I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Michael Braun del quotidiano berlinese
Die Tageszeitung.

Chiudere gli occhi davanti al passato colonialista, anzi scordarsene allegramente: è questo un esercizio che l’Italia (come del resto anche la Germania) sa svolgere alla perfezione. Non si sa nulla della presenza dei soldati italiani in Eritrea, dei loro rapporti con la popolazione indigena, fatti di oppressione, ma anche di intrecci personali, di convivenze con donne eritree che spesso hanno dato vita a figli “meticci”. Non a caso ancora oggi il cimitero di Asmara è suddiviso in un settore degli italiani, uno degli eritrei e infine uno degli italo-eritrei, dov’è sepolto il nonno dell’autore. Nel suo libro Longhi ci porta in un viaggio, nello spazio e nel tempo, tra la fine dell’ottocento e i giorni nostri, alla scoperta della sua storia familiare, segnata da questa doppia identità. A cominciare dal bisnonno italiano (che fece due figli con una ragazza eritrea, avendo comunque l’accortezza di dargli il suo nome e così anche la cittadinanza italiana) e dalla bisnonna eritrea. Un’identità che si può negare, come fa il padre dell’autore, che scappa dalle sue radici africane e anche dalla sua famiglia. Vittorio Longhi invece si guarda allo specchio. Ma fa di più: mette noi, europei, italiani, davanti allo specchio del nostro passato e di un presente fatto ancora oggi di razzismi e chiusure.

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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati