Messo con le spalle al muro, il primo ministro francese Sébastien Lecornu ha presentato le sue dimissioni al presidente Emmanuel Macron il 6 ottobre. Erano passate appena quindici ore dall’annuncio della formazione del suo governo quando l’ex ministro della difesa, fedelissimo del presidente, ha gettato la spugna comunicando che non c’erano più “le condizioni” per mantenere l’incarico, di “aver cercato di costruire un percorso produttivo con le forze sociali, gli imprenditori e i rappresentanti sindacali, soprattutto sui temi che da settimane costituiscono un ostacolo”, come il sussidio di disoccupazione, il costo della vita e la previdenza sociale.

Lecornu diventa così il capo di governo più effimero della quinta repubblica. Le sue dimissioni, 26 giorni dopo il suo incarico, trascinano il paese in un’instabilità politica dalle conseguenze imprevedibili. È il terzo primo ministro proveniente dalla coalizione tra centro e destra che governa dal 2024 a rinunciare all’incarico in mancanza di una maggioranza. La deflagrazione provocata dallo scioglimento dell’assemblea nazionale decisa da Macron nel giugno del 2024 continua a produrre effetti deleteri sulla vita politica ed economica del paese.

Un altro fatto senza precedenti nella quinta repubblica è che Lecornu non ha avuto nemmeno il tempo di pronunciare la sua dichiarazione di politica generale: il suo governo è diventato subito dimissionario, dunque si limiterà all’ordinaria amministrazione.

Per Lecornu il punto di non ritorno è stato raggiunto il 5 ottobre, quando Bruno Retailleau – presidente del partito Les Républicains (Lr) – ha guidato l’attacco contro un governo dominato dai sostenitori del presidente, che “non riflette la rottura promessa”, aveva dichiarato su X, innescando una crisi inedita. La rabbia di Retailleau era stata provocata dalla nomina inattesa alla difesa dell’ex ministro dell’economia Bruno Le Maire. Per Lr e per il resto del mondo politico il ritorno di Le Maire al governo suona come un affronto. L’ex ministro, infatti, è considerato un simbolo della deriva della finanza pubblica e dell’eterno ritorno di personalità politiche criticate per il loro passato.

Come in un domino, la nomina ha provocato la collera generale in quanto sembrava privilegiare il partito del presidente a scapito degli alleati. La riproposizione di 12 ministri dimissionari su 18 ha sconcertato quelli che avrebbero dovuto essere i sostenitori di Lecornu, tenuti all’oscuro fino all’ultimo momento.

Un politico che divide

Il passaggio effimero di Lecornu alla guida del governo evidenzia il fallimento di un metodo: esattamente come i suoi predecessori si è dimostrato incapace di unire il proprio schieramento e di emanciparsi dal capo dello stato.

A questo punto Macron ha tre alternative. La prima è la nomina di un altro primo ministro, con la difficoltà crescente di creare una maggioranza coinvolgendo la sinistra o l’estrema destra. La seconda è quella di un nuovo scioglimento dell’assemblea nazionale. La terza, anche se già esclusa dal presidente della repubblica, resta comunque valida e rischia di avere un impatto importante nel dibattito pubblico: si tratta delle dimissioni di Macron.

Il presidente si trova da solo in prima linea, minacciato dagli inviti alle dimissioni e allo scioglimento del parlamento provenienti dall’opposizione. “Chiediamo l’esame immediato della mozione depositata da 104 deputati per la destituzione di Emmanuel Macron”, ha scritto su X il leader di La France insoumise (sinistra radicale), Jean-Luc Mélenchon, mentre Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national (estrema destra), ha dichiarato: “Non può esserci un ritorno alla stabilità senza un ritorno alle urne”.

Le dimissioni di Lecornu hanno sorpreso il protocollo. Al ministero della difesa decine di giornalisti aspettavano il passaggio di consegne al nuovo ministro. Ma dopo alcuni minuti di smarrimento i gendarmi sono stati costretti a un imbarazzato “arrivederci”, prima di scomparire dietro una porta chiusa che avrebbe dovuto aprirsi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati