La notte del 13 ottobre, pochi giorni dopo l’entrata in vigore di un fragile cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, alcuni video hanno cominciato a inondare i canali Telegram palestinesi che rappresentano il principale strumento di condivisione delle informazioni nel territorio. Filmati da diversi testimoni, i video mostrano una strada della città di Gaza verso sera. Otto persone sono trascinate in uno slargo, con i volti coperti, e costrette a inginocchiarsi. Dietro di loro ci sono uomini armati che indossano passamontagna neri tenuti dalla fascia verde di Hamas. È chiaro cosa sta succedendo: un’esecuzione pubblica. Quando i fucili aprono il fuoco, la scena è sconvolgente. Gli uomini inginocchiati a terra si accasciano e gli spari continuano per alcuni secondi. Poco dopo si è diffusa la notizia che si trattava di una rappresaglia contro famiglie che avevano collaborato con Israele nella sua guerra genocida.

Questa storia è arrivata anche alla Casa Bianca. Quando i giornalisti gli hanno chiesto delle notizie secondo cui Hamas si starebbe riarmando, uccidendo i suoi rivali, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso un implicito sostegno alle violenze, affermando: “Siamo comprensivi, perché vogliono risolvere i problemi, e noi gli abbiamo dato l’approvazione per un certo periodo. Controllano che non ci siano criminalità grave o alcune questioni che emergono in aree come questa che sono state letteralmente demolite. Possono succedere molte cose brutte. Vogliamo che tutto avvenga in sicurezza. Credo che andrà bene”. Il sostegno si è fatto più esplicito pochi giorni dopo. “Hanno eliminato un paio di bande molto cattive”, ha detto Trump. “Questo non mi ha molto infastidito, se devo essere onesto. Va bene così”.

Poi però la linea statunitense è cambiata. Il 18 ottobre il dipartimento di stato ha avvertito di una “violazione imminente del cessate il fuoco da parte di Hamas contro la popolazione di Gaza”. Per gli Stati Uniti e Israele il ridispiegamento di Hamas a Gaza è in contrasto con l’obbligo di “disarmo” stabilito dal piano in venti punti diffuso dalla Casa Bianca a fine settembre, i cui dettagli devono ancora essere negoziati.

Dentro la Striscia di Gaza la situazione è più complessa. Mada Masr ha parlato con funzionari della sicurezza, uomini di Hamas, figure influenti e testimoni, per capire cosa è successo tra il movimento e “i ripudiati”, membri di famiglie di spicco che hanno collaborato con Israele. Pur esprimendo preoccupazione per la violenza sommaria di Hamas, diverse fonti considerano le sue azioni necessarie per contrastare il “piano di partizione” di Israele, e un segnale che il gruppo non sarà così facilmente allontanato dalla Striscia.

Tenere a bada

Alcuni giorni dopo l’annuncio del cessate il fuoco a Gaza, le forze di sicurezza legate al governo di Hamas hanno cominciato a schierarsi nelle zone abbandonate dall’esercito di occupazione. Si sono anche scontrate con gruppi armati ritenuti affiliati alle famiglie che durante la guerra hanno guadagnato influenza e controllo su parti della Striscia. Lo scontro più violento è avvenuto nella città di Gaza, con una milizia legata alla famiglia Dogh­mush, una delle più grandi della Striscia. Secondo un testimone, gli uomini di Hamas hanno circondato il gruppo dopo che aveva sequestrato alcuni di loro. A quel punto è scoppiato uno scontro a fuoco durato due giorni, che ha fatto diversi morti da entrambe le parti.

Il testimone, legato al ministero dell’interno, aggiunge che il gruppo affiliato ai Doghmush sarebbe stato responsabile dell’uccisione di alcune persone che cercavano di procurarsi aiuti umanitari nella parte orientale della città di Gaza e dei saccheggi dei camion di aiuti dopo l’imposizione israeliana di un blocco totale a marzo.

La scintilla che ha innescato il regolamento dei conti è stata però l’uccisione del figlio di un comandante delle Brigate al Qassam (il braccio armato di Hamas) compiuta da persone della famiglia Dogh­mush a Gaza. Da lì è cominciata un’ondata di sequestri e omicidi che hanno preso di mira membri di altre famiglie affiliate a Hamas. Il movimento ha quindi scatenato una vasta campagna repressiva che ha portato alla morte di decine di persone e all’arresto di altre.

La tensione tra i Doghmush e Hamas risale al 2007 quando Hamas, dopo aver preso il controllo della Striscia, avviò feroci battaglie contro diverse famiglie considerate vicine all’Autorità nazionale palestinese (Anp, l’organismo che governa la Cisgiordania), nel tentativo di imporre il suo predominio nella sicurezza. I Dogh­mush erano una delle più importanti.

Una fonte interna alla guardia presidenziale palestinese riferisce che Momtaz Doghmush, esponente di spicco in passato accusato di terrorismo in Egitto, dopo aver lasciato Hamas ha fondato altri gruppi a Gaza, tra cui una piccola milizia per proteggere la famiglia da Hamas, la cui ascesa aveva messo fine all’influenza delle famiglie tradizionalmente allineate con Al Fatah, il partito che domina l’Anp.

La milizia ha stretti legami con le forze di sicurezza di Ramallah e ha sempre avuto rapporti tesi con Hamas, anche se non era mai arrivata a uno scontro sanguinoso, aggiunge la fonte: “Questa famiglia adora le armi, ma Hamas si è data da fare per confiscargliele dopo aver preso il controllo di Gaza, seguendo l’idea di tenere a bada i forti per incutere paura ai deboli”. La fonte del ministero dell’interno conferma che in parte le cause dei recenti scontri risalgono al 2007: “Alcuni uomini della famiglia hanno sfruttato la situazione di caos creata dalla guerra per regolare vecchi conti con il movimento”.

Tuttavia, secondo un alto funzionario di Al Fatah non si può parlare di “collaborazione” di intere famiglie con Israele. Sono coinvolti alcuni individui, precisa, ma le famiglie non possono essere accusate collettivamente. La fonte della guardia presidenziale osserva che spesso i problemi cominciano dai singoli e poi si allargano: a volte piccoli gruppi agiscono autonomamente, senza la copertura formale della famiglia.

Non tutti però sono convinti che la questione si riduca a gruppi isolati. Per l’attivista Fady al Sheikh Youssef è difficile descrivere queste come “armi di famiglia”. Il livello degli armamenti e del coordinamento rivela un coinvolgimento di Israele, che in questo modo cerca di creare una nuova situazione critica.

I Doghmush, comunque, si sono preoccupati di prendere le distanze dalle accuse di collaborazionismo. Un ufficiale di sicurezza dell’Anp – che ha chiesto di restare anonimo perché appartiene a una famiglia di spicco – sostiene che nel corso della guerra Israele ha tentato di reclutare alcuni Doghmush coinvolti nel saccheggio di aiuti e case. Quando loro hanno rifiutato, Israele ha bombardato circa venti abitazioni della famiglia, secondo il leader Nezar Doghmush. Parlando ai mezzi d’informazione, Doghmush ha dichiarato che al massimo dieci membri della famiglia potrebbero aver collaborato con Israele. Di questi tre sono stati identificati da Hamas e sono stati disconosciuti dalla famiglia. Doghmush ha però condannato le esecuzioni senza processo, osservando che le otto persone uccise il 13 ottobre si erano consegnate appena un’ora e mezza prima. “È un tempo sufficiente per interrogarli e dimostrare la loro colpevolezza?”, ha detto ad Al Arabiya.

Secondo una loro logica

Al Fatah sperava che la polizia di Hamas “si sarebbe occupata dei sospettati attraverso canali legali, arrestandoli e consegnandoli alla giustizia”, afferma il portavoce Monther al Hayek. “Aprire il fuoco in questo modo non costruisce pace sociale. Questo approccio era viziato fin dall’inizio, e gli attacchi sono stati condotti senza criterio”. Nonostante le critiche, la fonte dell’Anp afferma che le azioni di Hamas hanno una loro logica: è l’unico gruppo capace di imporre la sicurezza nella Striscia, sostiene, aggiungendo che Israele cerca di alimentare i conflitti tra palestinesi in modo che Gaza rimanga impantanata nel caos.

La fonte della guardia presidenziale conferma che l’organizzazione sta usando il cessate il fuoco per ristabilire il controllo eliminando avversari simbolici e mandando un messaggio chiaro: “Se i membri di un’importante famiglia si ribellano saranno stroncati”. Secondo il funzionario di Al Fatah la linea dura ha cominciato ad avere effetti. In seguito agli scontri con i Doghmush, altre famiglie hanno avviato una riconciliazione con Hamas, accettando di consegnare le armi e i ricercati.

Tra questi ci sono esponenti della famiglia Mujaida di Khan Yunis, nel sud della Striscia, che in passato ha avuto scontri con Hamas, conclusi con bombardamenti di Israele sulle posizioni del gruppo. Una prova, secondo le fonti, dei rapporti di questa e altre famiglie con l’esercito di occupazione. Anche nei casi in cui non c’è stata una vera e propria sottomissione a Hamas, all’interno di alcuni gruppi rivali sono emerse delle fratture. È successo alla milizia guidata da Ramy Halas, allineata con le forze israeliane.

Dopo il cessate il fuoco Israele ha diviso la Striscia in due zone: una all’interno della “linea gialla” – che ha definito nell’accordo, ordinando ai palestinesi di non avvicinarsi – e un’altra al di fuori. All’interno della linea gialla Israele mantiene un controllo diretto insieme alle milizie che ha formato durante la guerra, guidate da quattro persone: Yasser Abu Shabab e Hossam al Astal nel sud, Ramy Halas e Ashraf al Mansy nel nord. Questi gruppi si coordinano con l’occupante. Sono autorizzati a usare le armi, sono favoriti nell’accesso al cibo e alle forniture militari e agiscono come autorità parallele. Partecipano anche direttamente alle operazioni militari israeliane in varie parti della Striscia.

Secondo la fonte di sicurezza dell’Anp, Halas guida un gruppo di circa 100-150 persone nel quartiere di Shujaiya, nel nord di Gaza, che fa base in scuole e altri edifici distrutti lungo il viale Shaaf, in prossimità del confine con Israele. Il gruppo sarebbe composto da “ripudiati”, cioè persone che sono state disconosciute dalle loro famiglie.

Per organizzare la sua milizia, aggiunge la fonte, Halas si affida a individui come Ahmed Jundiya, un ex funzionario d’intelligence dell’Anp. Dopo il cessate il fuoco, Hamas ha offerto a Jundiya un’amnistia in cambio della consegna delle “spie”. Jundiya ha denunciato tre collaborazionisti che sono stati uccisi. I loro nomi non sono stati resi noti, spiega la fonte, per proteggere la reputazione delle loro famiglie e probabilmente perché appartenevano a Hamas, che si sarebbe trovato in imbarazzo. Una seconda fonte di Al Fatah afferma che il tradimento è inaccettabile e ingiustificabile, confermando che le tensioni con gli Halas, Doghmush e Abu Shabab sono il risultato della protezione offerta da Israele per scatenare una guerra civile. La fonte della guardia presidenziale concorda, descrivendo le persone coinvolte come strumenti sfruttati da Israele nel vuoto di sicurezza. “La collaborazione con l’occupante è inaccettabile tra le famiglie di Gaza, anche quelle che sono in lotta con Hamas. Per loro è un limite da non superare”, ribadisce l’esponente di un’importante famiglia.

Ordine e sicurezza

Secondo la fonte del ministero dell’interno, le azioni di Hamas sono un tentativo per ristabilire la sicurezza e smantellare il progetto di divisione e controllo che l’esercito israeliano cerca di consolidare nella Striscia. Questo non significa però che Hamas vuole necessariamente riprendere a governare il territorio. Il portavoce Hazem Qassem afferma che il gruppo “non desidera prendere parte ad alcun assetto di governo su Gaza” e che ha “accettato di formare un comitato di supporto comunitario incaricato di amministrare la Striscia”.

Eppure, l’uscita di scena di Hamas non sembra imminente. Il leader di Al Fatah sostiene che esiste un’intesa tacita tra l’amministrazione statunitense e il gruppo per cui quest’ultimo non scomparirà improvvisamente dal territorio. Un funzionario di Hamas che vive in Libano aggiunge che il ritiro di Israele da alcune parti di Gaza ha reso necessario l’intervento di “un attore in grado di far rispettare la legge e mantenere la sicurezza”. Il movimento, dice, è in grado “di assicurare gli aiuti e la loro distribuzione e di proteggere le attività delle organizzazioni internazionali”. In questa fase solo Hamas “può far rispettare l’ordine, è evidente”.

“La natura detesta il vuoto”, conclude il funzionario. Mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu insiste sul completo disarmo di Hamas, la domanda nelle prossime settimane sarà se l’occupante la pensa come la natura oppure no. ◆ fdl

Hanno contribuito a questo articolo Mahmoud Bashir, Najih Dawoud e Thaer Abu Aoun. Mada Masr è un sito indipendente egiziano.

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati