Nel giro di ventiquattr’ore i due primi produttori mondiali di cacao hanno alzato il prezzo che pagano ai coltivatori. Il 1 ottobre il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara ha annunciato un aumento da 2.200 a 2.800 franchi cfa al chilo (4,93 dollari): un record, legato all’impennata dei prezzi mondiali dell’“oro nero”. Successivamente anche il Ghana ha portato a 4,52 dollari l’importo pagato agli agricoltori per la stagione 2025-2026, per evitare che la sua produzione sia smerciata nel paese vicino.
Il rialzo mira ad attenuare le persistenti difficoltà di una filiera da cui le due economie dipendono fortemente. In Costa d’Avorio il cacao rappresenta una quota compresa tra il 15 e il 20 per cento del pil e quasi il 40 per cento delle entrate generate dalle esportazioni; in Ghana rappresenta tra il 7 e il 10 per cento del pil e circa il 30 per cento delle entrate generate dalle esportazioni.
In Costa d’Avorio il rialzo del prezzo del cacao è uno strumento usato spesso dai governi nei periodi di campagna elettorale per attirare i voti dei coltivatori. Visto che Ouattara punta a un quarto mandato alle elezioni del 25 ottobre, l’aumento non sorprende: nel 2020, alla vigilia del voto, il presidente aveva annunciato un incremento del 21 per cento.
Resta il fatto che l’attuale rialzo è significativo se rapportato ai 1.800 franchi cfa percepiti dai coltivatori un anno fa, o ai mille franchi cfa del 2023. Il prezzo è però inferiore a quello fissato in Camerun, dove sfiora i 4.500 franchi cfa (7,92 dollari).
“Ci aspettavamo l’aumento”, dice Edmond Konan, presidente della Global business group, un’azienda di consulenza e promozione dei coltivatori di cacao ivoriani. “Finora la ricchezza generata dal cacao non è stata distribuita equamente con chi lo produce”. Dal momento che l’80 per cento della produzione è venduto in anticipo, i coltivatori non hanno potuto approfittare dell’impennata dei prezzi mondiali degli ultimi due anni. Per più di un decennio erano rimasti intorno ai tremila dollari alla tonnellata, mentre oggi sfiorano i settemila dollari alla tonnellata, con un picco di tredicimila registrato nel dicembre 2024.
Un modello in difficoltà
Il governo ivoriano spera così di non perdere una forza lavoro di un milione di coltivatori, visto che il mestiere non attira più i giovani. Nel 2019 la Banca mondiale aveva definito la filiera del cacao “poco inclusiva”, ricordando che il 54 per cento dei coltivatori vive sotto la soglia di povertà, con meno di 1,2 dollari al giorno. Secondo i sindacati e gli esperti del settore, un numero crescente di produttori abbandona le piantagioni in cerca di attività più remunerative o per emigrare in Liberia.
In Costa d’Avorio e in Ghana il modello produttivo del cacao ha mostrato i suoi limiti. Negli ultimi anni la resa si è sensibilmente ridotta. Nel 2024 le alte temperature provocate dal fenomeno climatico del Niño hanno avuto conseguenze disastrose sulla qualità e la quantità dei raccolti.
“Il fenomeno non è congiunturale”, nota l’economista François Ruf. “Il calo si può spiegare con diversi fattori: l’invecchiamento delle piantagioni, l’impoverimento del suolo e la diffusione di malattie che colpiscono le piante. Da tempo i terreni coltivati a cacao si sono ampliati a scapito delle foreste. E ora che sono quasi scomparse non è più possibile disboscare. La coltivazione insiste su terreni già sfruttati, mentre i cambiamenti climatici accentuano la siccità e la pressione esercitata dagli agenti patogeni”.
Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del cacao (Icco), questo insieme di fattori – imprevisti climatici, il calo delle rese, ma anche le frodi legate alla vendita di una parte della produzione in altri paesi – in Costa d’Avorio ha determinato un crollo del 30 per cento della produzione rispetto alla stagione precedente. Il Ghana se l’è cavata un po’ meglio (meno 26 per cento) però le previsioni sono pessimistiche: nel 2026 potrebbe perdere il secondo posto nella classifica dei produttori mondiali di cacao, scalzato dell’Ecuador.
La situazione preoccupa le autorità, ma alcuni esperti intravedono un’opportunità. “I prezzi sono alti perché l’offerta si è ridotta”, sottolinea Bakary Traoré, direttore dell’organizzazione non profit Initiatives pour le développement communautaire et la conservation de la forêt (Idef). “La tensione sui mercati ha causato un aumento dei prezzi favorevole per i produttori. Se vogliamo che investano nelle piantagioni, i prezzi fissati dallo stato dovranno restare alti per anni, indipendentemente dalle fluttuazioni del mercato”.
Davanti alle incertezze legate alla produzione di cacao, la Costa d’Avorio ha scelto di diversificare l’economia. Dopo la recente scoperta di giacimenti di oro e di petrolio, il governo scommette sul suo potenziale estrattivo. Il settore aurifero, che oggi oscilla tra il 3 e il 5 per cento del pil, potrebbe nel medio termine far diventare il paese uno dei primi cinque produttori africani. Per quanto riguarda il petrolio, nel 2022 rappresentava il 5 per cento del pil, ma l’entrata in funzione di nuovi impianti d’estrazione avrà un ruolo importante, tanto che la Costa d’Avorio punterà probabilmente a entrare nell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) entro il 2030. ◆ gim
Iscriviti a Economica
|
La newsletter su economia e lavoro. A cura di Alessandro Lubello. Ogni venerdì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Economica
|
Iscriviti |
La newsletter su economia e lavoro. A cura di Alessandro Lubello. Ogni venerdì.
|
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati