Sul palco Lioness sa come ipnotizzare il suo pubblico. Tiene in mano il microfono mentre mantiene il contatto visivo con la folla, che balla e canta insieme a lei. In tempi normali il palco è il suo posto preferito. Ma questi non sono tempi normali e questa rapper namibiana di 27 anni – il cui vero nome è La-Toya Mwoombola – ha un altro posto dove si sente a suo agio. Nel bel mezzo della pandemia lotta contro il covid-19 e altre malattie in un ospedale statale della Namibia, dove sta facendo il tirocinio. “Mi piace avere questo doppio talento”, dice, seduta in un famoso ristorante di pesce della capitale Windhoek, in uno dei giorni in cui non è impegnata in ospedale. È seduta con le gambe incrociate, con un vestito beige informale, orecchini scintillanti e occhiali da sole.
Anche se è domenica pomeriggio, il ristorante è animato. I camerieri con la mascherina corrono per servire tutti i clienti. Dal tavolo la vista si estende verso le dolci colline verdi di Klein Windhoek, uno dei quartieri della capitale, con le sue ampie case coloniali, le ville moderne e le ambasciate.
Il ristorante è vicinissimo alla vecchia scuola di Mwoombola ed è un posto dove lei si ferma spesso a mangiare. Il nostro tavolo è leggermente nascosto agli altri ospiti, che stanno più vicini all’entrata. Ma un suo ammiratore o un amico – a Windhoek è difficile cogliere la differenza – la riconosce. “Che fai qui?”, grida a La-Toya e aggiunge ridendo: “Ti ho riconosciuta dalla nuca!”.
Dal 2015, quando è uscito il suo primo ep intitolato ILL3, firmato con il suo nome d’arte Lioness, Mwoombola ha gettato scompiglio nella scena rap namibiana con il suo talento e il suo stile unico, fatto di testi complessi e composti in modo scrupoloso.
In questo periodo però Mwoombola segue un’altra routine: quella rigida del personale sanitario. Si sveglia alle 4.30 del mattino, arriva all’ospedale entro le 6 e fa turni di dodici ore.
In passato, racconta, le capitava di rimanere in ospedale per quaranta o cinquanta ore, dopodiché andava in studio a registrare. Ma poi ha avuto un esaurimento nervoso a causa della stanchezza. Per questo oggi spesso subito dopo il lavoro va a dormire e si dedica alla musica solo nel fine settimana. “Se non lavoro in ospedale, allora vado in studio a scrivere musica”, dice con voce morbida sorridendo. “In media cerco di passarci almeno un giorno alla settimana”. Per lei sia comporre musica sia studiare medicina sono stati un tentativo di reclamare più spazio: se sei brava a fare qualcosa, meriti di avere il tuo posto in una stanza, anche se la stanza finora è stata occupata per lo più da uomini.
In lingua oshiwambo il suo nome d’arte vuol dire “piccolo leone”: un soprannome che la madre le diede da bambina per la sua folta capigliatura
La scena rap namibiana è stata dominata per anni da uomini come The Dogg e Gazza. Non sono molte le donne che emergono nel settore, perché in Namibia i tradizionali ruoli di genere e la società patriarcale difficilmente ammettono l’idea che una donna stia sul palco a fare rime. Questo stigma, oltre che alle intimidazioni e all’aggressività sessuale degli uomini, è stato una delle più importanti sfide che Mwoombola ha dovuto superare. Ma oggi sembra che, lentamente, le cose stiano cambiando. “Finalmente in Namibia sta diventando accettabile vedere una donna che fa rap”, dice, sistemandosi gli occhiali da sole sulla testa.
Il buon esempio
Per molti sarebbe impossibile conciliare una carriera nella medicina con quella musicale. Per farlo Mwoombola si è ispirata a sua madre, Linea Nuugwedha, morta nel 2018 all’età di 58 anni per un cancro alle ovaie. Anche lei faceva due lavori. Mentre seguiva un dottorato sull’istruzione prescolastica e teneva delle lezioni all’università della Namibia, riuscì a crescere da sola La-Toya e sua sorella Gina.
I genitori di La-Toya divorziarono quando lei aveva quattro anni. Da quel momento lei si è allontanata da suo padre e ricorda che, nel corso degli anni, ci sono stati momenti difficili. “Quando ero bambina io, mia madre e mia sorella eravamo sole. Costituivamo un cerchio compatto di energia femminile. Ci siamo scambiate un sacco di abitudini, sia buone sia cattive”, dice.
Alle scuole superiori lei e sua sorella erano tra i pochi studenti neri in una scuola privata di Windhoek frequentata per lo più da bianchi, la St Paul’s. Mwoombola ricorda la sensazione di stare in mezzo a bambini molto più ricchi di lei, ma anche la forza e il sostegno che la madre assicurava a lei e alla sorella. Nonostante le difficoltà con cui doveva fare i conti – come il fatto di dover svolgere due lavori pur essendo una madre single – Linea fece in modo che le sue ragazze facessero anche attività extracurricolari come danza e pianoforte. E ai saggi era sempre presente.
La-Toya portava a casa buoni voti ma a scuola era considerata una ragazza timida. E vedeva la musica come una via di fuga e un modo per rilassarsi X
“Per noi era un punto di riferimento. Tutto quello che diceva era legge. E così abbiamo imparato alcuni comportamenti e preso alcune abitudini. Una di queste era lavorare sodo”.
Con gli zigomi pronunciati, gli occhi color mogano e un po’ di spazio tra i due incisivi superiori, la rapper sembra identica a Linea, che lei descrive come una donna “affabile ma severa”. Parla con un candore e una dolcezza che richiamano la sua descrizione della madre. Ma non si limita a somigliarle fisicamente, ha anche ereditato la sua ambizione. È da lei che, a quanto dice, ha imparato la perseveranza e il perfezionismo. “Mi ha insegnato a essere una grande lavoratrice”, dice Mwoombola. “Aveva anche lei un certo talento musicale. Suonava la chitarra. Dopo la sua chemioterapia avrei voluto comprargliene una nuova, ma purtroppo la riuscì a suonare solo una volta”, dice con voce più seria. Diventa triste quando parla di Linea. E nel suo straziante singolo Meme ha fatto i conti con le emozioni che ha provato dopo la sua scomparsa: “Come può il grembo che mi ha partorito volerti uccidere / alle visite in ospedale ero sempre nervosa quando ti accompagnavo / vedevo che il tuo corpo stava rinunciando a combattere”, recita il pezzo.
Un nuovo approccio
Prima di diventare Lioness, quando faceva i primi esperimenti con la musica, Mwoombola tornava a casa da scuola e ascoltava i ritmi creati da sua sorella Gina Jeanz, che oggi ha trent’anni, è diventata una dj e modella di successo e vive in Sudafrica. All’inizio La-Toya cantava, ma sua sorella pensava che non fosse abbastanza brava, così lei cambiò il suo approccio e cominciò a rappare sopra le sue basi, usando un metronomo per imparare i vari ritmi. E così è nato il suo stile.
La-Toya portava a casa buoni voti ma a scuola era considerata una ragazza timida. E così vedeva la musica come una via di fuga e un modo per rilassarsi. Ascoltava tutti gli artisti che poteva, perché per lei questo significava imparare cose nuove. Tra i suoi musicisti preferiti c’erano Dmx e le Tlc.
Presto la musica di Lioness si è evoluta. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo disco, Pride of the CilQ. Quell’anno si è anche laureata in medicina e chirurgia all’università della Namibia. “Però volevo imparare altre cose, volevo vedere dove potevano spingermi le mie doti. Così ho cominciato a partecipare a dei cypher”, dice Lioness. Nella cultura hip hop un cypher è un raduno in cui ci si mette in cerchio e si rappa improvvisando sulla stessa base. Quando finisce il turno di una persona comincia quello dell’altra e spesso le rime contengono parole di sfida e prese in giro reciproche. In seguito ha registrato i primi brani. “Il tempo è semplicemente volato, e in un lampo mi sono ritrovata sul palco e ho cominciato a sentire le mie canzoni alla radio”, aggiunge, parlando della sua rapida ascesa nella scena musicale di Windhoek.
Attraverso le collaborazioni con altri artisti e le esibizioni in alcuni dei più grandi eventi della capitale, in poco tempo la giovane musicista ha cominciato a dominare la scena rap namibiana. Ha registrato il suo album d’esordio in quattro mesi, da sola, in uno studio casalingo, perché era stata vittima d’intimidazioni da parte di un produttore secondo il quale non era abbastanza brava per fare musica. Queste intimidazioni si sono rapidamente trasformate in commenti a sfondo sessuale. A quel punto lei ha deciso di smettere di lavorare con quel produttore. “Ogni donna in questo settore deve passare per esperienze del genere. Volevo solo ignorare quello che diceva, ma era impossibile che le sue parole non mi influenzassero”, dice mentre la sua voce s’incrina.
Come mia madre
Da allora Lioness è salita rapidamente alla ribalta. Si è esibita in Malawi, in Sudafrica e in Kenya. Bbc News Africa e altre testate internazionali hanno parlato di lei. Rappando sia in inglese sia in lingua oshiwambo (uno dei dialetti bantu parlati nel suo paese) ha mostrato la Namibia al pubblico di tutto il continente e ha contribuito a riportare la musica africana alle sue radici, integrando la sua lingua madre. Il nome d’arte che ha scelto significa “piccolo leone” in lingua oshiwambo : un soprannome che la madre le diede da bambina per la sua folta capigliatura, simile alla criniera di un leone.
La famiglia e l’educazione sono una parte fondamentale della sua vita: tiene sempre a mente i consigli su come vivere le relazioni che sua madre le dava quando era più giovane; le raccomandazioni sulla carriera, che hanno determinato molte decisioni importanti della sua vita. “Anche se aveva due lavori, mia madre era bravissima in entrambi”, dice. “Penso che questo mi abbia ispirato e che mi abbia dato la possibilità di continuare a impegnarmi e a lavorare sodo, dedicandomi sia alla musica sia alla medicina”.
Visto che a scuola prendeva voti alti sia in fisica sia in biologia, era chiaro che Mwoombola avrebbe scelto studi scientifici. È stata sua madre a suggerirle di studiare medicina, dato che nel 2010 era appena stata inaugurata la prima facoltà di quel tipo in Namibia. “Penso che la ragione sia stata, in parte, il mio impegno nell’aiutare gli altri durante gli anni delle scuole superiori. Ho sempre preso parte a programmi di beneficenza”, dice sorridendo. La scuola organizzava delle visite nei villaggi rurali dove lei e i suoi compagni potevano giocare, disegnare e fare lezioni con i bambini che vivevano in quelle comunità, molti dei quali non avevano accesso all’istruzione. “Vorrei poter rintracciare le bambine che ho incontrato e scoprire cosa fanno oggi. Mi dicevano che per loro era davvero stimolante vedere una ragazza come me fare tutte quelle cose”.
Nel 2020 Mwoombola ha lavorato duramente nella lotta contro la pandemia di covid-19. La Namibia, che sta uscendo dalla terza ondata, ha avuto più di 123mila casi e più di 3.300 morti. Il paese aveva imposto misure di contenimento rigorose fin dall’inizio della pandemia, ma gli ospedali e i lavoratori in prima linea stanno ancora lottando. Soprattutto ora che i letti d’ospedale si riempiono e le scorte di ossigeno finiscono. “I miei colleghi vengono utilizzati a tutto campo, e anch’io devo fare sempre doppi turni. A questo si aggiunge la costante paranoia di contrarre a mia volta il virus”, dice descrivendo la situazione in ospedale.
Anche se è stata molto dura, questa situazione ha anche rafforzato la sua passione per la medicina. “È incredibile che siamo stati in grado di ottenere un vaccino in un anno. Dimostra che la medicina avanza costantemente, e anche che la tecnologia si evolve”.
Nel suo tempo libero, le piace andare in palestra per sollevare pesi. “Prendo la mia salute molto seriamente”, dice. “Mi piace anche guardare le mma (arti marziali miste)”. E passa molto tempo con il suo ragazzo, che considera anche il suo migliore amico.
“Ci sono volute molte rinunce, sacrifici personali in altre aree della mia vita: con i miei amici, con il mio partner e la mia famiglia. Inoltre ho pochissimo tempo libero. Ho sempre lavorato e ho sempre cercato di perfezionare la mia arte e il mio mestiere”, spiega parlando lentamente, inclinando la testa per pensare. Ma non c’è amarezza nella sua voce quando descrive il tributo che la sua vita privata ha pagato alla sua carriera. Sa per cosa sta lavorando.
“Dopo la facoltà di medicina volevo concentrarmi sulla musica, ma mia madre era appena morta. E ho dovuto dire a me stessa: ‘Allaccia le cinture, ragazza, dobbiamo trovare un lavoro’, perché dovevo pagare la retta universitaria”, spiega. “Quindi ho deciso di fare entrambe le cose. Vorrei essere in grado di seguire una sola strada, ma al momento non è economicamente sostenibile. Sento che l’etica del lavoro come medica ti dà qualcosa che puoi portare anche in molte altre carriere: perché è uno dei mestieri più difficili che esistano”, dice.
Per ora Mwoombola ha deciso di completare i due anni di tirocinio e di concentrarsi sulla carriera musicale a tempo pieno quando questa esperienza sarà finita. “Credo che sia fondamentale portare a termine anzitutto quello che si è cominciato”, commenta, “ma quando avrò finito, voglio pensare solo al rap”.
Punto di riferimento
In tutto questo tempo, Mwoombola ha sempre saputo perché fa tanti sacrifici. “Tutti devono sapere che nel rap le cose stanno cambiando ed è per questo che posso dare un contributo mettendo fine ai pregiudizi”, dice a proposito del luogo comune namibiano, alimentato dall’industria discografica, secondo il quale le donne non sarebbero abbastanza brave a fare rap. “Sarò semplicemente una rapper, senza cercare scuse, e ho ancora buoni voti, quindi riuscirò anche a fare la medica”.
Per tutte le ragazze che la ammirano, la rapper è diventata un modello, dato che sta abbattendo le barriere nel mondo della medicina e della musica. Ma le mancano il ricordo e l’esempio di Linea. “Per me era una guida”, dice. Per questo porta avanti l’eredità di sua madre: per avere successo e per diventare a sua volta una fonte d’ispirazione per altre donne. ◆ ff
◆ 1995 Nasce a Windhoek, la capitale della Namibia.
◆ 1999 I suoi genitori divorziano. Lei e la sorella crescono con la madre.
◆ 2015 Pubblica il suo primo ep, intitolato ILL3.
◆ 2018 Nell’anno in cui si laurea in medicina, sua madre muore a causa di un tumore alle ovaie.
◆ 2020 Durante il tirocinio in medicina comincia a lavorare in un ospedale di Windhoek e cura molti malati di covid-19.
◆ maggio 2020 Esce il suo nuovo album, Wish you were here.
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Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati