Fuori della porta c’è un cartello: “Benvenuti in paradiso”. Lì vicino c’è la freebox, una mensola dove le persone possono lasciare degli oggetti in regalo. “Prima questa era una discarica, ora è un’oasi verde”, dice Sören Moje.

Negli anni novanta, in una zona industriale ai margini del quartiere amburghese di Altona sorse il wagenplatz – una sorta di piccolo villaggio di roulotte – dove Moje vive dal 2020. Qui i residenti non possono coltivare nulla, dato che il terreno è ancora contaminato. Per questo fragole e verdure crescono in cassette di legno. Grazie ai fondatori di questa piccola comunità, nel wagenplatz non si sente più solo il rombo dei motori proveniente dalla vicina autostrada, ma anche il canto degli uccelli, soprattutto di notte, quando il traffico diminuisce. C’è odore di prato bagnato dopo la pioggia, e di un fuoco da campo ormai spento.

Dentro la roulotte da circo di Moje ci sono solo un letto, un tostapane e una macchina del caffè. Il caravan è casa sua da quindici anni, con il veicolo ha fatto sosta in diversi wagenplatz della Germania settentrionale. Insieme alle altre roulotte forma un cerchio. Al centro c’è un braciere per il fuoco. Sotto un ombrellone c’è il tavolo su cui mangia, con una panca che fa da divano.

Nel suo laboratorio Moje conserva alcuni ricordi della vita da marinaio: un timone di legno con l’orologio e una bussola rotta che proviene da un gommone di rifugiati e che gli è stata regalata quando lavorava come soccorritore in mare. Sotto un telone c’è la sua barca, che deve ancora riparare. E su un tavolo da birreria c’è la coda da pesce – costata tremila euro e pesante diciassette chili – che Moje indossa per muoversi in acqua come una sirena, o meglio come un sirenetto.

Al tatto e sott’acqua, lo scivoloso corpo di pesce in cui si infila Sören Moje sembra quasi vero. “Il momento più emozionante è quando ci osservano gli animali selvatici, che ovviamente s’incuriosiscono vedendoci nel loro habitat”. Chi si dedica al mermaiding, come viene chiamato questo passatempo, nuota indossando un costume da sirena. I suoi cultori nuotano compiendo movimenti a onda come i delfini, soprattutto sott’acqua. È un modo per unire l’allenamento fisico alla performance artistica, alla fotografia e all’espressione di sé e, a volte, come nel caso di Moje, all’attivismo. Lui sfrutta l’attenzione che cattura nei panni di un tritone per promuovere la difesa dell’ambiente marino e la protezione delle persone in mare.

Spesso è in viaggio anche per il suo lavoro di modello, con lo pseudonimo di “Merman Mo”. Partecipa a vari progetti, per esempio alla pubblicità di un marchio di acqua minerale. A settembre Moje è andato alle Maldive per una serie di conferenze dedicate al mermaiding e per nuotare con le mante. Per lui ogni occasione è buona per diffondere il suo messaggio. Spesso sott’acqua pulisce i fondali con la pinna. Inoltre s’immerge nelle barriere coralline per raccogliere la plastica. “Anche se riesco a raccoglierne solo una manciata, è comunque un gesto contro la marea di plastica che ci circonda”.

Dimensione sociale

Moje era affascinato dalle sirene fin da piccolo. “Conoscevo a memoria La sirenetta della Disney”. Ma quando a 17 anni aveva cominciato a studiare come meccanico navale non sognava più di diventare a sua volta una creatura del mare. In seguito ha lavorato come tecnico di gestione e capo macchinista sui mercantili. “Restare tutto il tempo a bordo non faceva per me. Mi mancava la dimensione sociale. Poi ho scoperto che potevo unire le due cose”. Così si è imbarcato con ong come la Sea Shepherd, la Sea-Watch e la Open Arms, impegnandosi per la protezione dell’ambiente e il salvataggio delle persone in mare. “Faccio un tentativo”, aveva pensato all’inizio. Ha continuato per sette anni.

Dopo l’esperienza da soccorritore, associava il mare solo a “dolore e miseria”, racconta. Anche quando non era in servizio, partecipava a eventi e azioni di solidarietà e s’impegnava per le giuste cause. A un certo punto, però, non ce l’ha fatta più. “Avevo represso tutto, come se queste esperienze non lasciassero delle tracce su di me. Così mi sono accorto che bevevo troppo e che avevo bisogno di andare in terapia”.

Si è cercato un hobby. Online ha trovato materiale sul mermaiding. La prima volta “è stato come se l’avessi sempre fatto”, ricorda. “Il mermaiding mi ha restituito la gioia del mare”.

Moje ha sempre avuto la passione per l’ambiente marino. “Quando da bambino non riuscivano a trovarmi, ero sempre in acqua. Non volevo mai uscire”, racconta. “Mi piace molto nuotare e fare immersioni, l’acqua è sempre stata il mio elemento naturale”. “E poi”, aggiunge ridendo, “sono del segno del Cancro, con ascendente Cancro e luna in Cancro”.

Il giorno prima di compiere 39 anni, dopo colazione, Sören Moje ha fumato seduto al tavolo davanti alla roulotte una delle ultime sigarette della sua vita. Dopo ha smesso. Lo stesso aveva fatto un anno prima con l’alcol e oggi è orgoglioso di essere rimasto sobrio da allora. “Non ne potevo più di avvelenare il mio corpo in quel modo”.

Per lui sono cambiate molte cose negli ultimi tempi. Dice di essere pulito, di avere una compagna e anche un terreno nella campagna dei suoi nonni, che un giorno vorrebbe sistemare per costruirci la sua casa. Anche dal mermaiding ha preso una piccola pausa.

“L’attivismo per me è fondamentale, ma ho dovuto cercare un lavoro e prendermi cura della mia vita”. Adesso ha un impiego su un rimorchiatore a Kiel. “Siamo i trattori del mare”, spiega. Con il rimorchiatore traina in porto le grandi navi portacontainer o mercantili. Passa una settimana in mare e la successiva sulla terraferma.

Quando è a terra, Moje è attivo anche con l’associazione Amici del besanewer Johanna, che si occupa di salvaguardare le navi a vela tradizionali. Nel 1903 anche il suo bisnonno ne costruì una. Oggi è una nave museo. Suo nonno era un capitano, come suo padre e i fratelli. A cinque anni Moje ha fatto con il padre il suo primo viaggio su una nave container. Un’esperienza che l’ha formato. Ma il padre non l’ha mai costretto a diventare marinaio. “Pensateci bene”, diceva ai figli.

Nella famiglia di Moje le donne hanno sempre avuto “ruoli tradizionali”. Anche nel settore in cui lavora oggi s’indigna perché le donne sono così poche o lavorano nell’amministrazione e nella ristorazione, ma non in mare o nei porti. Solo nelle ong che si occupano di soccorso in mare, dice, il rapporto tra uomini e donne è paritario. “Le mie colleghe erano sorprese o mi ringraziavano quando le trattavo alla pari, è assurdo”.

Gli capita spesso di essere giudicato perché veste i panni di una sirena? Moje ci riflette. “Alcuni ridono, mentre altri l’apprezzano. Io lo faccio solo perché mi diverte”. Non gli è mai importato troppo di cosa pensano gli altri. Ma ritiene che sia giusto confrontarsi con gli stereotipi della mascolinità. “Se il mio ruolo da sirena contribuisce a questo, lo considero un effetto collaterale positivo”. Già da bambino aveva ben chiaro che anche gli uomini possono avere un lato sensibile e vulnerabile, com’è naturale. Anche questo è un insegnamento del mare.

Durante un giro nel Mediterraneo insieme al padre, quando aveva nove anni, il motore del gommone si era spento improvvisamente mentre si trovavano a diverse centinaia di metri dalla nave portacontainer. “Ci toccò tornare indietro a remi. È stata forse l’esperienza più significativa della mia vita”, racconta. “All’improvviso mi resi conto di come, da un momento all’altro, ci si possa sentire completamente indifesi. Non c’è nessuno, sei nel bel mezzo del nulla e dipendi solo da te stesso. Devi cavartela da solo”. Quando in seguito, da soccorritore, ha visto la paura negli occhi dei rifugiati, si è sempre ricordato di quel momento. ◆ nv

Biografia

1987 Nasce in Germania.
2004 Comincia a studiare come meccanico navale.
2019 S’imbarca su una nave dell’organizzazione non governativa spagnola Open Arms, sotto la guida della comandante Carola Rackete.
2019 Un tribunale tedesco ordina a Matteo Salvini, ai tempi ministro dell’interno, di rimuovere una foto di Moje che il politico aveva pubblicato sui social media per criticare la Open Arms.


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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati