Il festival internazionale del fumetto di Angoulême è sull’orlo del fallimento, a tal punto che nel momento in cui scriviamo queste righe l’edizione 2026, prevista per la fine di gennaio, forse non si terrà. E se lo farà, sarà in versione ridotta, come un ferito che porta sul corpo i segni di duri combattimenti. Angoulême è per il fumetto ciò che Cannes è per il cinema o Avignone per il teatro. Una città di 41mila abitanti che nell’arco di quattro giorni attira duecentomila persone in padiglioni grandi come un campo da calcio. Non si ricorda un altro evento culturale così vicino al disastro, sotto lo sguardo di amministratori locali in preda al panico per le conseguenze di un annullamento a pochi mesi dalle elezioni municipali. Di fatto il duo che dirige il festival è considerato incapace, opaco, troppo commerciale e via dicendo.
La posizione degli artisti
Ma quello che c’interessa sapere è chi guida questo sabotaggio. In realtà a chiedere di boicottare l’edizione di gennaio non sono le case editrici, gli sponsor, le associazioni locali o il pubblico, bensì autori, sceneggiatori e disegnatori. Rifiutandosi di partecipare cancellano la ragion d’essere del festival, cioè circa duemila sessioni di firmacopie degli albi, molto apprezzate dal pubblico.
Può sorprendere che i fumettisti conducano un’azione contro i loro stessi interessi, dato che sono le star della manifestazione. Sorprende inoltre di vederli alle manovre quando hanno una reputazione di eterni anarchici, mediamente individualisti, abituati a lasciare agli editori e al sindacato nazionale dell’editoria la guida del loro settore.
Ma allora perché continuare a promuovere il boicottaggio e sacrificarsi, sapendo che la direzione del festival di Angoulême cambierà? Forse c’è la voglia di dire che il tempo del silenzio è finito, che non si può decidere senza di loro. E infatti da dieci anni molti autori si sono raggruppati – tanto ad Angoulême che altrove – in collettivi o in chat per aumentare la loro influenza. Non è irrilevante che accada in un momento in cui, in tutte le arti, i responsabili culturali erodono il potere degli artisti e l’intelligenza artificiale fa altrettanto con la loro creatività.
La battaglia di Angoulême nasconde inoltre un cambiamento radicale nel mondo del fumetto. Sono le autrici, spesso giovani, a essere più arrabbiate, a tal punto che non si parla più di “boycott” del festival, ma di “girlcott”. Non è una cosa da poco in un mestiere tradizionalmente maschile, dove però oggi le donne sono circa il 40 per cento. La prima a lanciare la rivolta è stata la giornalista Lucie Servin, che ha pubblicato su L’Humanité Magazine del 23 gennaio un’inchiesta sulle derive di Angoulême. Ed è Anouk Ricard, vincitrice del Grand prix 2025 del festival, a incarnare questo boicottaggio, rinunciando di fatto alla mostra di cui dovrebbe essere protagonista alla fine di gennaio. Sono 285 le autrici che hanno firmato un manifesto sul quotidiano L’Humanité del 16 novembre chiedendo di non andare al festival.
La lista delle rivendicazioni, formulata in scrittura inclusiva e in gergo militante dalle “lavoratrici del fumetto”, va ben oltre la direzione del festival: stabilire una carta contro le violenze e le molestie sessiste e sessuali, essere associate alle decisioni, promuovere la diversità, creare sul sito asili nido o una mensa solidale, coinvolgere il pubblico e così via.
Nella storia del festival di Angoulême le autrici si sono fatte sentire in tre diversi momenti. Nel 2016 hanno espresso la loro indignazione quando è stata pubblicata la lista delle trenta candidature al Grand prix: tutti uomini. Nel 2023 hanno ottenuto l’annullamento di una mostra di Bastien Vivès accusandolo di fare nei suoi albi l’apologia della pedopornografia. E, da gennaio di quest’anno, dando sostegno a una dipendente del festival, che ha denunciato un presunto stupro durante l’edizione 2024 e che è stata successivamente licenziata.
Arte e commercio
Questa lotta tocca ormai la filosofia stessa dell’evento. I e le ribelli vogliono un festival di Angoulême che sia un “bene comune” gratuito, al di fuori di ogni logica commerciale. Di fatto il modello economico della manifestazione si basa per metà sul finanziamento pubblico, ma anche sulla biglietteria e sulla presenza di grandi editori che pagano gli stand a caro prezzo.
In realtà questa lotta tra arte e commercio, che tante volte ha coinvolto il mondo della cultura, esprime un male più profondo, cioè un impoverimento degli autori e delle autrici, legato a un aumento vertiginoso del numero di albi pubblicati in Francia: trecento nel 1983; quattromila dieci anni fa e circa settemila nel 2023. Settemila, tra cui molti manga, di fronte a un pubblico che è ben lontano dal tenere il passo di questo aumento di titoli. E se il mercato del fumetto è esploso negli ultimi quindici anni, è in netto calo almeno dal 2023, allargando ulteriormente la distanza tra Asterix in Lusitania (uscito il 23 ottobre, più di un milione di copie vendute) e l’immensa maggioranza della produzione.
Responsabili di questa inflazione di titoli sono le scuole d’arte, che hanno moltiplicato i corsi di fumetto, dando l’illusione di un mestiere facile. Ma non sono senza colpe anche gli editori, che hanno pubblicato fino alla nausea albi mediocri e a basso costo per non lasciarsi sfuggire il possibile fumetto di successo. “Abbiamo creato una bolla”, dice lo sceneggiatore Benoît Peeters, coautore di un’indagine condotta su 1.200 autori di fumetti –in uscita a gennaio, dieci anni dopo la precedente – che evidenzierà un’inquietante contrazione dei redditi, in particolare per le autrici.
La rivolta di Angoulême è quella di un proletariato culturale, presente anche altrove – nel mondo dei libri in generale, nel teatro, nel cinema –, che non vuole sentir parlare di sovrapproduzione e chiede alle sovvenzioni pubbliche di correggere le dure leggi del mercato. Ma si profila l’esatto contrario. La ministra Rachida Dati, per esempio, ha appena annunciato una riduzione del 60 per cento dei finanziamenti al festival. Le autrici accetteranno di scendere a compromessi affinché Angoulême non muoia? Questo è la vera domanda da farsi. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati