Il 17 agosto gli attivisti iracheni Lodia Remon, Abbas Subhi e Fahd al Zubaidi stavano andando al funerale del loro compagno Tahseen Osama, ucciso tre giorni prima a Bassora, nel sud dell’Iraq, quando un gruppo di uomini armati li ha attaccati. Remon è stata colpita a una gamba, Subhi al petto. “Sono viva per miracolo”, racconta Remon. Anche Subhi, che è stato operato, è sopravvissuto. Due giorni dopo Reham Yacub, un’attivista amica di Remon, è stata uccisa da colpi di arma da fuoco nella sua auto, scatenando sdegno e manifestazioni in varie città dell’Iraq. Remon, che fa parte della piccola comunità cristiana di Bassora, è provata: “Ho perso gran parte dei miei sogni e delle mie aspirazioni. Sento di non avere più coraggio, la paura ha vinto”.
Ad agosto gli attivisti e gli organizzatori delle proteste sono stati presi di mira in altre province del sud e del centro del paese, dove da più di un anno si svolgono proteste antigovernative. Secondo alcune stime settecento manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza, mentre decine di attivisti e dissidenti sono stati assassinati. A Bassora, dov’è nato il movimento di protesta, le uccisioni hanno creato un’atmosfera di paura e molti attivisti se ne sono andati. Gli abitanti puntano il dito contro i gruppi armati sostenuti dall’Iran. Secondo attivisti ed esperti, la violenza mira a impedire che il movimento si trasformi in un partito che potrebbe sfidare lo status quo nelle elezioni parlamentari del 2021.
Le basi del cambiamento
Mohanad al Khafaji, attivista di Bassora, ha partecipato alla prima manifestazione nel 2012, un anno dopo che la primavera araba aveva rovesciato i regimi al potere da decenni in Tunisia ed Egitto, suscitando speranze per una trasformazione democratica nella regione. Le rivendicazioni dei giovani che scendevano per le strade della città irachena erano più modeste: la fine delle interruzioni di corrente.
Anni di instabilità e cattiva gestione avevano lasciato Bassora, un centro petrolifero, con infrastrutture fatiscenti che non potevano garantire servizi pubblici adeguati ai suoi due milioni di abitanti. Le gravi carenze di acqua ed elettricità rendono particolarmente intollerabili le estati torride e umide. Dopo aver manifestato per tutta l’estate del 2012, Al Khafaji ha formato insieme a un’altra ventina di giovani un gruppo per coordinare le azioni di protesta, la Gioventù civica di Bassora, che chiedeva l’instaurazione di un sistema di governo non confessionale basato sulla giustizia e sullo stato di diritto.
Secondo Al Khafaji, le proteste di Bassora, che si sono ripetute quasi ogni anno dal 2012, hanno posto le basi per il movimento per il cambiamento del 2019, che a novembre ha rovesciato il governo di Adel Abdul Mahdi: “Si è sviluppata una cultura della protesta e della libertà di espressione che poi si è diffusa nelle altre province”.
Nel giugno del 2019, con un caldo torrido e nel pieno di una grave crisi idrica ed energetica, migliaia di persone sono scese in strada a Bassora. A ottobre le proteste si sono diffuse nelle province del sud e del centro, fino alla capitale Baghdad. “Quando il movimento ha minacciato gli interessi dei partiti corrotti e sostenuti dalle potenze straniere, è diventato un pericolo reale e ha scatenato una reazione violenta”, spiega Al Khafaji. Secondo l’attivista, Tahseen Osama è stato ucciso perché faceva parte della Gioventù civica di Bassora. Anche altri compagni sono stati minacciati. Il gruppo voleva costituire un partito e candidarsi alle elezioni, ma l’omicidio di Osama ha bloccato il progetto. Al Khafaji ha lasciato l’Iraq dopo che lui e la sua famiglia sono stati pedinati da sconosciuti.
Non è la prima volta che Bassora assiste a una serie di uccisioni di attivisti politici. Nel 2018, quando nella città si sono svolte imponenti proteste contro l’inefficienza dei servizi, la disoccupazione e la corruzione, sono state uccise varie figure di spicco, tra cui Jabbar Karam al Bahadli, un avvocato che difendeva molti manifestanti incarcerati, e l’attivista Suad al Ali. Nello stesso anno, Remon, Yacub e altre militanti di gruppi femminili che avevano organizzato marce delle donne sono state al centro di una campagna diffamatoria dei mezzi d’informazione e dei social network filoiraniani, che le hanno accusate di partecipare a un complotto statunitense per destabilizzare Bassora, e hanno cominciato a ricevere minacce.
Il 20 agosto il primo ministro Mustafa al Kadhimi ha visitato Bassora e ha incontrato la famiglia di Yacub. Il premier ha promesso che i responsabili degli attentati saranno puniti, ha licenziato i capi della sicurezza della città e ha inviato rinforzi. Ma secondo Sarmad al Taei, un giornalista che vive a Bassora, queste misure sono insufficienti: “Al Kadhimi continua a rimuovere i capi della sicurezza e a spostare di qua e di là le forze antiterrorismo. Ma non è abbastanza. Sa di avere un’autorità limitata e non ha ancora preso provvedimenti significativi contro gli assassini”.
Gli scarsi progressi si spiegano in parte con il fatto che il governo non ha il pieno controllo degli apparati di sicurezza, che non sempre eseguono gli ordini di Baghdad. Secondo Al Taei il governo ha più volte tentato di rilasciare dei manifestanti incarcerati ma non ci è riuscito perché le informazioni sul loro luogo di detenzione sono state tenute nascoste.
1 ottobre 2019 Esplode la protesta contro il governo. I manifestanti chiedono la fine di un sistema politico corrotto, basato su quote etniche e settarie, e incapace di eliminare la corruzione e di garantire servizi per tutti. Almeno cinquecento persone saranno uccise dall’inizio delle proteste all’aprile 2020, affermerà poi un rapporto dell’Onu.
14 agosto 2020 A Bassora è ucciso l’attivista Tahseen Osama.
17 agosto Lodia Remon, Abbas Subhi e Fahd al Zubaidi sono attaccati da uomini armati.
19 agosto Reham Yacub è uccisa da un commando mentre è nella sua auto.
24 agosto Il premier Al Kadhimi licenzia i capi della polizia e della sicurezza di Bassora.
Gli attivisti locali sostengono che sono stati i gruppi armati filoiraniani a compiere gli omicidi. Queste milizie sono anche accusate di aver partecipato alle violente repressioni delle proteste nel 2019 e nel 2020 al fianco delle forze di sicurezza. Secondo Haider Said, capo del dipartimento di ricerca dell’Arab center for research and policy studies di Doha, in Qatar, questi gruppi armati fanno parte di quello che definisce uno “stato ombra”: “Sono nati come forze che si contrapponevano allo stato. Durante il governo di Nouri al Maliki, soprattutto tra il 2012 e il 2015 quando le autorità erano deboli, sono stati usati per combattere contro il gruppo Stato islamico (Is). Poi si è cercato di dargli una copertura ufficiale. Ma funzionano ancora fuori dal controllo dello stato”.
Tregua non dichiarata
Negli anni seguenti all’invasione statunitense del 2003, si formarono vari gruppi armati sciiti in Iraq, alcuni filoiraniani, altri con un orientamento più nazionalista. Quando l’Is ha conquistato ampie zone di territorio iracheno nel 2014, questi gruppi sono stati riorganizzati sotto le Unità di mobilitazione popolare (Ump). Finita la battaglia contro l’Is alcune milizie filoiraniane hanno fondato un’alleanza politica, arrivata seconda alle elezioni parlamentari del 2018. Anche se formalmente le Ump fanno parte delle forze di sicurezza irachene, i tentativi di integrarle pienamente non sono riusciti. Nel corso delle proteste del 2019-2020 le loro sedi sono state attaccate dai manifestanti in molte città.
Secondo Saeed sono due le ragioni dietro gli attacchi contro manifestanti e attivisti: “Lo ‘stato ombra’ e lo stato sono entrati in conflitto perché il governo si è mosso. Dunque le uccisioni sono una sfida ad Al Kadhimi. Inoltre queste forze vogliono ridurre le possibilità che il movimento si organizzi politicamente”.
Il movimento di protesta ha di fronte molte sfide, tra cui i continui attacchi e le divisioni interne. Said considera la calma momentanea dei manifestanti una tregua non dichiarata con Al Kadhimi, per dargli il tempo di rispondere ad alcune delle loro rivendicazioni. Ma già ci sono appelli a tornare in piazza il 1 ottobre, per celebrare il primo anniversario del movimento.
Al Khafaji e Remon sostengono che il movimento è stato indebolito, ma non sconfitto. “Voglio dire al popolo iracheno che non deve più stare in silenzio davanti all’ingiustizia e alla corruzione. Un giorno la giustizia trionferà”, dice Remon. “Si sta affermando una nuova generazione che non può essere messa a tacere”. ◆ fdl
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1374 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati