Con l’assegnazione a Geoffrey Hinton, il premio Nobel per la fisica va a uno scienziato che aveva già messo in guardia il mondo dalle possibili conseguenze del proprio lavoro. In particolare Hinton, premiato insieme al collega statunitense John Hopfield, ritiene possibile che l’intelligenza artificiale possa significare la fine dell’umanità. Sicuramente l’Accademia reale svedese delle scienze conosceva la sua posizione. Anzi, si può supporre che nel decidere chi tra i molti candidati dovesse ricevere il premio per i lavori alla base dell’intelligenza artificiale abbiano influito proprio i suoi ammonimenti.
Sono pochi i casi simili. Otto Hahn, che contribuì a scoprire la fissione nucleare, aveva espresso le sue preoccupazioni tra i colleghi, ma era rimasto piuttosto discreto in pubblico, nella speranza di continuare a svolgere in tranquillità il suo lavoro scientifico. Nonostante il nazismo e nonostante la guerra. Paul Berg invece, che nel 1980 fu premiato per i suoi lavori pionieristici nell’ingegneria genetica, aveva cominciato a mettere in guardia dalle possibili conseguenze già molto prima di ricevere il Nobel. I suoi avvertimenti sono stati fondamentali perché questo campo di ricerca si desse delle regole. Grazie a Berg, morto nel 2023, oggi le ricerche e le applicazioni di ingegneria genetica seguono regole severe, e nella maggior parte dei paesi l’opinione pubblica le sostiene in modo informato e critico. Nel caso dell’intelligenza artificiale questo treno forse è già passato. Le sue applicazioni sono ormai ovunque e le aziende del settore sono tra le più ricche nelle borse mondiali. Gli sviluppi sono così rapidi che le voci critiche, con la loro intelligenza umana, fanno fatica a tenere il passo. Con il premio a Hinton, però, Stoccolma fa quello che può per ricordare all’opinione pubblica non solo le possibilità ma anche i rischi dell’intelligenza artificiale. ◆ ct
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Questo articolo è uscito sul numero 1584 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati