Nonostante la “sospensione” delle operazioni militari israeliane a Gaza annunciata il 4 ottobre, le centinaia di migliaia di persone che ancora vivono nella città della Striscia devastata dalla guerra continuano a subire i bombardamenti. Israele porta avanti l’offensiva per conquistare la città, anche se l’esercito ha detto di voler rispettare la richiesta del presidente statunitense Donald Trump di “interrompere immediatamente i bombardamenti su Gaza” per aprire la strada allo scambio di prigionieri accettato da Hamas.
Naim Nasser, che vive ancora in città, riferisce che le forze di occupazione continuano a radere al suolo i quartieri meridionali e orientali di Tal al Hawa, Tuffah e Sabra con dispositivi a distanza. Le forze israeliane hanno colpito anche il quartiere di Rimal, un tempo centro nevralgico dell’economia della città. “Pensavamo che le forze di occupazione avrebbero smesso di bombardare e di commettere crimini”, dice Nasser. Le truppe israeliane hanno mantenuto le loro posizioni anche nel resto della Striscia e in alcuni casi sono avanzate.
Nelle oltre sei settimane dall’inizio dell’operazione militare israeliana per prendere il controllo di Gaza, centinaia di migliaia di persone hanno dovuto lasciare quella che un tempo era la città più popolosa della Striscia. Tuttavia, altre 250mila vivono ancora lì, secondo Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi. Il 3 ottobre Trump ha chiesto a Israele di interrompere l’aggressione nella Striscia, appena Hamas ha risposto alla sua iniziativa per un cessate il fuoco. Il movimento si è impegnato a liberare tutti i prigionieri israeliani a Gaza e ad avviare dei negoziati sul dopoguerra. La dichiarazione di Hamas, tuttavia, si discosta dalla proposta articolata da Trump la settimana precedente, insistendo sulla necessità di avere condizioni sul campo adeguate per consegnare i cinquanta ostaggi, vivi e morti, che si ritiene siano ancora nella Striscia.
Tra le macerie
Hamas ha anche chiesto dei colloqui nazionali palestinesi per andare verso un modello di autogoverno nella Striscia, un’alternativa in netto contrasto con il protettorato internazionale delineato nel piano di Trump. Il 4 ottobre la Casa Bianca ha fatto sapere che Israele aveva accettato una linea di ritiro e che, appena ci fosse stata la conferma di Hamas, il cessate il fuoco sarebbe stato immediato. Nell’immagine allegata alla dichiarazione, tuttavia, la linea di ritiro rappresentava solo una piccola porzione della Striscia, lasciando una vasta zona cuscinetto, corrispondente grosso modo al territorio controllato da Israele prima della vasta offensiva sulla città di Gaza.
Il 4 ottobre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto: “Spero di potervi annunciare il ritorno di tutti i nostri ostaggi, vivi e morti, in un colpo solo, mentre l’esercito manterrà le sue posizioni nella Striscia di Gaza e nelle aree che controlla”.
Gli abitanti di Gaza, tuttavia, non hanno speranze, vedono solo altre tragedie, mentre continua il blocco alla consegna di cibo e acqua. Ramadan Abu Sakran racconta di aver visto persone vagare in cerca dei loro cari dopo un attacco su una zona residenziale: “Un uomo non trovava traccia del suo unico figlio, neppure un pezzo di vestito. Un ragazzo cercava i suoi genitori sotto le macerie dicendo ‘Erano qui. Questa è casa loro’. E poi ho visto altri che volevano estrarre il corpo di un loro fratello, incastrato tra il muro e il soffitto. Gridavano: ‘Ma non c’è una tregua?’”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati