Sui mezzi d’informazione e sui social network, una delle critiche rivolte più spesso alle persone che hanno partecipato alle manifestazioni contro l’incarcerazione del rapper catalano Pablo Hasél in diverse città della Spagna è che non sapevano nemmeno perché protestavano. È un’opinione arrogante e paternalista, che evita di porsi domande importanti sulle proteste. Invece di sminuire le motivazioni che hanno spinto quelle persone a scendere in piazza, infatti, si dovrebbe capire che lo hanno fatto perché è ancora in vigore la cosiddetta ley mordaza (legge bavaglio), la legge per la protezione della sicurezza civica, che a luglio ha compiuto cinque anni e rappresenta la più grave limitazione delle libertà introdotta nella storia democratica recente dello stato spagnolo. L’incarcerazione di Hasél è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già sul punto di tracimare.

La legge è stata approvata dal governo conservatore di Mariano Rajoy nel 2015 per reprimere le proteste legittime contro le politiche di austerità, che avevano portato alla disperazione milioni di cittadini, e contro gli aiuti alle banche, che avevano provocato ondate di indignazione. Quelli che oggi invocano una protesta pacifica hanno dimenticato che la stragrande maggioranza delle manifestazioni di allora (basate sul diritto all’espressione, all’informazione e alla protesta, tutti diritti fondamentali riconosciuti dalla costituzione spagnola) era assolutamente pacifica. Al potere politico ed economico che imponeva l’austerità ai cittadini e salvava le banche (con la complicità di alcuni mezzi d’informazione) non interessava affatto la natura pacifica delle manifestazioni, tanto che si diede da fare per criminalizzarle. È stato dimostrato che molte di quelle proteste erano diventate violente a causa delle provocazioni di poliziotti in borghese infiltrati tra i manifestanti, una tattica abituale.

Il passo successivo di questa strategia del sistema fu approvare una legge che “difendeva” la cittadinanza da una presunta insicurezza creata dall’esercizio del diritto alla libertà d’espressione, di manifestazione, d’informazione e di assembramento. La legge bavaglio è stata pretesa dal potere economico e imposta dal governo grazie alla connivenza dei mezzi d’informazione. I partiti dell’opposizione si sono ribellati, certo, e in nessuno dei loro programmi elettorali è mancata la promessa di abrogare quella legge scandalosa. Fino a quando non hanno conquistato il potere. Oggi, dopo cinque anni e mezzo e multe per più di quattrocento milioni di euro, la legge è ancora in vigore.

Metodi discutibili

I paternalisti che accusano d’ignoranza i manifestanti non considerano che questi quattrocento milioni di euro rappresentano un numero molto alto di sanzioni, che a sua volta significa un numero molto alto di cittadini puniti per aver esercitato i propri legittimi diritti democratici. Sono persone con nomi, cognomi, famiglie, posti di lavoro e opinioni politiche, i cui diritti umani e costituzionali sono stati calpestati dallo stato spagnolo nel ventunesimo secolo. È ragionevole pensare che molte di queste persone siano scese in piazza perché nel vaso che è traboccato c’era anche la loro goccia. O forse a protestare sono i loro figli, i loro amici, i loro compagni. O semplicemente una cittadinanza che solidarizza contro l’abuso di potere di cui molti sono stati vittime prima di Hasél. Dire che tutte queste persone non sapevano nemmeno perché protestavano indica una grande superbia, una grave mancanza di solidarietà e un’enorme ignoranza di cosa è una manifestazione.

Da sapere
Una settimana di proteste

◆ Il 15 febbraio 2021 il rapper spagnolo Pablo Hasél è stato arrestato a Lleida, in Catalogna. Hasél deve scontare una condanna a nove mesi di prigione per apologia di terrorismo e insulto alla monarchia, a causa di alcuni tweet e dei testi delle sue canzoni. A Barcellona, a Madrid e in altre città spagnole migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro il suo arresto. Le proteste sono andate avanti per tutta la settimana successiva. Ci sono stati scontri con la polizia e atti di vandalismo e alcuni negozi sono stati saccheggiati. A Barcellona una ragazza ha perso un occhio dopo essere stata colpita da un proiettile di gommapiuma sparato da un agente. Il governo ha annunciato una riforma del codice penale per evitare che i reati d’opinione siano puniti con il carcere. Reuters


Abbiamo visto cassonetti in fiamme e vetrine infrante, e a tal proposito vale la pena fare un minimo di analisi. Per prima cosa non possiamo sapere chi ha acceso la prima miccia o lanciato il primo sasso. A scatenare la violenza potrebbero essere stati nuovamente agenti infiltrati. Ma partiamo dal presupposto che i responsabili dei roghi e degli atti di vandalismo siano i manifestanti. Se osserviamo con attenzione i video di Madrid, ci accorgiamo che le persone riunite alla Puerta del Sol sono state bloccate dai poliziotti antisommossa. Nessuno sta bruciando o rompendo nulla, ma gli agenti non permettono ai manifestanti di uscire dalla piazza anche se questi lo chiedono pacificamente, e rispondono pestandoli. Nei video di Valencia la polizia carica la gente che avanza pacificamente. A Barcellona gli agenti sparano proiettili di gommapiuma, munizioni usate da quando in Catalogna sono stati vietati quelli di gomma. Reprimere le proteste con proiettili che fanno scoppiare i bulbi oculari (come è capitato a una ragazza di 19 anni a Barcellona) dimostra l’inadeguatezza dei metodi con cui la polizia dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini, e che costituiscono invece un esercizio innegabile di violenza.

Sicuramente ci sarà qualcuno che all’ennesima manganellata si sarà arrabbiato al punto da dare fuoco a qualcosa. La violenza chiama violenza, così come la negazione dei diritti permessa dalla legge bavaglio produce rabbia. La polizia dovrebbe saper contenere questa rabbia senza ricorrere alla violenza. Se le forze di sicurezza dello stato fossero intenzionate a proteggere invece che a reprimere, se fossero al servizio della cittadinanza e non dei poteri che la opprimono, adotterebbero i metodi pacifici che si addicono a manifestazioni prevalentemente pacifiche. In questo modo avremmo meno cassonetti bruciati, meno vetrine infrante e più diritti garantiti. ◆as

Ruth Toledano è un’attivista per i diritti degli animali spagnola.

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati