La polizia ha arrestato tre uomini coinvolti nell’attentato del 6 maggio contro l’ex presidente delle Maldive Mohamed Na­sheed, rimasto gravemente ferito. I presunti aggressori, che secondo la polizia sono legati alle reti dell’estremismo islamico, avevano messo una bomba su una motocicletta parcheggiata vicino alla sua auto, e l’hanno fatta esplodere quando Nasheed, oggi presidente del parlamento, stava per entrare nel veicolo fermo davanti a casa.

“È fortunato a essere ancora vivo. Una scheggia gli ha mancato il cuore per un centimetro”, dice un vecchio compagno di Nasheed, politico carismatico e molto popolare. “Ha subìto diversi interventi chirurgici alla testa, al petto e al fegato durati quasi 16 ore, per rimuovere i frammenti di schegge”. Nasheed è stato portato in Germania per ulteriori cure.

Il governo del presidente Ibrahim Solih, stretto alleato di Nasheed, non ha voluto esprimere giudizi affrettati sui legami degli attentatori con l’islam radicale, in attesa che la polizia e gli inquirenti stranieri forniscano ulteriori informazioni. La reticenza del governo è una conseguenza dell’ondata di estremismo islamico che ha travolto il paese a maggioranza musulmana. La bomba contro Nasheed, un convinto progressista di idee liberali, è l’ultimo di una serie impressionante di attentati compiuto dagli estremisti nell’arcipelago di 400mila abitanti. Nell’ultimo decennio tra le vittime ci sono stati il parlamentare e studioso di religione Afrasheem Ali, il blogger progressista Yameen Rasheed e il giornalista Ahmed Rilwan.

Una campagna d’odio

Nasheed è nel mirino degli estremisti religiosi dal 2008, quando diventò il primo presidente del paese eletto democraticamente. I rivali politici nello schieramento islamista hanno aggravato le tensioni definendolo laa-dheenee (“non religioso” in lingua dhivehi), montando contro di lui una campagna d’odio. Azra Naseem, scienziata politica che studia la radicalizzazione islamica nel paese, spiega: “Questi messaggi circolano ininterrottamente su internet dal 2010”. Quando Nasheed è stato accusato di non essere abbastanza musulmano, i suoi detrattori si sono rallegrati e hanno scritto sui social network e sui giornali che “se lo doveva aspettare”. Molti erano persone comuni “convinte che uccidere qualcuno perché non è musulmano, o perché non lo è nel modo giusto, sia una forma di giustizia”, aggiunge Naseem.

E preoccupa che le radici di queste posizioni estremiste si siano diffuse in tutta la società e minaccino la tolleranza religiosa di un paese noto per l’adesione della sua maggioranza sunnita a un islam moderato. “Nell’ultimo decennio i mezzi d’informazione e i programmi scolastici del paese sono stati inondati di messaggi d’odio contro i non credenti”, spiega Naseem. “Chi si oppone a questa narrazione e fa appello alla tolleranza e ai diritti umani, o chiede che la religione resti fuori dalla politica, è additato come nemico dell’islam”. Di conseguenza, sottolinea una fonte d’intelligence dell’Asia meridionale, le Maldive sono diventate un terreno di coltura di islamisti radicali, soldati ideali di reti del terrore come Al Qaeda e il gruppo Stato islamico (Is). “Alcuni sono ancora in Afghanistan, dove l’Is ha creato una base per le operazioni nell’Asia meridionale”.

Convenienza politica

Il collegamento tra le Maldive e l’Is aveva destato non poca preoccupazione negli ambienti dell’intelligence regionale qualche anno fa quando, al culmine delle operazioni del gruppo in Siria e Iraq, erano stati identificati tra i 250 e i 450 maldiviani che avevano lasciato le isole per unirsi alla rete terroristica in Medio Oriente. Secondo una stima, le Maldive sono diventate il più importante serbatoio di militanti operativi dell’Is, in rapporto al totale della popolazione. Tra le reclute anche 61 uomini che hanno portato con sé le mogli e i figli, attraverso la Turchia, fino agli accampamenti dell’Is in Siria.

Nel 2019 il governo degli Stati Uniti ha confermato questo legame, accendendo così i riflettori sulle Maldive. Washington ha individuato nel maldiviano Ahmed Ameen il collegamento tra i combattenti locali e le operazioni dell’Is in Siria e Afghanistan. Molta visibilità hanno poi avuto alcuni attacchi ispirati dal gruppo nelle Maldive. A febbraio del 2020, dopo l’accoltellamento di tre stranieri, è stato diffuso un videomessaggio in cui tre uomini con il volto coperto si proclamavano seguaci di un gruppo estremista islamico maldiviano collegato all’Is e rivendicavano l’aggressione.

Non correre rischi

Ma di fronte alle minacce alla sicurezza nazionale i governi passati hanno scelto la via della convenienza politica e hanno evitato di indagare sulle reti locali di estremisti, consentendo agli elementi più radicali di prosperare in un clima di relativa impunità. Ora tocca al governo di Solih gestire una crisi resa ancora più grave dal fatto che lui e Nasheed sono i principali pilastri del Partito democratico maldiviano, al governo. “I colpevoli dovranno affrontare la legge”, ha promesso un Solih visibilmente alterato in un discorso alla nazione subito dopo l’attentato.

Resta da vedere se il governo avrà il coraggio di svelare quanto sia grande la minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dagli estremisti islamici nell’arcipelago. “È una questione molto seria e delicata, e anche se dovesse subire delle pressioni non credo che il governo arriverebbe ad affermare che l’estremismo islamico è una minaccia per la sicurezza nazionale”, dice Rasheeda M. Didi, analista politica di Malé. “Quello che pensa la gente e le azioni del governo non sempre coincidono”. Per ora il governo preferisce non correre rischi e ha imposto sull’area metropolitana di Malé una serie di rigide misure di sicurezza gestite dalla polizia e dalle forze armate. La rete è stata lanciata fino ad Addu, l’atollo più meridionale, a caccia di sospetti. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati