Mentre percorriamo la strada che porta a Lauca Eñe, un piccolo centro abitato nel dipartimento di Cochabamba, la nostra auto evita cumuli di terra piazzati come ostacoli. Poi arrivano i sacchi di sabbia, le palizzate e infine un migliaio di uomini armati di bastoni appuntiti: è l’esercito improvvisato di Evo Morales, che è stato presidente del paese dal 2006 al 2019. Morales si nasconde in questa zona da mesi. Se si allontanasse, il governo di Luis Arce, un suo ex alleato, potrebbe arrestarlo: lo scorso dicembre è stato accusato di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne quando era presidente.

Il raggio d’azione di Morales si è ridotto drasticamente rispetto a quando girava il mondo come primo presidente nativo della Bolivia, ma ora sta progettando un ritorno in grande: vuole presentarsi come il salvatore della patria mentre il paese attraversa una grave crisi economica e sociale. I suoi oppositori stanno cercando di escluderlo dall’elenco dei candidati alle presidenziali del prossimo agosto, ma potrebbe comunque riuscire a presentarsi i. In ogni caso sarà lui a fare da ago della bilancia: “Sono il candidato migliore, l’unico vincente”, spiega. “È per questo che vogliono eliminarmi”.

Morales è nato povero nel villaggio di Isallavi. Ha allevato lama, ha abbandonato presto la scuola, ha lasciato Isallavi e si è unito al sindacato dei coltivatori di coca diventando uno dei leader più agguerriti del paese. Nel 1997 è stato eletto presidente del Movimento per il socialismo (Mas) e nel 2006 ha vinto le elezioni presidenziali. Durante i suoi tre mandati ha rinegoziato i contratti con le aziende che estraggono gas naturale in Bolivia, incrementato i sussidi per la popolazione e allontanato dal paese la Drug enforcement administration, l’agenzia antidroga statunitense. In quegli anni il pil era aumentato del 5 per cento, mentre le persone in condizioni di povertà passarono dal 61 al 37 per cento.

“Abbiamo fatto capire a tutti che la Bolivia ha un futuro”, dice oggi.

Nel 2019 si è candidato per un quarto mandato anche se la costituzione lo vieta. Ha vinto, ma le accuse di brogli hanno alimentato le proteste di piazza. Quando l’esercito gli ha chiesto di dimettersi, Morales è andato in esilio volontario in Argentina. Il potere è stato affidato a un governo provvisorio con una transizione che il Mas considera un colpo di stato. Nel 2020 il partito ha riconquistato il potere con Luis Arce, già ministro delle finanze di Morales e scelto personalmente da lui come successore. Ma quando l’ex presidente è tornato in Bolivia in vista delle nuove elezioni, è diventato chiaro che Arce non voleva rinunciare al potere.

La contrapposizione tra i due leader ha creato una spaccatura nel Mas, con i parlamentari fedeli a Morales che hanno smesso di votare in linea con il governo. Poi sono intervenuti i tribunali. La corte costituzionale ha messo in dubbio la legittimità della candidatura di Morales, mentre un giudice ne ha ordinato l’arresto con l’incriminazione di avere avuto rapporti sessuali con una quindicenne. Secondo Morales le accuse sono politicamente motivate e il governo sarebbe dietro all’attacco di ottobre, quando la sua auto è stata assalita da un gruppo di uomini armati. Le autorità sostengono che l’auto di Morales abbia forzato un posto di blocco.

Mentre il Mas era impegnato in una faida interna, la crisi della Bolivia è peggiorata. I pilastri del modello economico nazionale sono un tasso di cambio fisso, i sussidi per gli alimenti e l’energia e un sistema di abbondanti investimenti pubblici. Lo stato si finanzia esportando gas naturale in cambio di dollari, ma il problema è che i dollari sono quasi finiti. La carenza di carburante paralizza il paese, mentre sul mercato nero il valore del boliviano, la moneta nazionale, è dimezzato rispetto al tasso di cambio ufficiale. Nel 2024 l’inflazione ha raggiunto il 10 per cento e quest’anno potrebbe arrivare al 20 per cento. Morales punta il dito contro Arce, ma in realtà la crisi è cominciata durante i suoi mandati. La Bolivia si mantiene a galla usando le riserve in dollari fin dal 2014, quando gli introiti delle esportazioni di gas crollarono. Inoltre è stato il congresso guidato da Morales a riempire la corte costituzionale di giudici compiacenti: nel 2017 hanno dichiarato che escluderlo dalle elezioni presidenziali del 2019 avrebbe violato i suoi diritti umani.

Morales non vuole rivolgersi al Fondo monetario internazioanle per “salvare” la Bolivia. Crede invece che i suoi “alleati strategici” potrebbero prestare dollari al paese. Ha promesso di tagliare il deficit pubblico, in parte eliminando gradualmente i sussidi che hanno mantenuto il prezzo della benzina intorno ai 50 centesimi di dollaro al litro dal 2004. Inoltre vuole che la Bolivia diventi una “potenza agricola” e che sviluppi le sue risorse naturali, tra cui gli enormi giacimenti di litio.

Morales non ha risposto alle nostre domande sulla necessità di una riforma per evitare che la corte costituzionale continui a essere manovrata dal governo.
La promessa di un ritorno al passato felice fa breccia nella base elettorale di Morales, formata da lavoratori e contadini a cui i suoi governi hanno dato una rappresentanza politica e progressi tangibili. A marzo, in occasione del lancio del suo nuovo partito, Evo Pueblo, c’erano sessantamila sostenitori. Nessun altro politico boliviano può contare su una simile popolarità.

“Se le elezioni ci fossero domani, vinceremmo con il 60 per cento dei voti”, assicura Morales. Tuttavia gli esperti di questioni boliviane dubitano che l’ex presidente possa superare il 30 per cento dei voti, sempre che il suo nome appaia sulle schede. In attesa che il tribunale elettorale si pronunci sulla legittimità della sua candidatura, Morales ha dichiarato che il paese “esploderà” se il verdetto sarà negativo. Resta il fatto che difficilmente i suoi sostenitori potrebbero ribaltare il giudizio del tribunale attraverso le manifestazioni di piazza. Morales, però, non vuole valutare un piano alternativo.

A questo punto è evidente che la posizione del Mas come partito politico più importante del paese è in pericolo. Per la prima volta negli ultimi vent’anni, infatti, il centro o la destra potrebbero vincere le elezioni. Per Morales le possibili conseguenze del voto variano drammaticamente: da una parte un quarto mandato come presidente, dall’altra il carcere.

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