Unione europea
Il 10 febbraio più di quaranta mezzi d’informazione polacchi hanno indetto un oscuramento di 24 ore per protestare contro un disegno di legge che introduce nuove tasse sulla pubblicità. Il governo nazionalpopulista di Varsavia sostiene di aver bisogno di soldi per combattere il covid-19. Ma per le aziende del settore le nuove tasse penalizzerebbero in modo sproporzionato le testate più critiche nei confronti del partito di governo Legge e giustizia (Pis), e in alcuni casi potrebbero perfino farle chiudere.
“La pandemia ha colpito duramente l’informazione. Dobbiamo sostenere le testate, piccole o grandi che siano. Il fondo per la ripresa dell’Unione europea dovrebbe essere usato per promuovere la libertà e il pluralismo dell’informazione”, ha scritto l’11 febbraio su Twitter Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea. La maggior parte dei mezzi d’informazione indipendenti polacchi ha pubblicato una prima pagina o una home page nera con il logo “media senza scelta”, mentre le stazioni radiofoniche hanno trasmesso a ciclo continuo registrazioni che spiegavano i motivi della protesta.
La proposta di legge introduce diversi livelli di imposte sulle pubblicità e interessa stampa, televisione e internet. I cinema indipendenti, già colpiti duramente dalle chiusure di questi mesi, sarebbero ulteriormente penalizzati. Crescerebbe la pressione sui giornali, che devono già fare i conti con la concorrenza delle testate online, con le perdite dovute alla pandemia e, nel caso dei quotidiani indipendenti, con il calo delle inserzioni pubblicitarie statali dopo l’ascesa al potere di Pis. Inoltre le tasse imposte alle grandi aziende di internet sembrano del tutto inadeguate, considerando che il governo polacco aveva promesso di limitarne il potere.
Oltre all’iniquità di un sistema di aliquote che penalizzerebbe proprio le aziende più vulnerabili, è palese l’intento politico della legge: danneggiare le testate critiche nei confronti del potere e rafforzare quelle più favorevoli al governo.
L’esecutivo polacco ha annunciato che investirà le entrate in misure per combattere la pandemia. Ma anche se il 50 per cento sarà destinato alla sanità, il 35 per cento andrà al nuovo fondo per il sostegno della cultura e del patrimonio nazionale nella sfera dei mezzi d’informazione. Secondo il disegno di legge, infatti, le risorse saranno usate per aumentare i contenuti polacchi nei mezzi d’informazione. È facile immaginare che questo significhi anche finanziare i progetti delle aziende vicine a Pis (che già beneficiano non solo della pubblicità statale, ma anche dei contributi governativi) o anche social network di destra come Albicla, il Facebook polacco.
Due pesi e due misure
Per alcuni la Polonia sta seguendo l’esempio dell’Ungheria, dove il governo illiberale di Fidesz attacca l’indipendenza dei mezzi d’informazione dal 2010. In Ungheria l’argomento è tornato al centro dell’attenzione nei giorni scorsi, quando un tribunale di Budapest ha confermato che l’ultima radio indipendente del paese, Klubradio, ha perso la licenza e dal 15 febbraio può trasmettere solo via internet. Klubradio aveva fatto ricorso contro la decisione del Consiglio dei mezzi d’informazione (controllato dal governo) di non concedere il rinnovo della licenza per altri sette anni. Dopo la decisione del tribunale di Budapest l’amministratore delegato dell’emittente, Richard Stock, ha dichiarato che si rivolgerà alla corte suprema e se necessario anche alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il Consiglio dei mezzi d’informazione riteneva che l’emittente avesse violato le regole del settore e ricordava che negli ultimi sette anni era stata multata due volte. Tra le violazioni contestate c’era la mancata presentazione di alcuni documenti amministrativi entro la scadenza prevista, a cui tuttavia Klubradio aveva rimediato in breve tempo.
Il portavoce del governo Zoltan Kovacs ha negato qualsiasi intento politico e ha citato la Francia e gli Stati Uniti, le cui norme prevedono che “nel caso di violazione ripetuta delle regole da parte di un’emittente la richiesta di rinnovare automaticamente la licenza dev’essere respinta”. Klubradio sostiene che altre radio più vicine al governo abbiano avuto problemi burocratici simili, eppure la loro licenza è stata rinnovata senza ritardi.
Agenti stranieri
Intanto gli attacchi contro la libertà dei mezzi d’informazione si sono estesi alla Repubblica Ceca. Radio Free Europe/Radio Liberty, emittente con sede a Praga, si è impegnata a combattere le manovre del Cremlino per ostacolare i suoi resoconti sulla Russia. Finanziata dal governo statunitense, la radio sostiene di essere stata multata ogni settimana dalle autorità russe per aver infranto la legge che impone alle testate definite “agenti stranieri” di presentarsi come tali. Il 10 febbraio è arrivata un’altra sanzione per un ammontare di 123mila euro.
La libertà dei mezzi d’informazione sembra essere uno dei pochi princìpi democratici che la Slovacchia intende difendere. Il paese, infatti, figura al 33° posto (primo tra quelli del gruppo di Visegrád) nel World press freedom index 2020 compilato da Reporter senza frontiere. Nel 2016 la Slovacchia si era piazzata addirittura al 12° posto, ma ha perso terreno quando i suoi politici hanno preso l’abitudine di attaccare verbalmente i giornalisti, mentre la retorica antisistema ha cominciato a diffondersi in una serie di piattaforme specializzate nella disinformazione. La vergognosa ma breve collaborazione tra la principale agenzia di stampa del paese, Tasr, e l’emittente Sputnik, finanziata dal Cremlino, non ha aiutato.
Per rimediare, il 13 gennaio la ministra della cultura Natalia Milanova ha annunciato una nuova legge sui mezzi d’informazione che garantirà la protezione costituzionale dei giornalisti e delle loro fonti. L’iniziativa segue la notizia secondo cui a gennaio la giornalista Monika Todova, del quotidiano Dennis N, sarebbe stata pedinata su ordine dell’ex primo ministro Robert Fico. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati