Un anno fa, il 21 febbraio 2020, scattavano le prime chiusure per contenere il contagio da covid-19 in Italia. Inizialmente i lockdown furono imposti solo in alcune regioni (Lombardia ed Emilia-Romagna) e in settori specifici (le scuole), ma ebbero comunque un forte impatto. In quel momento in Italia il bilancio era di appena 152 casi di covid-19 e tre morti, tanto che le misure delle autorità sembravano eccessive. Ma con il passare dei giorni i provvedimenti diventarono più drastici. Il 4 marzo fu sospesa l’attività in tutte le scuole italiane. Una settima dopo l’intero paese entrò in lockdown. Il 12 marzo i morti erano ormai mille (una cifra spaventosa in quel momento) e quattro giorni dopo erano già raddoppiati.

Tutti in fila

La maggior parte degli altri paesi continuava a vivere liberamente, mentre in Italia eravamo prigionieri nelle nostre case e osservavamo scene apocalittiche al telegiornale: medici in tuta protettiva, reparti ospedalieri pieni di caschi a ossigeno e obitori talmente stracolmi di bare da rendere necessario l’intervento dell’esercito. Presto saremmo arrivati a mille morti al giorno. I giornali locali riempivano pagine su pagine di necrologi. Parma, la città dove vivo, era così silenziosa che gli unici suoni percepibili erano il cinguettio degli uccelli e le sirene delle ambulanze.

In quelle terrificanti settimane la popolazione ha dato prova di una grande vitalità. Le persone cantavano insieme dalle finestre e dai balconi. I violinisti e i chitarristi avevano trasformato i terrazzi in palcoscenici. A Finale Ligure due ragazze hanno giocato a tennis da un tetto all’altro. Nonostante il dolore, stava succedendo qualcosa di straordinario. I pesci erano tornati nelle acque dei canali veneziani, mentre i delfini si aggiravano nei porti chiusi. Lepri e cervi comparivano nei parchi pubblici e nei campi da golf. In piazza di Spagna, a Roma, erano tornate le anatre selvatiche, mentre l’aria della valle del Po, di solito molto inquinata, si era rapidamente ripulita. Spesso cantavamo Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano.

Quel periodo ha cambiato non solo il modo in cui gli stranieri vedevano l’Italia, ma anche il modo in cui gli italiani vedevano se stessi. Secondo uno stereotipo caro tanto agli stranieri quanto agli italiani, l’Italia è un paese che ama aggirare le regole, sempre pronto a ignorare il bene pubblico in nome dell’interesse privato. Eppure durante la primavera l’Italia sembrava ordinata e ubbidiente. “Abbiamo imparato a fare la fila”, ha detto scherzando mia moglie, italiana.

Non ci sono state corse per accaparrarsi la carta igienica. Altri paesi erano riluttanti ad adottare le linee guida, mentre l’Italia ha avuto leggi chiare e ha rispettato le nuove regole di comportamento. Sembrava avesse acquisito una sorta di austera dignità, come se partecipasse a un funerale molto sentito.

Catastrofe economica

Mentre Bergamo diventava l’epicentro della crisi, la sua squadra di calcio, l’Atalanta, stupiva nella fase finale della Champions league. Per un momento è sembrato che le sofferenze del paese potessero essere bilanciate da una redenzione. Ma naturalmente non è andata così. Con l’avanzare della primavera i morti sono passati dai diecimila di marzo ai ventimila di metà aprile, per raggiungere i trentamila all’inizio di maggio. E intanto l’umore cambiava. La strana euforia iniziale era sparita. Lo slogan “Andrà tutto bene” sui lenzuoli appesi ai balconi sembrava insulso e quasi offensivo.

L’economia italiana – molto dipendente dal turismo, il settore più colpito dalla crisi – era in ginocchio. In pochissimi prenotavano le vacanze in Italia. Bar e ristoranti dovevano adattarsi alla riduzione degli orari d’apertura e a regole che cambiavano in continuazione. “Se le mie uniche entrate provenissero dal ristorante mi sparerei”, mi disse il mio amico Luca.

È aumentata la solidarietà e sono nate nuove associazioni di volontariato

Purtroppo molte altre persone erano meno fortunate di Luca. A metà maggio almeno quattordici commercianti si erano suicidati a causa della catastrofe economica. A settembre il bilancio dei suicidi era salito a 71. Dietro queste tragedie se ne nascondevano altre: fallimenti, divorzi, violenze domestiche. Attualmente il tasso di disoccupazione in Italia è intorno al 9 per cento. Quello giovanile è al 30 per cento. In queste cifre c’è una sconvolgente disparità di genere: delle 444mila persone che hanno perso il lavoro nel 2020, 312mila sono donne (il 70 per
cento). In mezzo a questi numeri, sono le storie individuali a restare impresse. Come il suicidio del ristoratore fiorentino Luca Vanni o la morte del pianista jazz Adriano Urso, 41 anni, costretto a reinventarsi come fattorino e colpito da un attacco cardiaco mentre cercava di far partire la sua Fiat d’epoca.

Questa catastrofe economica ha avuto due conseguenze. La prima è che il crimine organizzato ha riempito il vuoto, come spesso succede quando lo stato italiano sembra impreparato davanti a una crisi. I mafiosi hanno distribuito pacchi alimentari nelle periferie, hanno smesso di riscuotere il pizzo e hanno offerto prestiti immediati. L’“assistenzialismo mafioso” è una mossa strategica per affermare la superiorità delle cosche rispetto allo stato, uno strumento per creare consenso, controllo e debito (sia letterale sia metaforico).

La mafia ha rilevato le aziende in difficoltà: tra aprile e settembre 43.688 aziende italiane sono passate di mano. Anche se non tutte sono state acquistate dai criminali, l’alto numero di compratori che hanno mantenuto l’anonimato attraverso società off shore e fondi poco trasparenti è significativo. Le società controllate dalla mafia aspettano con impazienza i 209 miliardi di euro del fondo per la ripresa che l’Italia riceverà dall’Unione europea.

La seconda è che intanto è aumentata anche la solidarietà. L’epidemia ha rafforzato la consapevolezza che i più deboli sono vulnerabili e sono nate associazioni di volontariato e banchi alimentari per assisterli.

A Brescia, una delle città più colpite dal virus, Yas, italopalestinese, ha fondato Cibo per tutti, un’associazione che distribuisce 450 pasti a settimana. È un’esperienza che ha cambiato il tessuto sociale della città. “Il virus ci stava isolando”, racconta una donna, “c’era un bisogno fisico di essere una comunità. Il cibo è diventato uno strumento per riuscirci”.

Altri cambiamenti sono stati più sottili. Dal 2006 circa 2,4 milioni di italiani, spesso giovani e altamente qualificati, hanno lasciato il paese. Oggi il 9 per cento della popolazione italiana vive all’estero. Negli ultimi dodici mesi, però, questa tendenza si è invertita. Non esistono dati affidabili sul numero di giovani tornati in Italia approfittando della possibilità di lavorare a distanza, ma posso dire che almeno tre miei amici sono rientrati in patria dopo anni trascorsi a Londra.

Il cambiamento demografico si verifica anche sul fronte interno. Il lavoro a distanza, abbinato agli incentivi fiscali, ha permesso a molti abitanti del sud di tornare a casa dalle città industriali del nord (il fenomeno viene definito con un goffo gioco di parole south working). Visto che molti italiani possiedono una seconda casa, alcuni hanno deciso di affrontare la pandemia in campagna.

Tutti questi cambiamenti hanno portato molti piccoli centri, ormai quasi disabitati, ad avere un improvviso (anche se forse temporaneo) aumento della popolazione.

Ma esiste anche un segno tangibile del pessimismo imperante, il cosiddetto baby bust, il disastro delle nascite. Già prima della pandemia l’Italia aveva uno dei tassi di natalità più bassi del mondo, e a dicembre del 2020, nove mesi dopo il primo lockdown, le nascite erano calate del 21,6 per cento rispetto al 2019. Il numero complessivo dei nuovi nati nel 2020 dovrebbe aggirarsi attorno ai 408mila, il più basso dall’unificazione dell’Italia nel 1861.

Questi numeri sono particolarmente significativi e ricordano all’Italia che la sua popolazione sta invecchiando rapidamente. Il fatto che circa il 17 per cento degli italiani abbia più di settant’anni e il 7,2 per cento abbia superato gli ottanta è considerato una delle prime cause dell’elevata mortalità da covid-19. In Italia il numero di morti causati dal virus ha oltrepassato quota 95mila.

Il panorama economico resta scoraggiante. Nell’ultimo anno il debito italiano è aumentato ancora, e oggi si attesta al 160 per cento del pil. In questo momento l’Italia è un luogo sobrio e austero, due aggettivi che potrebbero descrivere anche Mario Draghi, il presidente del consiglio appena entrato in carica. ◆ as

Tobias Jones è un giornalista e scrittore inglese. In Italia ha pubblicato Il cuore oscuro dell’Italia (Rizzoli 2003), Sangue sull’altare (Il Saggiatore 2012) e Ultrà (Newton Compton 2020).

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati