Angelo Venturato abbraccia il fioraio all’ingresso del cimitero. È da questi dettagli che si riconoscono i visitatori abituali. Venturato si immerge nel labirinto di marmi grigi, camminando con la schiena dritta senza prestare attenzione ai ritratti degli uomini vestiti a festa e sepolti nel secolo scorso. Quella è storia antica.

Con passo meccanico raggiunge il settore “nuovissimo” del cimitero di Acerra, cittadina di sessantamila abitanti, dove la periferia nord di Napoli incontra la campagna alle pendici del Vesuvio. Venturato è una persona taciturna e oggi indossa una maglietta bianca.

Una discarica abusiva nei pressi dei resti di un convento dei Cappuccini. Aversa (Caserta), settembre 2025. (Tommaso Bonaventura, per M le magazine du Monde)

Una vita breve

È in questa nuova parte del cimitero che riposano i defunti sepolti negli ultimi anni. Venturato rallenta. Come farebbe la guida di un museo, indica una tomba con la foto di un adolescente con i capelli impomatati che ricordano la pettinatura di Elvis Presley. “Tumore”, sussurra.

Poco lontano, indica la lapide di un giovane laureato. “Tumore”. Gira l’angolo a destra. “Un altro tumore”. Alza la testa. “Tumore il fratello e tumore la sorella”. Tra le date di nascita e morte, il calcolo è rapido. Nessuno aveva più di quarant’anni. Le tombe sono decorate con foto di fidanzamenti, compleanni, vacanze al mare. A volte mostrano bambini con l’abito della comunione o del battesimo. La profusione di cuori, orsacchiotti e sciarpe azzurre della squadra di calcio del Napoli dona a questi sentieri sinistri una strana atmosfera infantile. “Tumore”, “tumore”, “tumore”… Venturato prosegue lungo il suo percorso diventato ormai un rituale quasi quotidiano. S’inginocchia davanti a decine di tombe di giovani che abitavano in Campania, tutti morti di cancro negli ultimi vent’anni. Poi lascia che le lacrime inondino i suoi occhi.

Tira fuori dalla tasca una chiave, apre il suo magazzino personale incastrato in una cripta, posiziona una sedia da campeggio davanti a una tomba e si siede per parlare con sua figlia Maria, che nella foto sulla lapide ha un viso raggiante. Spesso fa risuonare una canzone di Vasco Rossi, il cantante adorato da Maria. Oggi invece resta in silenzio, insensibile all’andirivieni del personale del cimitero e delle persone che vanno a trovare i loro morti. “Aveva 25 anni. Faceva una vita sana, mangiava verdure, non fumava e non beveva alcol. È morta nell’aprile 2016, un mese prima di sposarsi”, racconta.

Le sepolture del cimitero di Acerra, settore “nuovissimo”, raccontano un’ecatombe generazionale in un territorio dove i tumori più rari colpiscono con la forza di un’epidemia. “Se in passato qui moriva un ragazzo era a causa di un’arma da fuoco. Ora muoiono di tumore”, spiega con tristezza Venturato. Sua moglie ha “perso la ragione”, confessa. A casa serve ancora i pasti alla figlia, le cambia le lenzuola e lo spazzolino da denti, come se Maria dovesse tornare da un breve viaggio. “Il martedì, quando il cimitero chiude ai visitatori, mia moglie s’intrufola nei cortei funebri per non perdere nemmeno un giorno vicino a lei”.

Angelo Venturato davanti alla tomba della figlia Maria. Acerra (Napoli), settembre 2025 (Tommaso Bonaventura, per M le magazine du Monde)

Discarica a cielo aperto

Acerra si trova nel cuore della “terra dei fuochi”, la pianura che separa Napoli da Caserta, assemblaggio anarchico di borgate e campi agricoli diventato dalla fine degli anni ottanta un deposito di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del nord e centro Italia, smaltiti in modo illegale e a prezzi stracciati dai clan della camorra. È una discarica a cielo aperto che brucia senza sosta, diffondendo fumi tossici nell’aria e riempiendo il terreno e le falde acquifere di un cocktail mortale di metalli pesanti.

La rivista scientifica britannica The Lancet, nel numero del settembre 2004, definì questa zona “il triangolo della morte”. Un rapporto del 2021 dell’Istituto superiore di sanità sottolineava la forte incidenza di leucemie infantili, tumori al seno, malformazioni dell’apparato urinario e casi gravi di asma, confermando che la zona era una delle più inquinate d’Europa.

Nel 2014 è stato depositato presso la Corte europea per i diritti umani l’esposto “Cannavacciuolo e altri contro l’Italia”, firmato da 41 residenti del territorio, in cui si afferma che lo stato non ha saputo gestire l’emergenza sanitaria. La sentenza emessa il 30 gennaio 2025 ha condannato l’Italia per “violazione del diritto alla vita” dei quasi tre milioni di abitanti dell’area.

Da quel momento è partito il conto alla rovescia: lo stato ha due anni di tempo per rispondere al disastro. Dopo aver nominato a marzo un commissario straordinario, il generale Giuseppe Vadalà, il 1 ottobre il parlamento ha convertito in legge un decreto che rafforza i controlli, inasprisce le pene per traffico di rifiuti e apre la strada a un recupero delle aree inquinate.

Luigi Costanzo, medico di base a Frattamaggiore (Napoli). (Tommaso Bonaventura, per M le magazine du Monde)

“Una decina di anni fa tutte le persone che vivevano qui avevano almeno un parente malato. Ora i parenti sono due o tre per famiglia”, racconta Alessandro Cannavacciuolo, 36 anni, primo firmatario dell’esposto, la cui famiglia è stata colpita dolorosamente dall’inquinamento. “Ci hanno minacciato e ci hanno trattato come pazzi. Alcuni politici hanno addirittura dichiarato che morivamo a causa del nostro stile di vita. Ma ora la risposta è senza appello. Dobbiamo fare il possibile per salvare la nostra vita e quella dei nostri figli”.

Vent’anni fa i Cannavacciuolo, una famiglia di pastori, sono stati i primi a rivolgersi alle autorità locali quando i loro agnelli cominciarono a nascere con malformazioni terrificanti a causa dei pascoli impregnati di diossina.

Nonostante i processi contro il clan dei Casalesi, che in passato controllava gli appalti illegali per l’incenerimento dei rifiuti, e malgrado le promesse da parte dei politici di bonificare il territorio, gli sversamenti tossici non hanno rallentato, nemmeno dopo la sentenza europea di gennaio. Parcheggi abbandonati, sentieri forestali, terreni sotto i ponti autostradali, zone adiacenti ai campi di lattuga: ogni minimo spazio viene riempito, bruciato, poi riempito di nuovo, poi ancora bruciato. Fino alla nausea.

Tre madri

Cannavacciuolo non fa più il pastore, anche perché ad Acerra il pascolo libero delle greggi è ormai vietato. Ha studiato criminologia e oggi gestisce un bar sul corso principale della città. Intorno a lui le altre vittime dei fuochi tossici sono diventate degli investigatori dilettanti e organizzano pattugliamenti per documentare e denunciare i crimini, passando al setaccio questo “triangolo” dai contorni sfocati.

Antonietta Moccia, al centro, con Annamaria Romanelli e Raffaella Esposito. Acerra (Napoli), settembre 2025 (Tommaso Bonaventura, per M le magazine du Monde)

In un pomeriggio di fine settembre, sotto un cielo lattiginoso, ci sono tre madri munite di cellulare per registrare le coordinate gps degli ultimi scarichi abusivi. Camminano a fatica su un sentiero polveroso nella campagna attraversata dai regi lagni, canali artificiali scavati a partire dal sedicesimo secolo, durante la dominazione spagnola, per irrigare questi terreni vulcanici estremamente fertili.

Oggi le acque dei canali sono nere e maleodoranti. Il terreno è pieno di rifiuti industriali. Le tre donne, avvolte da nuvole di mosche, catalogano i barattoli di vernice e solventi apparsi negli ultimi giorni, senza dimenticare gli pneumatici sparsi in giro e pronti per essere bruciati.

Antonietta Moccia, 61 anni, guida il piccolo gruppo e conosce bene le conseguenze di queste bombe tossiche. Sua figlia Miriam, 19 anni, è sopravvissuta, dopo sei cicli di chemioterapia e diverse operazioni chirurgiche, a un cancro molto aggressivo che attacca il sistema nervoso.

“Nel resto del mondo il medulloblastoma colpisce una persona su un milione. Qui ad Acerra, che ha 60mila abitanti, abbiamo registrato quattro casi, tra cui quello di Miriam”, spiega Antonietta, sospirando accanto a un campo di pomodori. La celebre varietà San Marzano si coltiva in parte qui (in base al primo rapporto presentato dal commissario Vadalà nel maggio 2025, solo su 90 ettari è vietata l’attività agricola).

“In estate la situazione è peggiorata. Ogni giorno vediamo nuvole di fumo tossico alzarsi verso il cielo, come nei film western con i falò degli indiani”. Un grido la interrompe all’improvviso. “Amianto!”, urla Annamaria, un’altra componente del gruppo, pietrificata davanti a un cumulo di lastre ondulate in decomposizione.

Le vittime dei fuochi tossici sono diventate degli investigatori e organizzano pattugliamenti per documentare e denunciare i crimini

“Quando ero piccola venivamo qui a passeggiare la domenica, facevamo il bagno nei canali”, racconta Annamaria dopo essersi ripresa dallo spavento, mimando allegre bracciate.

Il tempo stringe e non è prudente soffermarsi su questo sentiero che porta verso un gruppo di case fatiscenti in mano alla camorra. Le minacce frequenti colpiscono chiunque osi ostacolare lo smaltimento clandestino. Di recente un’amica delle tre donne è stata avvicinata da un’automobilista che le ha fatto il gesto della gola tagliata. Alcune auto cominciano a girare minacciosamente sulla strada sterrata. “Andiamo via”.

I rifiuti bruciano

A una ventina di chilometri a ovest di Acerra, verso la città di Aversa, un geometra segue le tracce dei rifiuti tossici con uno stile diverso. Enzo Tosti, 67 anni, indossa una polo rossa, non per vanità. Esponente dell’associazione Stop Biocidio, Tosti non nasconde la sua passione per le rivoluzioni zapatiste: “Il sistema ha bisogno della terra dei fuochi, dove si concentra la miseria. Il capitalismo se ne nutre come un vampiro”, dichiara percorrendo un dedalo di strade erbose alle spalle dell’ippodromo, dove i resti di un convento del sedicesimo secolo dei frati cappuccini sono coperti dalla vegetazione e dai rifiuti illegali.

“Distinguiamo essenzialmente tre diversi tipi di rifiuti: detriti dell’attività edile, spazzatura domestica, rifiuti provenienti dalle attività illegali dei clan mafiosi e scarti di scarpe e tessuti”, spiega Tosti, indicando un sacco pieno di brandelli di cuoio con la sigla “made in Italy”. Tutti gli indizi sulla provenienza sono stati meticolosamente rimossi.

“I commissari straordinari non funzionano: non è solo un’emergenza, ma un sistema produttivo che bisogna smantellare”

Quando i rifiuti bruciano interviene un’altra squadra di volontari. I quindici volontari di Acerra lavorano a mani nude, usano le loro auto private e una piccola flotta composta da quattro droni.

Vincenzo Petrella, tecnico aeronautico, tiene sempre d’occhio i messaggi dove sono pubblicate le segnalazioni e le richieste d’aiuto. “La gente ci ha sostituito alle autorità”, spiega. Dopo aver messo in sicurezza le abitazioni vicine, i volontari avvertono e assistono i pompieri, poco pratici delle strade di campagna. “Oltre agli incendi si vedono anche fumi tossici che si alzano al mattino presto, quando vengono accesi i forni delle panetterie, e poi di nuovo la sera verso le sei e mezza, quando arriva il momento di riscaldare i forni per la pizza, perché alcuni usano legna contaminata”.

Pochi soldi per la bonifica

Di fronte a una situazione così drammatica Valentina Centonze, 45 anni, avvocata che rappresenta molte vittime dell’inquinamento, non ha festeggiato troppo la vittoria sancita dalla sentenza della corte europea. Centonze è delusa dalle risposte del governo, che considera temporanee e senza ambizione. “I commissari straordinari non funzionano: questa non è solo un’emergenza, ma un sistema produttivo che bisogna smantellare”, spiega furente l’avvocata, definendo ridicoli i 15 milioni di euro stanziati inizialmente per l’attività di bonifica.

Centonze racconta la sua storia personale, ancora una volta segnata dai tumori e dalla paura. “Mi sono trasferita ad Acerra con la mia famiglia quando avevo cinque anni, alla metà degli anni ottanta. Di quell’epoca ricordo le lucciole e il profumo dell’erba e dell’aria pulita. Poi, dopo il matrimonio, ho scelto di tornare nello smog, a Napoli. Volevo allontanarmi a tutti i costi dalla campagna”.

Marzia Caccioppoli, 50 anni, voleva scappare dal caos di Napoli per far respirare aria pura a suo figlio Antonio. Per questo si era trasferita a Castelnuovo, un comune situato a una decina di chilometri dal capoluogo campano. Ci sono voluti solo pochi mesi perché il sogno si trasformasse in un incubo. “La camera di Antonio era ad angolo e affacciava su due lati della casa, raccoglieva tutti i fumi. Respiravamo a fatica, ci bruciava la gola”.

Il bambino aveva sviluppato un glioblastoma multiforme, un tumore del cervello che di solito colpisce le persone anziane. “Quando siamo andati in un noto ospedale pediatrico di Genova, i medici ci hanno chiesto con insistenza se vivessimo vicini a una discarica, ci hanno parlato di una malattia frequente nelle zone radioattive del Giappone”. Antonio è morto nel giugno del 2014 prima di compiere dieci anni.

Da allora Marzia torna spesso nella terra dei fuochi, come una veterana di una guerra che non finisce. Dieci anni fa ha partecipato alle prime manifestazioni, quando gli slogan antimafia ed ecologisti risuonavano nelle piazze dei paesi, ed è tra i fondatori dell’associazione Noi genitori di tutti. Ma oggi è difficile mobilitare le nuove generazioni.

“Con il passare degli anni sta prendendo il sopravvento la stanchezza. I giovani pensano solo ad andarsene”, conferma Gabriele Aiello, 24 anni, tra la polvere di un vecchio bar che sta ristrutturando per ospitare la sede della sua associazione ambientalista, Casalnuovo coraggiosa.

“Nessuno dei soci vive più qui. Fanno i cuochi in Spagna o si sono trasferiti al nord, oppure in Toscana o a Roma”, rivela Aiello, che quando era ancora adolescente ha perso il padre per un tumore. “Vivere qui significa non aprire le finestre in estate a causa dei fumi, interrogarsi sulla provenienza di ogni alimento e avere paura di morire ogni volta che si presenta un problema di salute”.

Nello studio medico di Luigi Costanzo, nella vicina Frattamaggiore, le visite non sono mai una formalità. “Noi medici di base siamo come sentinelle. Affrontiamo una tempesta perfetta, tra l’aumento dell’incidenza di malattie aggressive che colpiscono persone sempre più giovani e la riduzione delle risorse pubbliche per la sanità”, spiega il dottor Costanzo nella penombra del suo piccolo ambulatorio decorato con dei putti e un crocifisso.

“Prima il tumore era l’ultima ipotesi, mentre oggi è il primo scenario che valutiamo, soprattutto perché colpiscono gli organi presi di mira dagli agenti inquinanti: tiroide, polmoni, vescica, intestino…”.

Il dottor Costanzo, come i suoi colleghi che lavorano nei centri abitati del triangolo della morte, registra tra i suoi pazienti il doppio dei casi di tumore rispetto alla media nazionale. “Nel mio studio le vittime incrociano i loro carnefici. Anche quelli che trasportano i rifiuti tossici per poche decine di euro non sfuggono alle disgrazie. Uno dei trafficanti ha perso un figlio a causa di una leucemia. Era disperato, certo, ma mi ha anche confessato che non poteva smettere perché aveva altri quattro figli da sfamare”, racconta il medico.

Drammi tenuti nascosti

Per osservare più da vicino il male che consuma queste terre bisogna dirigersi a sud, verso la valle verdeggiante di Acerra, in provincia di Salerno dove lavora l’uroandrologo Luigi Montano, impegnato a rintracciare le sostanze tossiche che avvelenano gli abitanti. Nelle sue pubblicazioni scientifiche, la terra dei fuochi sembra un laboratorio degli ecocidi.

Montano cerca gli effetti nefasti delle microplastiche e dei metalli pesanti nello sperma e nel liquido follicolare, più che attraverso l’analisi del sangue o delle urine. Analizzando lo sperma di un gruppo di giovani in buona salute residenti nella terra dei fuochi ha rilevato livelli altissimi di rame, cromo e cadmio.

I suoi studi permettono di associare cifre e parole ai drammi tenuti nascosti dietro le porte chiuse delle case o degli studi medici. “L’inquinamento qui ha effetti transgenerazionali”, spiega Montano, mostrando le statistiche. “Crea problemi gravi di fertilità. Registriamo un aumento dei tumori infantili, ma anche dei casi di disturbo dello spettro autistico e dell’attenzione”.

Il medico, che conosce bene il cimitero di Acerra e il settore “nuovissimo”, sottolinea anche un altro dato: il tasso di aborti particolarmente elevato, che secondo uno dei suoi studi è il triplo di quello nella valle limitrofa. “Se non cambierà niente, a lungo termine andremo incontro alla fine della presenza umana nel nostro territorio”, prevede Cannavacciuolo, il giovane pastore diventato attivista. Gli agnelli deformi che aveva mostrato in pubblico erano il segno premonitore di un disastro invisibile. ◆ as

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati