Alla fine di aprile del 2024 il ministro degli esteri cinese Wang Yi è andato in visita in Papua Nuova Guinea poco prima del capo di governo australiano Anthony Albanese. Scopo della visita di Albanese era percorrere insieme al primo ministro papuano James Marape la pista di Kokoda, che durante la seconda guerra mondiale fu terreno di battaglia tra l’esercito giapponese e le forze alleate in quello che allora era un territorio australiano. Per due giorni i due hanno esibito un’intesa amichevole sia sulla storia sia sulle questioni attuali.
In un contrattempo piuttosto significativo, l’elicottero su cui viaggiavano i due primi ministri è stato disturbato da un grande aereo cargo cinese che consegnava aiuti legati alla visita di Wang. L’incidente aveva chiaramente lo scopo di inviare un messaggio all’Australia, ma anche alla Papua Nuova Guinea, in particolare a Marape, che gioca un ruolo centrale nella gestione della sempre più complessa rete di manovre geopolitiche che stanno plasmando il suo paese.
L’intero Pacifico è interessato dalle tante sfaccettature della campagna che Pechino sta conducendo per diventare la potenza regionale dominante e dalle reazioni di una coalizione di nazioni schierate contro la Cina. Il modo in cui Port Moresby sta vivendo questa competizione è abbastanza peculiare, con conseguenze enormi a livello nazionale e internazionale. Le pressioni geopolitiche subite dalla Papua Nuova Guinea e le relazioni che il paese sta tessendo assumono intensità e forme particolari per le dimensioni del paese (il più esteso del Pacifico dopo l’Australia), la sua posizione strategica al centro della regione indo-pacifica e le sue realtà interne particolarmente complicate.
Marape si presenta come un politico sicuro di sé sulla scena internazionale e corteggia molti paesi che cercano di rafforzare i legami con la Papua Nuova Guinea. Ma la sua autorità interna è stata messa in discussione dagli eventi dell’ultimo anno. Per controbilanciare le critiche alla sua leadership, il premier ha sfruttato con abilità le opportunità offerte dall’interesse di molti governi stranieri. È apparso chiaro a febbraio, quando Marape è stato ospite di Canberra diventando il primo leader del Pacifico a tenere un discorso al parlamento australiano. Un tempismo particolarmente favorevole, viste le turbolenze interne che ha dovuto affrontare prima della visita.
Violenze e disordini
La Papua Nuova Guinea, abituata ai disordini e a una serie di problemi sociali ed economici, è stata particolarmente scossa dalle violenze scoppiate il 10 gennaio a Port Moresby, che hanno trasformato la capitale in una zona di guerra. Profonde frustrazioni economiche e sociali sono sfociate in un’esplosione di saccheggi e incendi dolosi. Gli scontri hanno avuto un costo altissimo in termini sia di vite umane – almeno 22 morti – sia di danni economici – le stime parlano di un miliardo di kina (circa 238 milioni di euro). Marape non ha ceduto alle richieste di dimissioni e ha invece sospeso i lavori del parlamento fino a metà maggio per sventare le manovre politiche contro la sua leadership e il suo governo.
Il 18 febbraio, al ritorno da Canberra, ci sono state altre violenze, stavolta nella provincia di Enga. La disponibilità di armi potenti ha trasformato in un massacro una disputa tribale amplificata da frustrazioni economiche e sociali e dall’assenza di autorità governativa. Negli ultimi scontri nella regione delle Highlands almeno cinquanta persone sono finite in un’imboscata e sono state uccise. Come nel caso dei disordini di Port Moresby, anche questa strage ha messo in luce molte carenze del governo, non ultima la sua incapacità di garantire un’adeguata attività di polizia e sicurezza.
Alla fine di maggio, l’orribile tragedia di una frana che secondo le stime ha sepolto vive più di duemila persone nella provincia di Enga ha evidenziato altre mancanze del governo di Marape. La leader della comunità di Enga Ruth Kissam ha denunciato l’incapacità dei leader politici di rispondere alla tragedia in modo rapido e adeguato e di salvare vite umane.
La frana avrà un’eco sia sul piano interno, sia su quello geopolitico, perché gli aiuti della comunità internazionale per la ricostruzione alimenteranno ulteriormente le rivalità esistenti. ◆ gim
◆ Il 24 maggio 2024 una valanga ha travolto due villaggi nella remota provincia di Enga, nella parte settentrionale della Papua Nuova Guinea, uccidendo più di duemila persone in un’area con 70mila abitanti. I soccorsi sono stati resi difficili dall’inaccessibilità della regione e dalle tensioni tribali. “I leader del paese si devono vergognare”, scrive in un editoriale il quotidiano The National. “A parte le condoglianze del primo ministro, per cinque giorni non si è sentito nessuno tra i politici e gli esponenti del governo. Nel frattempo dall’estero arrivavano messaggi di solidarietà e aiuti. Solo il 29 maggio il parlamento ha osservato un minuto di silenzio per le vittime. In un paese esposto ai disastri naturali, perché non ci sono le risorse e la preparazione adeguate per rispondere alle emergenze?”. Finora l’Australia ha promesso aiuti per milioni di dollari e Stati Uniti e Cina si sono impegnate a fornire assistenza. A Pechino la Papua Nuova Guinea interessa sia perché il suo sottosuolo è ricco di risorse minerarie non ancora sfruttate, sia perché la sua posizione strategica la rende un paese appetibile dove installare basi militari. Nel 2023, scrive l’Australian institute of international affairs, Pechino ha proposto a Port Moresby un accordo sulla sicurezza simile a quello firmato l’anno prima con le isole Salomone, ma l’intervento diplomatico di Australia, Stati Uniti e Nuova Zelanda finora ne ha impedito la firma.
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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati