L’assalto alla Toscana non c’è stato. La tempesta è passata. Il centrosinistra italiano ha mantenuto la sua storica roccaforte nel cuore del paese, anche se mai, nella memoria della repubblica, ha tremato tanto. Alla fine Eugenio Giani, il candidato del Partito democratico e di Italia Viva, il partito guidato da Matteo Renzi, ha vinto nella più importante delle sette regioni italiane in cui si votava, ottenendo un buon risultato: il 48,6 per cento dei voti. La candidata della Lega, Susanna Ceccardi, si è fermata al 40,4 per cento.

Il triplo dei voti

Probabilmente ha giocato un ruolo il fatto che la sinistra ha presentato l’appuntamento alle urne come una resa dei conti con Matteo Salvini, il leader della Lega. Salvini sperava proprio in una simbolica, spettacolare vittoria elettorale in Toscana, che per lui avrebbe significato cancellare la macchia della perdita dei consensi che ormai lo perseguita da quando, nell’agosto del 2019, è uscito dal governo. Ma il suo colpo in Toscana è fallito, come il tentativo, il 26 gennaio, di conquistare l’Emilia Romagna, altra “fortezza rossa”.

Il campo progressista ha vinto anche in Campania, dove il presidente della regione Vincenzo De Luca è stato rieletto con ampio margine. A dispetto di ogni previsione, anche il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha nettamente battuto lo sfidante della destra, mentre le Marche, la Liguria e il Veneto sono andate o sono rimaste alla destra, come si prevedeva prima del voto. In Valle d’Aosta invece i governatori non sono stati eletti direttamente.

Il risultato del voto in Veneto ha suscitato grande attenzione. Luca Zaia ha ottenuto con un plebiscito il suo terzo mandato, superando il 76 per cento delle preferenze. Zaia è un esponente della vecchia Lega nord, un rivale interno nel partito di Salvini, perciò il suo trionfo è stato visto anche come un voto di sfiducia nei confronti del “capitano”. La lista elettorale di Zaia ha raccolto infatti quasi il triplo dei voti della lista della Lega. Improvvisamente il ruolo di Salvini come leader del partito è messo in discussione.

Oltre alle elezioni regionali, c’è stato anche il referendum sulla riforma costituzionale. Dopo molti tentativi falliti e infiniti dibattiti, l’Italia ha ridotto il numero dei propri parlamentari da 945 a 600. Quasi il 70 per cento degli elettori che hanno votato si è espresso a favore della riforma, già approvata dal parlamento. Il voto è un trionfo per il Movimento 5 stelle, salito alla ribalta come forza antisistema proprio con proposte simili, e che da due anni e mezzo governa il paese insieme ad altri partiti.

Da sapere
La riforma del parlamento
Cittadini per parlamentare. (Fonte: Wall Street Journal)
Numero di parlamentari. (Fonte: Wall Street Journal)

Si sa che gli italiani non hanno molta fiducia nella capacità d’azione dei loro rappresentanti, che considerano anche troppo pagati. Il risultato quindi non è una sorpresa. Può stupire casomai che la vittoria del sì non sia stata ancora più clamorosa. Prima dell’estate, stando ad alcuni sondaggi, fino al 90 per cento degli italiani si dichiarava a favore del taglio dei parlamentari.

Una riforma più ampia

Nelle ultime settimane, però, il fronte del no, trasversale a tutti i partiti, ha recuperato terreno con un’offensiva finale. I contrari al taglio dei parlamentari hanno fatto notare che per un risparmio relativamente esiguo – tra i 57 e i cento milioni di euro all’anno – la rappresentanza dei cittadini in parlamento verrà ridotta al punto che l’Italia si ritroverà in futuro con la quota più bassa di parlamentari ogni centomila elettori – lo 0,7 – di tutta l’Unione europea. Per i favorevoli al taglio, un numero ridotto di parlamentari riuscirà a svolgere il proprio ruolo con più serietà ed efficienza. Potrebbe essere un primo passo verso una riforma più ampia del parlamento, e rimettere in discussione anche gli elevati stipendi di deputati e senatori.

I cinquestelle possono affermare di aver realizzato una delle loro proposte fondamentali. Luigi Di Maio, ministro degli esteri ed ex leader del partito, ha parlato di giornata “storica”: “Ce l’abbiamo fatta”, ha detto. Anche il Partito democratico ha esultato, ma con moderazione. In occasione del referendum si è schierato per il sì, ma in parlamento aveva votato contro la riforma per ben tre volte. Solo nel voto finale ha cambiato orientamento, dato che nel frattempo si era alleato con i cinquestelle. Uno dei vincitori nell’ombra è il presidente del consiglio Giuseppe Conte, vicino ai cinquestelle ma non iscritto al partito. Prima del referendum aveva annunciato pubblicamente che avrebbe votato sì. Una dichiarazione a titolo personale, ma con un certo peso politico.

In generale, il risultato dell’election day, come gli italiani hanno chiamato la doppia chiamata alle urne, ha portato grande sollievo a un governo spesso diviso. Come succede sempre in Italia, anche alla vigilia di queste elezioni è stato evocato lo spettro della crisi, con analisti politici e giornalisti che si sono divertiti ad abbozzare ipotetici scenari alternativi. Ma lo stesso Conte aveva escluso che il suo esecutivo fosse in discussione. Parlando agli studenti, ha detto che il suo governo dovrà essere giudicato dalla capacità di usare al meglio i miliardi stanziati per superare la crisi causata dalla pandemia di covid-19: “Se noi perderemo questa sfida, voi avete il diritto di mandarci a casa”. Per una valutazione su come saranno stati spesi i soldi del piano per la ripresa dell’Europa ci vorrà qualche anno. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati