a intervenire. Una volta arrivati i militari, avrebbero chiesto il sostegno per un colpo di stato. Ma il piano è fallito. Anche se alcuni alti ufficiali erano favorevoli, le forze armate, come istituzione, hanno capito che nessun altro potere si sarebbe schierato con loro”.

Quando ho chiesto a de Moraes se credeva che Bolsonaro fosse il mandante della rivolta, ha eluso la domanda, dicendo che l’indagine era nelle mani della polizia federale, che è indipendente dal tribunale supremo. Settimane dopo il nostro incontro i risultati sono stati resi pubblici in un rapporto di 884 pagine che assegna a Bolsonaro un ruolo attivo in un complotto golpista. L’obiettivo non era solo prendere il controllo del governo. Un’operazione parallela, dal nome in codice “Pugnale verde e giallo”, prevedeva di uccidere Lula e il suo vice in corsa Geraldo Alckmin, e di “neutralizzare” de Moraes. Finora sono stati arrestati cinque uomini, tra cui ufficiali di polizia e militari e uno stretto collaboratore di Bolsonaro. Tutti si sono dichiarati innocenti.

I complottisti si coordinavano con una chat del software Signal, chiamata Coppa del mondo 2022. Ognuno si identificava con una nazionale: Austria, Germania, Ghana. Hanno seguito gli spostamenti di de Moraes per settimane, durante le quali, mi ha detto, ha partecipato a una cerimonia con Lula ed è andato a São Paulo per un pranzo di compleanno con la famiglia. Il 15 dicembre, di nuovo a Brasília, un gruppo di assalitori pesantemente armati ha circondato la sua casa, progettando di ucciderlo o di rapirlo, di disfarsi dei telefoni e di fuggire. All’ultimo momento, però, è stato inviato un messaggio nella chat di gruppo per annullare il colpo: “abortire… Austria”. Forse, ha ipotizzato il giudice, non avevano avuto il sostegno dei militari.

Il giorno prima tra i leader delle forze armate era circolata una proposta per annullare le elezioni e proclamare lo stato d’assedio, ma molti si erano rifiutati di firmare. De Moraes ha lasciato intendere che a salvarlo siano stati i suoi contatti nelle forze armate, consolidati quando era ministro della giustizia. “Scherzando dico che non potevo morire”, mi ha detto. “L’eroe del film deve andare avanti”.

Dopo che Bolsonaro è stato ufficialmente indagato per il presunto complotto golpista, le autorità gli hanno sequestrato il passaporto per impedirgli di lasciare il paese. Ma lui e i suoi alleati confidavano ancora in un sostegno internazionale. Quando Trump ha vinto le elezioni lo scorso novembre, Bolsonaro ha detto al Wall Street Journal: “Trump è tornato, ed è il segno che torneremo anche noi”. Poco prima dell’insediamento ha cominciato a circolare un video in cui Bolsonaro salutava la moglie in aeroporto con tono dimesso, spiegando che sarebbe andata lei alla cerimonia al suo posto.

Il loro vero obiettivo era entrare negli edifici governativi, rifiutarsi di uscire e creare una crisi così grave da spingere l’esercito a intervenire

Ovazione speciale

Trump ha rilasciato poche dichiarazioni sulla situazione in Brasile, ma è chiaro che condivide le frustrazioni di Bolsonaro per essere stato incriminato a causa delle menzogne che ha diffuso sui social media. Il 20 gennaio la Casa Bianca ha pubblicato un comunicato in cui accusa l’amministrazione di Joe Biden di aver “calpestato il diritto alla libertà d’espressione censurando il dibattito dei cittadini statunitensi sulle piattaforme online… con il pretesto di combattere la disinformazione e la cattiva informazione”.

Il 19 febbraio l’azienda Trump Media ha intentato una causa negli Stati Uniti contro de Moraes, accusandolo di censura per aver ordinato alla piattaforma social Rumble di rimuovere l’account di Allan dos Santos, sostenitore di Bolsonaro e tra i principali promotori della campagna d’odio contro la giornalista Patrícia Campos Mello. De Moraes ha definito la causa “priva di fondamento”: “Così come io non posso emettere una sentenza in Brasile che abbia effetto negli Stati Uniti, nessun giudice statunitense può dichiarare nullo il mio ordine in Brasile. Si tratta di una manovra politica, che però ha ottenuto ampio spazio sui mezzi d’informazione”.

Sempre a febbraio il deputato della Georgia Rich McCormick ha rilasciato una dichiarazione che accomuna Bolsonaro a Trump e Musk: “L’incriminazione dell’ex presidente Jair Bolsonaro non riguarda la giustizia, ma l’eliminazione della concorrenza politica per mezzo di strumenti legali, proprio come il presidente Trump è stato preso di mira prima di compiere la più grande rimonta politica della storia”, ha scritto. McCormick ha anche sostenuto che limitando gli affari di Musk in Brasile de Moraes stava violando il diritto statunitense alla libertà d’espressione: “Gli Stati Uniti non possono permettere a giudici stranieri di dettare ciò che i cittadini statunitensi possono dire, leggere o pubblicare”. Il deputato della Georgia ha quindi chiesto a Trump e al congresso di intervenire.

Alcuni repubblicani hanno rapidamente convocato un’udienza, in cui l’amministratore delegato di Rumble e altri testimoni sono stati invitati a discutere della “crisi della democrazia, della libertà e dello stato di diritto” in Brasile. Il deputato Chris Smith, del New Jersey, ha accusato Lula e de Moraes di “abuso politico delle procedure legali per perseguitare l’opposizione” e ha aggiunto: “Gli amici non permettono agli amici di commettere abusi dei diritti umani”.

Durante l’udienza il figlio di Bolsonaro, Eduardo, ha acceso gli animi di un gruppo di sostenitori brasiliani presenti in sala. Eduardo, che ha trascorso la notte dell’elezione di Trump nella sua residenza di Mar-a-Lago, esultando insieme alla folla, si è presentato sempre più come un collaboratore dell’amministrazione statunitense. A marzo ha annunciato che avrebbe preso un congedo dal suo seggio al parlamento brasiliano per trasferirsi negli Stati Uniti, in modo da poter sollecitare Trump a intervenire in favore di suo padre. Ha già un alleato in Musk, che ha incitato la destra brasiliana sostenendo che sta subendo una censura tra le più severe al mondo, per mano di “un vero e proprio criminale della peggior specie”.

Nelle strade è comune sentire lamentele sul fatto che la libertà d’espressione è morta e che il tribunale supremo ha un potere dittatoriale

Lo scorso aprile Bolsonaro ha tenuto un comizio sulla spiaggia di Copacabana, a Rio, dove una folla enorme si è riunita per applaudire i suoi appelli alla libertà d’espressione. Bolsonaro ha invitato i suoi sostenitori a riservare a Musk un’ovazione speciale: “È un uomo che ha avuto il coraggio di mostrare, già con alcune prove e certamente ce ne saranno altre, dove sta andando la nostra democrazia e quanta libertà abbiamo perso”, ha detto. Più tardi, quando un utente di X ha chiesto perché non ci fossero state manifestazioni simili per de Moraes, Musk ha risposto: “Perché va contro la volontà del popolo e, quindi, contro la democrazia”.

Le promesse di Lula

Nei giorni successivi all’esplosione di Wanderley davanti al tribunale supremo, Lula cominciava a ricevere dignitari stranieri al vertice del G20, a Rio. Durante un evento la moglie, Janja Lula da Silva, ha parlato della necessità di combattere la disinformazione. Quando il suo discorso è stato interrotto dal suono del corno di una nave proveniente da un porto vicino, ha detto: “Credo sia Elon Musk. Non ho paura di te”. Poi ha aggiunto, in inglese, “Fuck you, Elon Musk”.

Il commento di Janja ha suscitato un po’ di scalpore sui giornali e Musk ha risposto su X: “Perderanno le prossime elezioni”. Ma non ne è venuto fuori molto altro, almeno pubblicamente. Mentre Trump ha rivolto minacce e ultimatum al Messico, al Canada e a Panamá, ha taciuto sul Brasile. A metà marzo la nuova amministrazione statunitense ha imposto dazi sull’acciaio, una delle principali esportazioni brasiliane, ma l’annuncio è uscito senza ulteriori commenti.

Tuttavia, quando ho visto Lula la mattina dopo l’entrata in vigore dei dazi, il leader brasiliano ha lasciato intendere che la resa dei conti era imminente. “C’è qualcosa nell’aria che mi preoccupa, ovvero l’indebolimento del sistema democratico”, ha detto. “Nell’Unione europea la metà dei suoi ventisette paesi ha già governi autoritari di destra. In America Latina i movimenti antidemocratici e antistituzionali stanno crescendo, e metà della società li sostiene”.

Gli sembra che la rete stia rendendo quasi impossibile governare: “Credo che in nessun paese al mondo esista ancora un metodo efficace per garantire la sovranità”, ha detto. “Lo stato-nazione è profondamente indebolito, e non riguarda solo il Brasile: vale anche per gli Stati Uniti, la Cina, per tutti”. In passato, ha continuato, “autoritarismo significava chiudere il parlamento, sospendere il sistema giudiziario o mandare l’esercito in strada. Oggi qualcuno può rivolgersi a 213 milioni di brasiliani senza essere mai stato in Brasile”. Quando ho accennato al fatto che il sistema satellitare Starlink di Musk è ampiamente usato dai cercatori d’oro illegali che devastano l’Amazzonia brasiliana, Lula ha annuito con gravità: “Ho visitato la regione e ho constatato la diffusione delle antenne di Musk. Non permetteremo a chi odia la nostra amministrazione, disprezza la democrazia e il nostro sistema giudiziario, di controllare le informazioni del paese e di una regione come l’Amazzonia”. Sbattendo il pugno sul tavolo, ha aggiunto: “Nessuna azienda, per quanto potente, metterà a rischio la nostra democrazia”.

Poi ha detto che il Brasile sta lavorando con il segretario generale delle Nazioni Unite per elaborare una proposta di trattato internazionale sulla regolamentazione dei social media. In tono più cauto ha dichiarato che il Brasile solleverà la questione durante il vertice di luglio tra i paesi del Brics a cui parteciperanno rappresentanti di Cina, India, Sudafrica, Russia e Indonesia, che hanno quasi sempre affrontato i loro problemi con il dibattito online criminalizzando il dissenso.

Protesta contro Bolsonaro dopo la sua incriminazione per tentato colpo di stato. São Paulo, 30 marzo 2025 (Allison Sales, Picture alliance/Getty)

A marzo ho incontrato di nuovo de Moraes nel suo ufficio. Sembrava più rilassato rispetto a cinque mesi prima. A quel punto il procuratore generale aveva accusato Bolsonaro e altre 33 persone di aver istigato un colpo di stato. Bolsonaro sostiene di essere vittima di una persecuzione politica. “La responsabilità di ogni persona dev’essere stabilita in tribunale, perché è qui che si presenterà la loro difesa”, ha detto il giudice. “Ma l’intera versione della persecuzione politica, la rivendicazione dell’inimicizia personale, tutto questo non sta in piedi, perché non è stata solo la polizia federale ad accusarli, l’ha fatto lo stesso procuratore generale”.

Gli ho chiesto se Bolsonaro potrebbe riconquistare il potere. “È possibile che sia assolto nel processo penale, tutto è appena cominciato”, ha risposto. “Ma ha due condanne di ineleggibilità emesse dal tribunale elettorale superiore. Quindi non c’è nessuna possibilità che torni, perché in entrambi i casi è già stato presentato il ricorso ed è all’esame del tribunale supremo. Solo quest’ultimo potrebbe annullare le sentenze e non vedo la minima possibilità che lo faccia”. De Moraes ha riconosciuto che la moglie di Bolsonaro o uno dei figli potrebbero candidarsi alla presidenza. Ma, ha detto, “nessuno di loro ha gli stessi rapporti con le forze armate che aveva lui”.

Il dio della guerra

Nei prossimi mesi il tribunale emetterà una sentenza per regolamentare internet. Secondo le leggi attuali, le piattaforme digitali sono responsabili dei contenuti degli utenti solo se hanno ignorato un ordine di rimuoverli del tribunale. Il tribunale deve decidere se possono essere ritenute responsabili prima che sia emesso questo ordine, obbligando le aziende a svolgere un controllo approfondito sugli utenti.

De Moraes ha presentato questa regolamentazione come un mezzo per riprendere il controllo. I social media rappresentano “il potere più grande di tutti. Non solo influenzano le persone, ma generano il maggior numero di entrate pubblicitarie al mondo, dando alle aziende che li controllano la forza finanziaria per orientare le elezioni”. Le azioni più severe di de Moraes hanno dato forza ai sostenitori di Bolsonaro. Nelle strade è ormai comune sentire lamentele sul fatto che la libertà d’espressione è morta e che il tribunale supremo ha un potere dittatoriale. Oliver Stuenkel, un importante politologo di São Paulo, sostiene le azioni del tribunale, ma crede che la sua assertività sia rischiosa: “Negli ultimi anni il Brasile è diventato una sorta di manifesto su come proteggere la democrazia. La sfida, ora, è garantire che il tribunale torni alle sue competenze ordinarie, perché per nessuna democrazia è sano che la corte suprema sia anche una protagonista della politica”.

Ma secondo de Moraes la crisi non è finita: “Le azioni di Trump spingeranno i governi a rendersi conto che se non agiscono ora per controllare i social media, sarà troppo tardi”. I leader europei stanno già considerando regole più severe. Nell’agosto 2024 i funzionari francesi hanno arrestato uno dei fondatori di Telegram per aver permesso alla piattaforma di ospitare attività criminali che andavano dal traffico di droga al terrorismo (Telegram nega ogni illecito).

De Moraes aveva sospeso Telegram tre anni fa, dopo che la piattaforma aveva ignorato gli ordini del tribunale. Più di recente ha sospeso Rumble perché non ha un rappresentante legale in Brasile. “La gente comincerà a dire che sto perseguitando tutti”, ha scherzato. “Di questo passo mi accuseranno di perseguitare anche Trump”. Non sembra preoccupato dalla prospettiva di pressioni dagli Stati Uniti: “Possono intentare cause, possono far parlare Trump”, ha detto. “Se mandano una portaerei, vedremo. Se la portaerei non raggiunge il lago Paranoá (a Brasília), non avranno alcuna influenza in Brasile”.

Alla fine de Moraes mi ha mostrato alcuni oggetti preziosi. Tra questi c’erano una maglia della sua amata squadra di calcio Corinthians e due effigi in legno di divinità afrobrasiliane. Erano Xangô ed Exu, “legge e ordine”.

“Aspetti”, l’ho interrotto. “Xangô non è un dio della guerra?”.

De Moraes ha sorriso e mi ha accompagnato alla porta. ◆ svb

Jon Lee Anderson è un giornalista statunitense del New Yorker. Il suo ultimo
libro pubblicato in Italia è Che. Una vita rivoluzionaria (Feltrinelli 2020).

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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati