“Ci hanno offerto un sacco di soldi, ma lo squero non è in vendita. Questo non è solo un lavoro, è la nostra storia familiare. Non potrei vivere altrove. Quando esco di casa vedo bellezza ovunque. Venezia è una città a misura d’uomo. Ha il suo ritmo: lenta, non frenetica. Arrivi a piedi dappertutto e incontri sempre qualcuno che conosci. Ogni sestiere è un piccolo villaggio. La città è viva, e lo sarà fino a quando non morirà l’ultimo veneziano. Dopo la terribile acqua alta del 12 novembre 2019, i veneziani hanno dimostrato di essere gente tenace, che non si arrende. Ora, in epoca di pandemia, la vita è più tranquilla. Ma la situazione economica è molto difficile”, racconta Elena. Ha chiaro il futuro della sua città, che secondo lei non passa solo dal turismo di massa. “Prima di tutto bisogna pensare al tessuto sociale e creare nuove fonti di lavoro che non siano legate solo al turismo. Abbiamo un patrimonio culturale immenso. Il lavoro artigianale non può morire. L’artigiano mette un po’ di se stesso in ogni cosa che fa. Anche questo è cultura”.
Alle due del pomeriggio il suono proveniente da un centinaio di campanili spezza il silenzio. Dopo aver chiuso con il lucchetto il vecchio portone di legno dello _squero _(sorta di cantiere per la riparazione di piccole imbarcazioni), Elena si accende una sigaretta. Domani arriverà una gondola che ha un disperato bisogno di essere restaurata. Sua sorella Elisabetta le darà una mano.
Dal 2022 i turisti pagheranno dieci euro per entrare a Venezia in alta stagione
La resilienza è una caratteristica intrinseca di Venezia, che lo scorso 25 marzo ha compiuto 1.600 anni. La città si erge sull’acqua grazie a uomini intrepidi che al posto delle gambe per muoversi usavano piccole imbarcazioni. In fuga dagli invasori barbari, i veneziani si allontanarono dalla terraferma e si rifugiarono in mezzo a una laguna. Il primo insediamento fu su un’isola leggermente più alta delle altre: rivus altus (da cui Rialto). Secondo le cronache, era il 25 marzo del 421. In pieno medioevo, quegli uomini gettarono le basi della loro libertà costruendo una straordinaria città su una laguna collegata al mar Adriatico. Prima usarono legno e canne; poi, dopo essersi arricchiti grazie al commercio del sale, cominciarono a costruire chiese e palazzi e a decorarli con i marmi più lussuosi del mondo. La Repubblica di Venezia aveva adottato un sistema di governo efficiente, a prova di corruzione. Metteva al primo posto il benessere dei suoi abitanti e l’equilibrio della laguna. Poi Napoleone mandò in frantumi il mito della Serenissima. Eppure Venezia ha resistito alla dominazione austriaca e a due guerre mondiali ed è sopravvissuta a pesti, terremoti, inondazioni e incendi.
Questa mattina a Venezia il cielo è limpido. In assenza di umidità, le Dolomiti sembrano toccare i tetti e i campanili. In piazza San Marco non c’è nessuno: solo uno stormo di gabbiani affamati. Uno scende in picchiata all’altezza della mia mano sinistra e mi ruba un croissant. Molti negozi sono senza merce e alle finestre sono appesi cartelli con scritto “affittasi”. Non ci sono rumori di fondo, si sentono solo i miei passi. Ma nei quartieri popolari come Cannaregio, Castello e San Polo la desolazione è meno evidente. I bambini si sono impossessati degli spazi che prima appartenevano ai turisti, e ogni mattina il mercato di frutta e pesce di Rialto attira gli abitanti del luogo come le api il miele.
Liberi e sicuri
“Piano, piano, per favore!”, grida ai suoi tre figli Barbara Betin, 46 anni. Loro attraversano velocemente campo San Polo, il secondo campo più grande della città dopo piazza San Marco. È uno spazio enorme con alberi, panchine e un antico pozzo. D’estate diventa un cinema all’aperto. “Da nessun’altra parte potrei sentirmi così libera e sicura. I miei figli giocano senza nessun pericolo”, dice Betin.
Venezia non è morta, ma subisce le conseguenze del turismo selvaggio degli ultimi vent’anni. L’eccesso di turisti ha creato una serie di problemi: è aumentata la speculazione immobiliare, sono scomparsi i servizi per i residenti, sono spuntati ovunque negozi di souvenir, locali e fast food. Gli appartamenti che dovrebbero essere usati dai residenti o dagli studenti universitari sono affittati nel 77 per cento dei casi ai turisti. La penuria di camere ha fatto aumentare il numero di veneziani che hanno gettato la spugna e si sono trasferiti sulla terraferma. Secondo il contatore della vetrina della farmacia Morelli, a Rialto, l’8 febbraio i residenti della città erano 51.112.
Jan van der Borg, esperto in economia e politica del turismo all’università Ca’ Foscari, studia il turismo di massa a Venezia dal 1980. Nel 2018 ha pubblicato insieme ad altri economisti un lavoro in cui avvertiva dei pericoli che corre la “gallina dalle uova d’oro”. La città era visitata da 52mila turisti al giorno, uno per ogni residente. In quello stesso anno trenta milioni di persone hanno camminato per calli, piazze e ponti della città. Più della metà di questi turisti (circa 18 milioni) sono andati e tornati in giornata. Vengono chiamati turisti mordi e fuggi perché restano a Venezia circa quattro ore, e si aggirano soprattutto in piazza San Marco e in altre tre calli vicine al ponte di Rialto.
Prima che la pandemia fermasse tutto, si stimava che nel 2050 a Venezia sarebbero sbarcati 61 milioni di turisti, di cui 36 milioni mordi e fuggi. Venezia non può tornare a commettere gli errori del passato, dice Jan van der Borg, che propone di istituire un sistema di prenotazioni per accedere alla città. “In questo modo il turismo può essere distribuito sull’arco di tutto l’anno, e sarebbe possibile promuovere luoghi poco conosciuti ma di grande valore culturale”, dice il professore di origine olandese.
Simone Venturini, 33 anni, avvocato e assessore del comune di Venezia per le politiche della residenza, il lavoro, il turismo e lo sviluppo economico, spiega che dal 2022 i turisti pagheranno per entrare a Venezia: tre euro in bassa stagione e dieci in alta. E tra un paio d’anni sarà obbligatorio prenotare le visite di un giorno. “Così disincentiviamo il turismo mordi e fuggi e spingiamo i turisti a pernottare”, dice l’assessore. È seduto su un’elegante sedia di legno a capo di un tavolo da riunioni. Ha una vista privilegiata sul ponte di Rialto. Venturini è di Marghera, il quartiere industriale di Venezia, a sud di Mestre. L’unione di Venezia e di Mestre risale al 1926, e fu giustificata dalla nascita quasi simultanea del polo petrolchimico di Porto Marghera, costruito un secolo fa tra il continente e la laguna. All’epoca però il “peso” delle due città era opposto a quello attuale: Mestre aveva poco più di trentamila abitanti, mentre a Venezia risiedevano circa 175mila persone. Oggi nel centro storico di Venezia ce ne sono meno di un terzo rispetto a sessant’anni fa. Mentre Marghera e Mestre insieme hanno 116.946 potenziali elettori.
Lo scorso 25 marzo da Roma è arrivata una notizia che ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla città. Dal 12 maggio c’è una legge che vieta l’accesso nella laguna di Venezia a navi che superano le 40mila tonnellate. La norma prevede la convocazione di un concorso internazionale per creare un porto fuori dalla laguna. Fino a un anno fa, imbarcazioni lunghe fino a trecento metri e dal peso di 700mila tonnellate navigavano a pochi metri dal palazzo Ducale e dalla Biblioteca nazionale Marciana. L’immagine era quella di un elefante in un negozio di porcellane. Venezia correva il rischio di scomparire dalla lista dei luoghi che sono patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Ma potrebbe passare molto tempo prima che la proposta di Draghi diventi realtà. In questi giorni i giornali locali fanno notare che nessuna delle soluzioni temporanee per l’attracco delle navi è pronta, e non si può escludere che quest’estate le navi da crociera tornino a navigare nel bacino San Marco. A meno che non ci sia un’inversione di rotta, come dice da Torino Anna Somers Cocks, giornalista britannica e storica dell’arte: “Il governo centrale deve riconoscere che Venezia è la creazione più bella del mondo, unica. L’Italia può bussare alle porte dell’Europa per ripensare il futuro di Venezia, del suo centro storico e della laguna. Solo così c’è speranza”. Dal 1999 al 2012 Somers Cocks è stata presidente della fondazione Venice in peril. L’organizzazione restaura monumenti e opere d’arte e finanzia ricerche sull’acqua alta, sul turismo e sui cambiamenti climatici. La decisione di cent’anni fa di unificare in un unico comune Venezia e Mestre, sostiene Somers Cocks, è stata pessima: “Venezia è una città lacustre e ha bisogno di una progettazione specifica, non può essere accomunata a Mestre. Richiede una pianificazione a lungo termine, indipendente dalla politica del momento, regionale e nazionale”.
Georg Umgiesser, oceanografo, fisico e ricercatore della sede veneziana dell’istituto di scienze marine, che si trova all’Arsenale di Venezia, è convinto che per progettare il futuro della città millenaria i politici devono tenere conto del cambiamento climatico. Il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico pronostica per la fine del secolo “un innalzamento del livello del mare tra i 50 e i 110 centimetri”. Il governo nazionale e quello locale devono accettare che il cambiamento climatico è inarrestabile: “Tra duecento anni l’innalzamento sarà tra i 150 e i 350 centimetri. In entrambi gli scenari l’impatto su Venezia sarà catastrofico”.
Il modulo sperimentale elettromeccanico (Mose) ha superato la prova per difendere Venezia dalle maree alte più di 130 centimetri. Ma in futuro la mastodontica opera ingegneristica sarà inutile, dice Umgiesser: “Con un innalzamento del mare di 50 centimetri, bisognerebbe alzare le paratoie del Mose tre o quattrocento volte all’anno. Praticamente una volta al giorno. Non è fattibile”.
Se il Mose non è in grado di fermare le maree, quali sono le possibilità reali per difendere la città con un innalzamento del mare di 50 centimetri? “È possibile innalzare il terreno fino a trenta centimetri iniettando acqua nelle falde acquifere sottostanti. L’altra possibilità è separare la laguna dal mar Adriatico; per questo è necessario canalizzare tutte le acque nere, perché non ci sarebbe uno scambio con il mare. E le navi da crociera devono restare fuori dalla laguna”.
Nel suo laboratorio, Saverio Pastor custodisce l’arte di costruire remi e forcole come si faceva settecento anni fa. A 62 anni, quaranta dei quali passati a intagliare il legno, pensa che sia necessario riportare subito la laguna al centro del dibattito: “Bisogna vietare i viaggi superflui in vaporetto e in taxi e le crociere. Venezia deve tornare a essere, come in passato, la città del trasporto sostenibile, dove a predominare sono le barche a remi. Venezia non è morta, ma mancano gli abitanti. Bisogna far crescere il numero di residenti fino ad arrivare a 75mila”.
Multifunzionalità degli spazi
Rio Marin, sestiere di Santa Croce, due barche a remi passano davanti allo studio dell’architetto, urbanista e docente universitario Sergio Pascolo. Il suo atelier è appartenuto al noto architetto veneziano Carlo Scarpa. Laureato all’Istituto universitario di architettura a Venezia(Iuav), a marzo 2020 ha pubblicato il libro Venezia secolo ventuno. “È una città essenzialmente sostenibile: è pedonale, non ci sono auto che causano inquinamento o stress. Mentre le metropoli europee cercano la multifunzionalità degli spazi, qui c’è già. Oltre ad avere un’architettura meravigliosa, lo spazio di Venezia svolge diverse funzioni durante il giorno. La mattina i campi veneziani sono mercati, il pomeriggio sono parchi per i giochi dei bambini e luoghi di lettura per gli anziani. La sera sono il punto di ritrovo per un aperitivo. Venezia è una città inclusiva, accoglie tutti. C’è un forte senso di identità, legato al fatto che per strada è normale incontrare sempre qualcuno”, dice Pascolo, che propone di creare nuovi spazi inclusivi. Per il porto di Venezia ha progettato case per residenti e strutture sportive immerse in zone verdi. Sta progettando anche una riqualificazione dei terminal delle navi crociera nella zona ovest della città per farne una nuova area verde. Andrebbe ad aggiungersi a quella già esistente a est, costituita dai giardini di Sant’Elena e della Biennale di Venezia. Luca De Michelis, proprietario di una casa editrice, suggerisce di usare gli spazi della Biennale, che d’inverno sono vuoti, per accogliere la biennale della letteratura.
Una vista impressionante
Piccola, intelligente, sostenibile, moderna e con una potente rete internet, Venezia offre le condizioni ideali per vivere, studiare e lavorare da remoto. “Questo è un buon momento per ricostruire. Bisogna lavorare in sintonia con le università e i musei e creare nuove economie, attirare nuovi abitanti che rimpiazzino l’eccesso di turisti”, propone Karole Vail, direttrice della collezione Peggy Guggenheim.
In questa direzione vanno l’università Ca’ Foscari e lo Iuav, con 25mila studenti, la maggior parte italiani. “Un universitario che vive a Venezia si innamora della sua luce, della sua architettura. A me è successo”, dice Tiziana Lippiello, prima rettrice di Ca’ Foscari. A ottobre 2020 l’università che dirige Lippiello, insieme al conservatorio Benedetto Marcello, allo Iuav e all’Accademia delle belle arti hanno fondato il consorzio Study in Venice, per attirare studenti europei e di altri continenti. Hanno firmato una convenzione con il comune e i proprietari per affittare appartamenti vuoti a studenti e dipendenti. “Venezia può diventare una grande capitale universitaria, come Oxford e Cambridge”, dice la rettrice.
Qui si coniugano arte e storia, elementi che possono essere potenziati dalla tecnologia. Il presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto, vuole trasformare l’istituzione culturale più antica della città, nata nel 1895, nella Silicon valley della cultura: “La Biennale è il mondo, la vocazione internazionale e la collocazione a Venezia sono un valore aggiunto. Ma è comunque parte integrante della città, quindi bisogna fare in modo che questa non sia solo una meta turistica, ma anche uno spazio vitale che attiri nuovi residenti e sviluppi nuove funzioni 365 giorni all’anno”. La Silicon valley della cultura nascerà all’Arsenale, la nuova sede dell’archivio storico delle arti contemporanee. È il primo passo per trasformare la memoria storica della Biennale in un centro internazionale di ricerca sull’arte contemporanea, la musica, il teatro, la danza, il cinema e l’architettura.
Ci salverà avere un luogo a dimensione umana con un grande patrimonio artistico
La vista sul canal Grande e sulla Punta della Dogana è impressionante. Ma è una bellezza che richiede protezione. “Per ripensare il futuro di Venezia bisogna mantenere viva l’idea della città come patrimonio dell’umanità. Ci vuole un equilibrio tra il compito che ci è stato affidato di preservare la grande eredità del passato e la creazione delle condizioni necessarie per vivere e gestire la città, che negli ultimi anni è stata in balia del turismo di massa. Venezia è un laboratorio in cui si costruisce il futuro”, dice Bruno Racine, direttore della Punta della Dogana e di palazzo Grassi.
Davanti al quadro del Convito in casa di Levi di Paolo Veronese (lungo quasi tredici metri), chiunque si sente piccolo. La tela fa parte del nuovo allestimento della collezione delle Gallerie dell’Accademia. Il suo direttore, Giulio Manieri Elia, ha passato quasi tutta la vita a Roma, ma negli ultimi vent’anni ha vissuto a Venezia. Mostra con orgoglio il restyling completo del percorso museografico, oggi più moderno, spazioso e pieno di luce naturale. “Quando si ha una buona idea, qui si può realizzare. A Roma no. Venezia non è morta, ha una grande vitalità. Continua a essere un faro, una città dove le persone vogliono tornare, come lo scultore Anish Kapoor, che ha appena comprato una casa qui. È un lusso vivere immersi nella bellezza”.
Durante gli ultimi dieci anni Gabriella Belli ha diretto la fondazione Musei civici, che ha un patrimonio enorme: settecentomila opere d’arte, cinque biblioteche e un archivio fotografico. Il futuro di Venezia dipende dalla conservazione dell’eredità del passato, dice Belli. “Tra cinquant’anni le città del resto del mondo si trasformeranno per adattarsi all’aumento degli abitanti. Venezia resterà una città a dimensione umana con un grande patrimonio artistico. È quello che ci salverà. Ma non può trasformarsi in un luna park della storia dell’arte. Per evitarlo bisogna promuovere dei servizi per le famiglie giovani”, dice Belli davanti al Paradiso di Tintoretto, nella sala del Maggior consiglio di palazzo Ducale. Nel 1577 un incendio devastò la decorazione pittorica di questa sala. Fu ricostruita dai migliori artisti dell’epoca. “La storia di Venezia è segnata da molti momenti di crisi e rotture e da rigenerazioni e rinnovamenti. Sono nascite e rinascite, esempi concreti della capacità veneziana di affrontare i cambiamenti e di reinterpretare la storia millenaria”, dice Belli. Dal cortile di palazzo Ducale arriva un rumore di trapani e scalpelli e le voci di trenta restauratori che lavorano sui mosaici e i marmi della basilica di San Marco. La chiesa è vittima di un forte deterioramento a causa delle maree alte degli ultimi anni. La sua è una lotta infinita contro i danni causati dall’acqua: nei suoi 1.200 anni di storia ha subìto sei inondazioni.
Sulla testa del restauratore di mosaici Enrico Pinzan risplende l’oro degli ottomila metri quadri dei mosaici bizantini che ricoprono le pareti e le cinque cupole. Pinzan è un esperto restauratore dei mosaici del pavimento. S’inginocchia, prende un tassello rovinato. “L’acqua salata è terribile: evapora, sale sui muri, corrode il marmo e i mosaici bizantini. Togliamo le parti deteriorate e le ricostruiamo. Venezia non è morta, è malata di eccesso di turismo. Bisogna estirpare le parti del modello economico che l’hanno deteriorata”.
È mezzogiorno. Suonano le campane della basilica di San Marco. Pinzan e i suoi colleghi escono a pranzo. Tra un’ora torneranno al lavoro sulle pietre e i mosaici di Venezia. La città dei canali rinasce ogni giorno un po’. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati