Il vertice sul clima del 22 e 23 aprile organizzato dalla Casa Bianca, con la partecipazione di quaranta tra i paesi più inquinanti al mondo, non può essere un modo per ripulirsi la coscienza. Dopo l’accordo di Parigi del 2015 il pianeta ha preso una strada preoccupante. Le emissioni di anidride carbonica continuano ad aumentare e rischiano di produrre conseguenze irreversibili. L’ambizione del presidente americano Joe Biden è chiara: vuole mantenere le sue promesse elettorali e rendere nuovamente gli Stati Uniti una potenza in grado di esercitare un’influenza globale.

L’iniziativa sul clima è uno degli atti più significativi della sua presidenza, ma le insidie sono molte. Gli stati di tutto il mondo sono concentrati sul rilancio delle loro economie colpite dalla pandemia. Biden deve restaurare l’immagine del suo paese, intaccata dalla disastrosa politica del suo predecessore Donald Trump. Ed è quello che sta cercando di fare. Ha nominato persone competenti all’Epa, l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente. Ha presentato un piano d’investimenti infrastrutturali in cui le energie rinnovabili hanno un ruolo cruciale. Ha interrotto la costruzione di un oleodotto che avrebbe dovuto portare negli Stati Uniti il petrolio delle sabbie bituminose canadesi. Per gli europei è un sollievo vedere un alleato che torna in sé e rientra nell’accordo di Parigi. Secondo paese più inquinante al mondo dopo la Cina, gli Stati Uniti possono essere il catalizzatore di una svolta mondiale. È quello che era riuscito a fare Barack Obama. Dopo la cocente delusione della conferenza di Copenaghen nel 2009, Obama aveva tratto alcune lezioni. La cooperazione tra Obama e il presidente cinese Xi Jinping nel 2014 aveva cambiato il corso della conferenza di Parigi e permesso di superare le reticenze di paesi come l’India. Oggi John Kerry, l’inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, vuole ripetere questa strategia. Ma gli ostacoli non mancano. Niente garantisce che nel 2025 il prossimo inquilino della Casa Bianca non smantelli la politica climatica dell’attuale presidente. Questa incertezza di fronte agli impegni di lungo periodo è dannosa. La cooperazione con Pechino è un buon segno, ma è molto fragile viste le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti.

Sul piano interno, Biden dovrà fissare obiettivi ambiziosi ma realistici. Nei prossimi giorni dovrebbe annunciare una riduzione del 50 per cento delle emissioni statunitensi entro il 2030. Al congresso dovrà però fare i conti con un avversario difficile: la potente lobby del petrolio e del gas. ◆ ff

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati