Forse tra non molto alle frontiere europee dovremo mostrare un “passaporto verde” per dimostrare che siamo stati vaccinati contro il covid-19, come si fa con il certificato dell’Organizzazione mondiale della sanità che permette di viaggiare nei paesi afflitti dalla febbre gialla. È l’ultima trovata della Commissione europea, ma il progetto non è affatto chiaro dato che la vaccinazione non è obbligatoria e soprattutto i paesi dell’Unione sono divisi sulla questione, anche perché finora meno del 5 per cento degli europei è stato vaccinato.

Prima di parlare di un salvacondotto, bisognerebbe riconsiderare la strategia per la vaccinazione all’interno dell’Unione. I suoi pessimi risultati stanno minando sempre più la solidarietà europea. All’inizio dell’anno l’Ungheria è stata la prima ad annunciare che avrebbe fatto ricorso ai vaccini russi e cinesi senza aspettare l’autorizzazione dell’Agenzia europea del farmaco. Grazie a questa scelta è diventata il secondo paese europeo per rapidità della campagna di vaccinazione. Di fronte ai ritardi nelle consegne di AstraZeneca e Moderna, l’Austria e la Danimarca stanno valutando una cooperazione con Israele per produrre vaccini. E altri paesi, soprattutto a est, stanno pensando di rifornirsi altrove.

Anche se il _green pass _digitale europeo dovesse vedere davvero la luce, bisognerà capire esattamente quali vantaggi offrirà rispetto a chi non è stato vaccinato.

La ministra degli esteri belga Sophie Wilmès ha già avvertito che l’idea di “legare la libertà di circolare in Europa alla vaccinazione” è fuori discussione. ◆ gac

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Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati