Da due mesi Rage vive per strada e oggi in tasca ha solo 16 yen (12 centesimi di euro). Senza più credito telefonico, passa le giornate camminando alla ricerca di un lavoro. Ha le scarpe consumate, con buchi grandi come una moneta da 10 yen, e da una settimana cerca di placare la fame bevendo l’acqua della fontanella del parco.  

Rage, pseudonimo di un senzatetto di 28 anni ridotto in miseria dalla pandemia, ha finalmente lanciato una richiesta d’aiuto. Ha mandato un’email al gruppo Shingata korona saigai kinkyū akushon (Azione per l’emergenza del disastro da coronavirus), un’organizzazione formata da varie associazioni come Rete antipovertà, Tsukuroi Tokyo fund e Tenohasi.

Lo scorso novembre, usando la connessione gratuita di un fast food, ha scritto: “Vago da giorni in cerca di lavoro, riuscendo a malapena a farmi una doccia nei manga caffè per cercare di avere una parvenza normale quando vado ai colloqui. Non ho un indirizzo o un numero di telefono, quindi so già che nessuno mi assumerà, e la settimana scorsa ho finito i miei risparmi. Non ho nemmeno i soldi per stampare il curriculum o per farmi una fototessera. Per favore, aiutatemi”.

Rage è di Kanagawa. Di poche parole con un rapporto travagliato con il padre, è andato via di casa alla prima occasione per trasferirsi in un dormitorio del suo primo datore di lavoro, un’azienda di macchinari edili che gli aveva fatto un contratto a tempo determinato. Dopo tre anni, quando non gli hanno rinnovato il contratto, si è registrato a un’agenzia di lavoro interinale che lo ha reinserito nella stessa fabbrica, ma come lavoratore temporaneo.

Stessa fabbrica e stesso lavoro, insomma, ma con una riduzione dello stipendio di 800mila yen (circa seimila euro) all’anno, l’equivalente dei bonus riservati ai dipendenti. In altre parole, è stato vittima di un meccanismo per cui, nonostante l’esperienza guadagnata in anni di lavoro nel settore, ci si può ritrovare in una situazione peggiore di quella di partenza per via degli espedienti contrattuali delle aziende.  

Richiesta d’aiuto

Da allora Rage ha lavorato in diverse fabbriche, cambiando lavoro al termine di ogni contratto e vivendo nei dormitori aziendali. Nel frattempo, ha acquisito una decina di qualifiche: ha manovrato muletti e gru e supervisionato l’uso di solventi organici. Ma il suo stipendio non è cambiato, e ha dovuto anche fare i conti con promesse di bonus mai mantenute e innumerevoli ore di straordinario mai retribuite. Consapevole di non poter continuare a vivere così, due anni fa Rage ha accettato l’offerta di un conoscente di gestire un izakaya (locale informale dove si bevono alcolici accompagnati da piatti veloci). “Mi piaceva l’idea di fare un lavoro a contatto con il pubblico”, commenta.

Ha accettato senza pensarci due volte. Il locale era intestato a un conoscente, e già arredato. Così ha contattato un amico e insieme hanno cominciato a gestirlo. Rage non aveva una casa, perciò viveva nell’izakaya e mangiava quello che aveva nel locale. Non doveva quindi preoccuparsi di spese e utenze.

Lavorava dalle otto di mattina alle due di notte, con un giorno libero alla settimana; ritmi senza dubbio estenuanti, ma in cambio di un’attività che fruttava fin da subito dai cinquecento ai seicentomila yen al mese. Tra le spese di gestione e l’acquisto di vari elettrodomestici, in tasca non gliene restavano più di cinquantamila, ma gli affari stavano migliorando. Poi è arrivata la pandemia di coronavirus, e il locale è andato in bancarotta. Le vendite sono crollate, e a marzo del 2020 è fallito. Il conoscente che gli aveva dato in gestione il locale ha deciso di annullare il contratto d’affitto.

Quando aveva fame, entrava nei pachinko e approfittava delle caramelle gratis

“Avevo potuto avviare quell’attività senza dover anticipare nulla, e non mi è stato sottratto ingiustamente nessun guadagno. Penso che questa persona abbia fatto tutto quello che poteva per aiutarmi”, dice Rage, nonostante i ritmi di lavoro intensi, le scarse ore di sonno e la decisione unilaterale di chiudere il locale. Sta di fatto che, alla scadenza del contratto d’affitto, Rage si è ritrovato senza un tetto.

Dopo un altro periodo di lavori alla giornata, si è convinto a rivolgersi a una struttura privata che offre sostegno alle fasce più deboli della società. Il personale della struttura l’ha accompagnato allo sportello per chiedere l’assistenza del governo locale. La sua domanda è stata subito accettata, e Rage ha cominciato a vivere in una struttura per bisognosi. 

Ma lo spazio a sua disposizione nella struttura era misero: una stanza suddivisa da pareti di compensato in piccoli vani da tre tatami (4,6 metri quadrati) l’uno. Il cibo era scadente, e per la mancanza di condizionatori in estate i residenti soffrivano di colpi di calore. Inoltre, il vitto e l’alloggio costavano a Rage 84mila dei 108mila yen che riceveva in sussidi dal governo locale. Solo in seguito Rage si è reso conto che quella struttura era in realtà una sistemazione quasi gratuita, e che non avrebbe dovuto pagare tutti quei soldi. 

Con la crisi in corso, questo tipo di speculazione sui più deboli sta drasticamente aumentando. Nel caso di Rage, è stato il governo locale a indirizzarlo verso una struttura che poi si è rivelata disonesta, con la complicità di tutte le persone interessate. Durante questo difficile periodo, Rage ha inoltrato delle richieste per ottenere il bonus in contanti di centomila yen che il governo giapponese assegna a chi è stato colpito dalla crisi sanitaria. Anche se ha spiegato di non essere in contatto con i suoi familiari, il bonus gli è stato ripetutamente rifiutato perché è ancora ufficialmente registrato nel nucleo familiare d’origine. 

 “In quella struttura non offrivano nessun sostegno all’occupazione e all’indipendenza della persona. C’erano persone anziane o malate che vivevano lì da quindici anni. Gli assistenti sociali non vanno mai a controllare le condizioni dei residenti, quindi è difficile che la situazione precaria di quei luoghi venga alla luce”.

Alla giornata

La struttura non era un posto dove poter rimanere a lungo. Qualche mese dopo, Rage ha trovato un altro impiego in un’azienda con dormitorio che gli aveva offerto un contratto temporaneo attraverso un’agenzia interinale. Così ha rinunciato al sussidio e ha lasciato la struttura. Ma il lavoro che l’agenzia gli aveva promesso è saltato, e Rage si è trovato di nuovo senza casa e costretto a vivere alla giornata con lavori saltuari. Pensando che a Tokyo sarebbe stato più facile cercare un lavoro, ha deciso di avvicinarsi alla capitale: si è spostato a Fujisawa, a Totsuma, a Yokohama, di volta in volta usando il wifi gratuito per trovare un lavoretto che gli permettesse di proseguire il viaggio. Quando aveva fame, entrava nei pachinko (sale per il gioco d’azzardo) e approfittava delle caramelle che vengono distribuite gratuitamente. 

“Non avrei mai pensato di diventare un senzatetto o di aver bisogno dell’assistenza sociale, e gli sguardi delle persone che mi circondano cominciano a preoccuparmi. Un giorno mi hanno rubato la borsa con dentro i miei vestiti mentre mi stavo addormentando seduto su una panchina. Tra l’altro, ora non ci si può neanche più stendere sulle panchine, perché le costruiscono con dei divisori tra una seduta e l’altra in modo da tenere alla larga i senzatetto. Quante cose s’imparano vivendo per strada”.

Rage, anche se ormai stremato dalla mancanza di sonno e dalla fame, esitava a chiedere aiuto all’assistenza sociale perché temeva di essere mandato di nuovo in una struttura. A quel punto ha deciso di rivolgersi alla rete di aiuto, che gli ha dato una mano per trasferirsi in uno degli hotel messi a disposizione dalla città di Tokyo. 

Dai problemi familiari al dormitorio aziendale fino al lavoro a giornata e alla struttura per bisognosi: Rage ha sperimentato tutte le contraddizioni della società contemporanea. Ma non sembra nutrire un forte risentimento verso il sistema del precariato nel mondo del lavoro. “Penso che per un semplice diplomato di scuola superiore sia inevitabile. È una forma di lavoro illegale? Non credo. E alla fine, sono riuscito a sopravvivere proprio grazie al lavoro giornaliero. Mi dispiace di essermi dovuto affidare ai servizi sociali. Ora vorrei tornare a lavorare il prima possibile. Accetterei qualunque tipo di impiego, basta che sia per un periodo lungo”, commenta Rage. Gli chiediamo cosa intenda per “lungo periodo”. “Almeno un mese”, risponde.

In Giappone il lavoro temporaneo è ormai considerato la norma, si può finire a vivere per strada per l’interruzione irregolare di un contratto e, chi chiede assistenza rischia di finire in un circolo vizioso. L’unico modo per uscire dalle scadenti strutture di accoglienza è accettare un lavoro temporaneo e alloggiare in un dormitorio aziendale; o rientrare nel circuito imprevedibile dei lavori giornalieri, con la consapevolezza costante di poter finire per strada da un giorno all’altro. Come possono il governo e le amministrazioni locali pensare che sia accettabile spingere i ventenni in questo baratro?

Il giorno in cui ho incontrato il responsabile della rete di aiuto organizzata dai cittadini, Rage aveva ricevuto una piccola somma con cui era riuscito a comprarsi giusto tre onigiri (polpette di riso ripiene)e due tramezzini.

“Ho mangiato solo un onigiri al tonno. Dovrei essere molto affamato, ma sento solo male al petto”, mi ha detto quando l’ho incontrato qualche giorno dopo. Mi ha confessato che non mangiava un pasto vero da giorni e che il suo corpo sta dimenticando pian piano come deglutire. Questa è la realtà dei giovani precari nel Giappone contemporaneo. ◆ jb, mb

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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati