Il 13 febbraio, il giorno dopo il capodanno lunare, Kim Jina era nella sede del sindacato nel porto di Busan, una città nella Corea del Sud meridionale. C’era un problema con i parcheggi degli autotrasportatori. Centinaia di camion erano parcheggiati lungo la strada perché non c’erano altri posti disponibili. Nel nuovo porto di Busan non c’è un parcheggio pubblico. Così gli autisti vengono multati e i pedoni rischiano di farsi investire. Quel giorno Kim Jina, che ha 45 anni, ha recitato lo slogan del sindacato: “Più sicurezza per i pedoni, più diritti per gli autotrasportatori”.

Kim Jina è stata eletta a capo della sezione occidentale del sindacato autotrasportatori il 6 dicembre 2020. È la prima e unica donna a ricoprire quest’incarico in Corea del Sud. Nel settore del trasporto merci, le donne sono meno dell’1 per cento dei lavoratori. Per lei non è stato facile inserirsi in un campo molto conservatore, per lo più formato da uomini tra i cinquanta e i sessant’anni; figuriamoci diventarne la leader. Sorridendo dice: “Se mi guardo indietro, credo di aver fatto un ottimo lavoro!”.

Ha incontrato personalmente i suoi potenziali elettori. E alla fine ha preso più voti di quanto si aspettasse: l’85 per cento

La prima volta che si è messa al volante di un camion era il 2016. Cercava un lavoro per mantenersi. Quando l’industria dei cantieri era andata in crisi, i guadagni di suo marito, un saldatore, erano calati molto. Kim Jina si era detta: “Non posso fare affidamento solo su di lui, devo cominciare a lavorare anche io”. Si era sposata a vent’anni, non aveva mai lavorato e non era specializzata in niente.

Poteva finire a lavare piatti o a servire nei ristoranti. Invece ha cominciato a guidare. Era attratta dai grandi mezzi di trasporto, ma chi le stava intorno non faceva che scoraggiarla. Secondo suo marito, guidare un camion era troppo pesante per una donna e non ce l’avrebbe mai fatta. Ma Kim non faceva distinzioni tra uomini e donne e alla fine s’è decisa a prendere la patente per guidare autobus e mezzi pesanti.

Purtroppo sembravano non esserci lavori per un’autista, per di più “principiante”. L’azienda degli autobus non ha voluto assumerla. Poi nell’agosto del 2016 ha conosciuto per caso Yi Seung-dok, che all’epoca si occupava del tema della sicurezza nel sindacato degli autotrasportatori. Yi le ha offerto un lavoro come autista.

Per tre giorni si è esercitata nel parcheggio. Ha guidato da sola da Yangsan a Busan, percorrendo una distanza di circa 33 chilometri e trasportando due container vuoti di sei metri ognuno. “Finita la prima corsa con successo, Yi ha tirato un sospiro di sollievo. Ripensandoci ora, assumere una principiante è stata proprio una scelta coraggiosa”, dice Kim.

Nel dicembre 2016 ha comprato il suo camion, chiedendo un prestito di 50 milioni di won (poco più di 37mila euro). È stata assunta da un’azienda di trasporti con un contratto da dipendente. Oggi Kim lavora nel complesso logistico del nuovo porto di Busan. Guida uno shuttle a breve percorrenza, trasporta container destinati all’esportazione, oppure ne carica altri con prodotti importati. Ogni giorno percorre almeno 150 chilometri. Attacca la mattina alle otto e finisce la sera alle sette.

Dalle otto alle sette

Da quando è a Busan, in cinque anni avrà incontrato tre o quattro autiste. Delle circa 22mila persone iscritte al sindacato, solo 70 sono donne ma di queste solo una decina, se non meno, guidano i camion. Lavorando in un ambiente considerato soprattutto maschile, inoltre, si va incontro ad alcuni problemi. “Gli uomini coreani di mezza età sono poco sensibili alla parità di genere. Lavoro come chiunque altro per guadagnarmi da vivere, ma spesso vengo trattata senza riguardo solo perché sono una donna”, spiega Jina.

Molti uomini hanno cominciato a giudicarla, dicendole di non portare i capelli in un certo modo o di non indossare certi vestiti, solo perché è una donna di quarant’anni. Non sono mancate neanche le molestie sessuali.

Ci sono anche altri problemi legati al settore. La regola è che dopo aver consegnato il carico, se l’autista porta al terminal un container vuoto, il suo lavoro dovrebbe terminare lì. Invece deve aspettare che la compagnia di spedizione ispezioni il container, e successivamente farsi carico di portarlo, sotto la sua responsabilità, all’area di lavaggio. Il mezzo è del conducente, che mette anche il carburante; e non ci sono costi aggiuntivi a carico dell’impresa di spedizione né attrezzature di sicurezza fornite agli autisti. A novembre in una centrale elettrica della città di Incheon durante una di queste operazioni si è verificato un incidente. Un autista è morto cadendo sulla banchina di carico mentre trasportava un carico di ceneri volanti.

Anche il sistema dei pagamenti è problematico. Praticamente l’autista acquista il camion e ne è direttamente responsabile, ma il veicolo deve essere registrato a nome dell’azienda. Kim Jina ha comprato il suo mezzo, ma si trova nella posizione di “agente” perché lavora con un veicolo immatricolato a nome di una società di spedizioni. È una struttura un po’ complessa da capire, ma è rispettata da quasi tutti gli autisti di camion.

Biografia

1976 Nasce in Corea del Sud.
2016 Guida per la prima volta un camion. Nel giro di pochi mesi un sindacalista le offre il primo lavoro come autista.
2018 Partecipa alla conferenza nazionale dei lavoratori a Seoul e si appassiona alla politica sindacale.
2020 Si candida alla guida del sindacato degli autotrasportatori di Busan e a sorpresa vince con l’85 per cento dei voti.


Non da Kim Jina. L’azienda le ha chiesto 20 milioni di won (circa 15mila euro) come “sovrapprezzo”. Le persone intorno a lei le dicevano di pagare e lasciar perdere, ma lei non ci stava e si è battuta per i suoi diritti. Ha perso il primo processo della causa civile e le è stata ritirata l’immatricolazione della targa.

Anche se è stata sconfitta in tribunale, Jina non si è arresa. “Il mio lavoro è anche combattere le ingiustizie”, ha detto, spiegando di non avere rimpianti. I colleghi, vedendo il suo temperamento, le hanno consigliato di dedicarsi all’attività sindacale. In poco tempo è diventata vicesegretaria generale.

Nel novembre del 2018, partecipando alla conferenza nazionale dei lavoratori a Seoul, il suo “spirito operaio” è cresciuto. Per la prima volta in vita sua, tornando a casa dal lavoro si è messa ad ascoltare le canzoni di protesta. Ha studiato la storia del movimento sindacale. Si è convinta di avere una missione da compiere.

A dicembre del 2020 ha parlato al marito delle elezioni al sindacato. “Mi sono candidata come rappresentante degli autotrasportatori”, gli ha detto, “ci sono troppe cose che non hanno senso nel nostro settore. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa. Lo farò io”, ha concluso.

Kim Jina ha scelto d’incontrare personalmente i suoi potenziali elettori. E alla fine, pur correndo da sola, ha preso molti più voti di quanto si aspettasse: l’85 per cento. La sua è una delle nove filiali della sede regionale di Busan e conta 360 iscritti. Kim divide il suo tempo tra il lavoro e il sindacato. Fisicamente, economicamente e mentalmente è difficile, ma s’impegna al massimo per creare un ambiente di lavoro migliore.

Qualche mese fa a sorpresa due persone di circa quarant’anni l’hanno avvicinata per ringraziarla. Al terminal un uomo le ha detto: “Dopo averti vista all’opera, ho capito che anche io ce la posso fare. Grazie”. E un altro autista giovane le ha confidato: “Grazie, mi hai dato coraggio”. Questa cosa l’ha commossa.

“Ci sono molti progressi da fare. Se un camionista vuole cambiare la sua vita e quella degli altri deve rimboccarsi le maniche. Grazie al sindacato sto dando un contributo al cambiamento della società”, conclude Kim Jina. ◆ mv

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati