B engaluru non ha bisogno di presentazioni, data la sua fama di Silicon valley indiana.
La capitale dello stato meridionale di Karnataka accoglie giovani da tutta l’India che cercano lavoro nelle multinazionali dell’informatica, come Google, Ibm e Microsoft. Molti altri sono impiegati nei call center. La città, nota come Bangalore, ospita startup importanti: l’azienda indiana Rapido (taxi-bicicletta) e Swiggy (un’app per la consegna di pasti a domicilio) hanno qui il loro quartier generale. Ma può anche sorprendere per l’offerta artistica, letteraria e culinaria.
Prima di diventare una capitale dell’informatica, Bangalore era nota soprattutto come la città giardino dell’India, grazie al suo Cubbon park da centoventi ettari, le strade alberate e giardini come il Lalbagh botanical garden.
In India non si fa un censimento da quattordici anni ma una ricerca del 2019 del Dayananda sagar institute stima che tra il 2001 e il 2011 la popolazione di Bangalore sia cresciuta del 46 per cento, raggiungendo gli 8,4 milioni di abitanti. Per Statista, un sito tedesco di analisi e statistica, la popolazione attuale sarebbe di circa 13,6 milioni. Con l’arrivo di nuovi abitanti cresce la lotta per preservare la lingua locale, il kannada, di fronte alle pressioni del governo centrale per usare l’hindi (una delle 22 lingue ufficiali dell’India).
Nel 2014 la città ha abbandonato il suo nome anglicizzato Bangalore e ha formalmente adottato il nome in kannada Bengaluru. Nel 2023, alcuni gruppi di attivisti hanno distrutto dei cartelli in inglese e lo scorso anno l’amministrazione cittadina ha stabilito che il 60 per cento delle insegne negli esercizi commerciali dev’essere in kannada. Di conseguenza negozi, ristoranti e multinazionali come McDonald’s stanno installando insegne nella lingua locale, anche se il nome Bangalore è ancora usato comunemente.
Il museo interattivo
Ecco una piccola guida per scoprire il meglio di Bangalore.
Alle 7 del mattino la coda dentro l’Upahara Darshini (una catena di ristoranti specializzati nella cucina indiana del sud) nel quartiere residenziale di Jayanagar è già piuttosto lunga. Lavoratori delle aziende tecnologiche si mettono in fila per pagare, madri con neonati in braccio afferrano piatti di idli (tortine di riso salate cotte al vapore) con sambar (stufato di lenticchie e verdure miste), studenti con lunghe tuniche a fiori strappano strisce di dosa fresche e croccanti (crepes di lenticchie fermentate), che intingono in un chutney a base di cocco. Il fumo riempie la cucina mentre i cuochi estraggono dalle teglie una nuova infornata di dosa.
I darshini sono ovunque a Bangalore (ce n’è almeno 1.500) e la loro storia cominciò solo nel 1983, quando l’imprenditore R. Prabhakar aprì il primo negozio ispirandosi alle catene di fast food occidentali come McDonald e Kfc, che aveva scoperto nei suoi viaggi all’estero.
Nei darshini il menù è semplice e il cibo è servito in pochi minuti. I clienti pagano alla cassa, ricevono le pietanze appena preparate da un altro bancone e si spostano ai tavolini per consumarle. Inizialmente i darshini accettavano solo pagamenti in contanti mentre ora si può pagare usando Upi, una piattaforma indiana che usa i qr code. Questi negozi sono un elemento caratterizzante della vita di Bangalore.
Dopo colazione si può prendere un tuk tuk per andare a visitare l’Indian music experience museum, il primo museo interattivo del paese che racconta la storia della sua musica, dalle origini nel periodo vedico, seimila anni fa. Ha oltre cento strumenti, vinili, oggetti da collezione e offre percorsi audio per conoscere l’evoluzione della musica tradizionale – come quella indostana nell’India del nord o quella carnatica nel sud – nelle varie fasi della vita sociale, politica e culturale del paese. Il museo è anche il luogo ideale per conoscere la musica delle varie comunità indiane, oltre alla storia di Bollywood, l’industria cinematografica in lingua hindi di Mumbai. Un giardino di sculture aiuta i visitatori a capire le basi della fisica del suono. Inoltre nello studio d’incisione del museo si può registrare un brano.
Il cibo è centrale in questa città, diventata una delle migliori destinazioni in India per la cucina contemporanea. Nei vari quartieri ci sono molti locali con prodotti biologici e un arredo molto curato, ristoranti di alto livello, altri di tendenza e bar che servono solo cioccolato artigianale.
A Indiranagar, uno dei quartieri più alla moda, ci sono molti locali artigianali. Si può prendere una fetta di blueberry jamboree (una sorta di cheesecake con i mirtilli) nella Magnolia bakery oppure fare un pranzo rilassante al 4P, una catena di pizzerie vietnamita. Di sera in molti si trovano al Toit, una delle prime birrerie artigianali della città, per gustarsi birre chiare fruttate.
Chi non si lascia intimorire dal traffico cittadino può provare il ristorante Farmlore, a un’ora d’auto da Indiranagar, verso nord, che propone un menù degustazione con prodotti provenienti dalla sua azienda agricola. Ha diciotto coperti, ampie vetrate e si trova in un cortile tra banani, alberi di mango, cocco e giaco. Gli orti sono alimentati a energia solare. Lo chef Johnson Ebenezer cambia il menù ogni mese, ed è importante sapere che tra le sue proposte ci sono spesso piatti tipici delle comunità indigene che vivono sui Ghati occidentali, una catena montuosa del Karnataka, tra cui anche pietanze a base di formiche rosse.
Tornando in centro città si può andare al Burma Burma, che ha un menù esclusivamente vegetariano ed è specializzato nella cucina birmana. Nato a Mumbai come raffinato ristorante e sala da tè, oggi è presente in sei città con bellissime sedi e propone rivisitazioni di piatti classici come la zuppa di samosa (croccanti samosa fritti in una zuppa di ceci neri) e il _ khow suey_ vegetariano (spaghetti in brodo di cocco aromatizzati con citronella e tamarindo). La città ospita anche locali che servono i piatti tradizionali dell’India meridionale. Il Nagarjuna, per esempio, è frequentato sia dalla gente del posto sia dai turisti per le specialità della costa dell’Andhra Pradesh (uno stato a est del Karnataka), servite su foglie di banano.
Il Mavalli Tiffin rooms, fondato nel 1924 come Brahmin coffee club, è un’istituzione di Bangalore che serve caffè e idli. Gestito in origine da tre fratelli, durante la seconda guerra mondiale, quando l’occupazione giapponese della Birmania aveva provocato una carenza di riso, il piccolo ristorante introdusse una novità nella dieta indiana: creò i rava idli, preparati con la rava, una semola di grano duro, al posto del riso.
Gatti in libreria
Il Rezwan Razack’s museum of indian paper money, il museo della moneta indiana, offre una prospettiva interessante sulla storia del paese. Ci sono monete e banconote rare usate durante l’impero anglo-indiano dal 1858 al 1947. Altre collezioni includono banconote demonetizzate in circolazione in Pakistan subito dopo la divisione dell’India britannica in India e Pakistan del 1947, e valute usate e poi bandite in Myanmar.
Bangalore non delude neanche gli amanti dei libri. In Church street ci sono alcune delle librerie più importanti della città. Molti abitanti hanno passato un bel pezzo della loro infanzia nella Blossom Book House, che ha quasi seicentomila volumi, dai classici ai manuali di cucina, dalle rare copie firmate ai libri per bambini, guide di viaggio, manga, libri d’arte o di giardinaggio. A un paio di isolati c’è Bookworm, una libreria piccola ma accogliente, dove alcuni gatti sonnecchiano mentre i clienti esplorano le selezioni, ugualmente notevoli, di volumi di seconda mano e successi contemporanei.
Gli appassionati di musica carnatica possono andare all’albergo Leela Palace Bengaluru, immerso in un giardino di quasi tre ettari e con facciate in arenaria coperte di edera, per assistere ai concerti della sera. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati