Jeff Bezos, noto anche come “l’uomo più ricco del mondo” o “il tizio che una volta ha mangiato una lucertola”, si dimetterà da amministratore delegato di Amazon dopo 27 anni alla guida del colosso del commercio on­line. Ma più che un passo indietro forse sarebbe meglio dire che ne sta facendo uno di lato. Bezos diventerà presidente esecutivo, e questo significa che avrà ancora un ruolo rilevante nelle decisioni dell’azienda, anche se non ne sarà più il volto. Tuttavia non c’è motivo di credere che con questa mossa Amazon diventerà un monopolista amichevole, come sembra suggerire il suo logo sorridente.

Con Bezos al timone, da rivenditore di libri online lanciato in un garage di Bellevue, vicino a Seattle, Amazon è diventata una delle aziende quotate in borsa più grandi del mondo, estendendo la sua attività a un numero crescente di settori. È importante però non lasciarsi distrarre dalla storicizzazione trionfalistica dei colossi tecnologici e dei loro amministratori delegati, diventata fin troppo comune dopo il boom di internet negli anni novanta. Si dice spesso che Amazon è stata lanciata a Seattle perché così sarebbe stata vicina alla Microsoft e avrebbe attirato qualcuno dei suoi talenti. Questo è in parte vero, ma non è stato certo il fattore decisivo. Prima di fondare l’azienda nel 1994, Bezos era il vicepresidente di un fondo d’investimento e a quanto pare si assicurò che la prima casa che prese in affitto a Bellevue avesse un garage, in modo da poter raccontare un giorno che la fondazione di Amazon era stata quella che ci si aspetta da un’azienda tecnologica. Ma il vero motivo per cui Bezos ha scelto lo stato di Washington, dove si trova Seattle, è che lì non c’erano imposte sul reddito delle persone fisiche né sui redditi societari. Con una popolazione di poco meno di cinque milioni di abitanti, nel 1994 era la base perfetta da cui spedire agli altri 260 milioni di statunitensi tutti i libri che avrebbero potuto comprare: non perché Bezos amasse i libri, ma perché era possibile comprarli all’ingrosso, erano facili da spedire e le librerie indipendenti erano state decimate, lasciandosi alle spalle un mercato da occupare.

Quando Amazon ha cominciato ad attirare clienti e a espandere la sua offerta, ha cambiato politica: invece di realizzare profitti il più velocemente possibile, Bezos ha agito in prospettiva reinvestendo i guadagni nell’azienda, al punto che solo nel 2001 c’è stato il primo utile trimestrale e nel 2003 quello annuale. Negli anni successivi i profitti di Amazon hanno continuato a essere ridotti, mentre il suo impero si estendeva. È stata indubbiamente una grandiosa strategia aziendale, ma ha avuto delle conseguenze. Operando in perdita per un decennio, Amazon poteva fornire beni e servizi sottocosto per sbaragliare la concorrenza e dominare i mercati in cui era attiva. Man mano che l’azienda cresceva, diventava sempre più facile, come ha dimostrato il caso di Diapers.com, un sito specializzato nella vendita di prodotti per bambini. Nel 2009 Bezos si è accorto che Diapers.com era molto popolare tra i genitori, così ha proposto ai suoi fondatori di vendere. Dopo aver ricevuto un rifiuto, ha fissato i prezzi sui pannolini e su altri prodotti per l’infanzia al 30 per cento in meno rispetto alla concorrenza. Quando Diapers.com ha adeguato i suoi prezzi, Amazon ha abbassato ulteriormente i propri, compensandoli con i profitti generati da altri prodotti. Per Diapers.com l’alternativa era vendere ad Amazon o fallire. E alla fine l’8 novembre del 2010 ha ceduto.

Nel corso degli anni Bezos ha spesso abusato del potere accumulato da Amazon proponendo offerte sottocosto per eliminare i concorrenti, schiacciare i venditori che usavano la sua piattaforma e ricevere sussidi pubblici. L’azienda è già sotto inchiesta per concorrenza sleale negli Stati Uniti e nell’Unione europea, ma il suo successo ha una conseguenza molto più profonda. Il suo è diventato il modello dominante della Silicon valley, capace di attirare investimenti miliardari. Se è vero che i clienti possono trarre dei vantaggi quando Amazon abbassa i prezzi per cacciare la concorrenza dal mercato, bisogna ricordare che i monopolisti di solito non hanno molti riguardi per i loro dipendenti.

Il cuore dell’attività

Nella lettera con cui ha annunciato il suo nuovo incarico, Bezos ha scritto che “alla base del nostro successo c’è l’invenzione”, ma alcuni potrebbero avere qualcosa da ridire su questa affermazione. Amazon non sarebbe niente senza i suoi 1,3 milioni di dipendenti, la maggior parte dei quali assembla e spedisce i pacchi, che rappresentano il cuore dell’attività aziendale. Le storie delle tremende condizioni di lavoro nei magazzini di Amazon non sono una novità. Nel 2011 i dipendenti hanno denunciato l’azienda per non aver installato l’aria condizionata in molti depositi, esponendo i lavoratori al rischio di surriscaldamento e svenimenti. Negli ultimi anni poi è emerso che ai dipendenti sono chiesti obiettivi di produzione praticamente impossibili, che i lavoratori sono così sotto pressione da saltare le pause per andare in bagno e che il sovraccarico è tale che gli infortuni sul lavoro sono quasi il doppio rispetto alla media del settore negli Stati Uniti. Tutte le volte che i lavoratori hanno cercato di reagire, Amazon li ha contrastati con forza. Durante la pandemia l’azienda è stata denunciata per aver reclutato personale dalla famigerata agenzia investigativa Pinkerton per spiare i lavoratori, i gruppi ambientalisti e i sindacati. Si è scoperto che tracciava le mailing list interne e i gruppi Facebook privati per individuare i lavoratori che si organizzano per difendere i loro diritti. Negli ultimi anni, inoltre, Amazon ha costruito una delle più costose reti di spedizioni degli Stati Uniti, ma si affida a una manodopera non sindacalizzata e perfino a una serie di ditte subappaltatrici o di appaltatori indipendenti.

Bezos si presenta come una persona che ha a cuore i lavoratori e nella sua lettera scrive che Amazon ha usato la sua “dimensione e la sua capacità d’azione per fare progressi su importanti questioni sociali”, compreso “il nostro salario minimo di 15 dollari e l’impegno sul clima”, ma sono solo chiacchiere. Il salario minimo di 15 dollari è stata una risposta alle pressioni dei lavoratori e dei legislatori, che accusavano l’azienda di pagare molti dipendenti con i buoni pasto. La crescente sindacalizzazione dei lavoratori di Amazon basterebbe da sola a dimostrare che Bezos non è stato un buon capo. L’azienda non è riuscita a mantenere i suoi obiettivi sul clima e ha perfino licenziato i dipendenti che avevano fatto apertamente attivismo. Durante la pandemia non è riuscita a mantenere al sicuro i lavoratori, che hanno protestato in tutti gli Stati Uniti.

Da sapere
Il voto di Bessemer

◆ L’8 febbraio 2021 i 5.800 lavoratori del magazzino Amazon di Bessemer, in Alabama, hanno cominciato a votare sulla possibilità di formare un sindacato. In caso di esito positivo della consultazione, che finirà il 29 marzo, si tratterebbe del primo sindacato nato negli Stati Uniti nel colosso del commercio online. Amazon si è opposta duramente al tentativo, trovando pretesti per rinviare il voto e chiedendo che i lavoratori si esprimessero di persona al seggio. Il National labor relations board, un’agenzia governativa statunitense che si occupa di diritto del lavoro, ha stabilito che i dipendenti potranno votare per posta. I lavoratori di Bessemer chiedono salari più alti, più sicurezza, visto che di recente il 40 per cento di loro è risultato positivo al covid-19 (sono più di 19mila i dipendenti di Amazon che hanno contratto la malattia), e più equità razziale, dal momento che la maggior parte del personale è formata da neri.**
****The Washington Post**


Tempo ed energia

Nei prossimi anni è probabile che Amazon debba affrontare sfide inedite, come il crescente attivismo sindacale nel settore tecnologico e le azioni antitrust negli Stati Uniti e nell’Unione europea. Bezos si sta allontanando dai riflettori prima che succeda tutto questo. Verso la fine della sua lettera Bezos ha spiegato che assumere l’incarico di presidente esecutivo gli darà “il tempo e l’energia di cui ho bisogno per concentrarmi sul Day 1 fund, sul Bezos earth fund, su Blue Origin, sul Washington Post e sulle altre mie passioni”. Bezos potrebbe cercare di estendere l’etica implacabile di Amazon anche ad altre attività e al tempo stesso provare a ripulirsi l’immagine.

Con un patrimonio che durante la pandemia ha sfiorato i 200 miliardi di dollari, i suoi occhi non sono puntati sulla crisi climatica né sulle disuguaglianze, ma sui viaggi nello spazio di Blue Origin. Questo non dovrebbe sorprendere. Amazon è la peggiore tra le grandi aziende tecnologiche in fatto di elusione fiscale. Ha lottato con forza contro chi voleva farle pagare le imposte per gli acquisti fuori dallo stato di Washington e di recente si è opposta a una piccola imposta a Seattle per finanziare i programmi per i senzatetto. Bezos sembra aver appreso la lezione di Bill Gates, che si è dato alla filantropia per ripulire la sua immagine. A distanza di anni e dopo aver elargito milioni di dollari ai mezzi d’informazione, Gates è sommerso da articoli positivi su come sta salvando il mondo donando i suoi soldi, articoli che distorcono la realtà sul reale impatto del modo in cui usa la sua enorme ricchezza.

È probabile che anche Bezos seguirà un copione simile. Sta già distribuendo soldi a gruppi che aiutano i senzatetto attraverso il suo Day 1 fund e alle organizzazioni che si occupano di cambiamento climatico con il suo Earth fund. Ma queste donazioni nascondono il problema di fondo: Bezos ha un potere immenso e lo userà per difendere e promuovere i suoi interessi. La sua ricchezza deriva dallo sfruttamento di più di un milione di lavoratori, ingranaggi di un’enorme macchina che non si fermerà finché non ci sarà modo di sfuggire alla sua onnicomprensiva rete di piattaforme e servizi. Dobbiamo respingere i suoi tentativi di usare i guadagni ottenuti illecitamente per riscrivere la sua storia personale, ma anche il suo inevitabile desiderio di fissare i nostri orizzonti su un futuro che pone gli interessi dei miliardari davanti a quelli del resto del genere umano. Mentre lascia la carica di amministratore delegato, dovremmo riconoscere quanto sia osceno che una sola persona abbia potuto guadagnare, secondo le stime, novanta miliardi di dollari durante una crisi sanitaria globale in cui la disoccupazione negli Stati Uniti è aumentata a livelli mai visti dai tempi della grande depressione e più di cinquanta milioni di statunitensi soffriranno la fame.

Il suo nome dovrebbe essere sinonimo della crudeltà del sistema che ha contribuito a costruire e da cui ha tratto beneficio, e la sua stessa esistenza dimostra la necessità di smantellare le strutture capitalistiche che permettono una disuguaglianza così estrema. Jeff Bezos non merita alcuna redenzione. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati