I n tarda primavera il deserto del New Mexico, negli Stati Uniti, profuma di cioccolato. È un fenomeno che alcune volte si avverte all’improvviso: un sentore dolce che aleggia nell’aria. Inizialmente non sapevo decifrare quest’informazione olfattiva, ora invece ne conosco la fonte: un fiore dai petali gialli (berlandiera lyrata) e con il centro scuro detto anche fiore di cioccolato, che sboccia nelle praterie assolate.
Il sudovest degli Stati Uniti ha un odore diverso da qualsiasi altro posto in cui ho vissuto. È migliore dei boschi del Maine, molto più profumato. Quando mi sono trasferita qui non me l’aspettavo. Sono una collezionista di profumi e quindi avevo sentito il profumo del deserto per il mio lavoro, prima di sentirlo di persona. Campionando fragranze come “Mojave Ghost”, “Arizona” e “Desert Eden” – profumi ideati per evocare fiori di cactus o conifere – immaginavo che gli altopiani emanassero aromi polverosi e muschiati, con punte di cipresso. Mi sbagliavo. Qui le piante trattengono le loro essenze intorno al fusto per necessità, liberando gli oli essenziali solo quando sono pronte per essere fertili. Qui la sabbia cuoce sotto il sole e il suolo, fragile, rilascia i suoi segreti a ogni passo. Qui perfino l’urina del mio cane ha un odore più forte ed è di un giallo più intenso di quanto avessi mai visto nelle nostre passeggiate nel Maine. È un paesaggio più umido e più strano di quanto avessi immaginato, complesso, sfuggente e fecondo.
Dopo un anno a Santa Fe, comincio finalmente a conoscere il deserto anche oltre la sua superficie. L’apprendimento però è lento e richiede tutti i sensi, incluso quello più bistrattato, che la scrittrice Helen Keller definì l’“angelo caduto” del corpo. Essendo sordocieca imparò a leggere il mondo attraverso l’olfatto. Si lamentava perché quel senso “importantissimo” era stato “trascurato e screditato”, anche se trovava difficile comunicare agli altri le sue conoscenze. “È difficile tradurre in parole la cosa in sé. A quanto pare, non abbiamo un vocabolario dell’olfatto adeguato e non mi resta che ricorrere a frasi e metafore approssimative”, scrisse.
Il nostro naso è intorpidito
Forse proprio per i nostri limiti linguistici nel definire gli odori ci siamo convinti che i nostri nasi siano deboli e mediocri rispetto a quelli degli animali. Il tempo e le ricerche scientifiche hanno però messo in discussione questo luogo comune. Pur non avendo gli scaltri nasi umidi dei cani o le grandi cavità nasali dei rettili, gli esseri umani possono distinguere circa mille miliardi di odori diversi. Il mito di un olfatto ridotto affonda le sue radici nell’avversione vittoriana per tutto ciò che è profumato e nel rifiuto puritano di tutto ciò che è corporeo. In altre epoche gli odori inconsueti erano considerati segnali di malattia, di presenze spettrali o di fallimenti morali, invece che semplici dati sensoriali.
E così abbiamo intorpidito il nostro naso fino all’oblio, offuscando il nostro senso più primordiale con la presenza opprimente di muschi sintetici e cosiddetti composti “puliti” usati per profumare tutto, dalle caramelle ai detersivi. Quando cerco di annusare l’aria, identificare una pianta, rintracciare la fonte di una particolare gioia aromatica, ingaggio una dura battaglia con la mia cultura e con i miei bulbi olfattivi esausti e annebbiati dalle sostanze chimiche.
Immergersi in un paesaggio è un’esperienza che merita davvero di essere fatta e assaporare gli odori del luogo è una parte cruciale di questo processo. “La scienza tende a considerare l’olfatto un senso di competenza dell’inconscio, ma quando lo descriviamo a parole lo portiamo alla coscienza”, spiega Asifa Majid, scienziata cognitiva dell’università di Oxford, che studia olfatto e linguaggio. Annusare, indagare, nominare: queste azioni ci fanno entrare in una relazione consapevole con il nostro ambiente. L’olfatto può anche contribuire a radicarci nel nostro corpo (la mia terapeuta usa gli aromi durante la meditazione) e a tenere ancorata la nostra coscienza al qui e ora, invece di lasciarla svolazzare senza briglie nell’anticipazione del futuro. Apprezzo le mie capacità olfattive perché mi aiutano a ricordare che anch’io sono parte del mondo.
L’olfatto può essere influenzato dalle nostre esperienze precedenti
“Monitoriamo costantemente l’ambiente che ci circonda cercando di sincronizzarci con esso”, afferma l’artista e teorica Gayil Nalls, fondatrice del World sensorium conservatory, un archivio di profumi botanici. Così come riceviamo informazioni dalla vista e dall’udito, consciamente e inconsciamente, anche l’olfatto ci trasmette dettagli. “È un mezzo importante e accurato attraverso cui comprendiamo il nostro ambiente”, spiega Nalls.
La notte di Capodanno del 1999 Nalls presentò alle persone che affollavano Times square, a New York, una “scultura olfattiva”. La miscela era composta dagli aromi delle piante più rappresentative di ogni nazione. Per gli Stati Uniti scelse il pino.
Sinfonia
Dopo aver parlato con lei, ho fatto una passeggiata nel bosco lungo i sentieri del monte Atalaya, che fa parte della catena montuosa del Sangre de Cristo. Mi sono avvicinata ai tronchi per annusare la corteccia di un pino giallo (Pinus ponderosa). Era una giornata afosa dal profumo resinoso e accogliente. Perfino in un piccolo angolo di foresta come quello ogni albero (pini, ginepri e cipressi) ha un suo profumo e ogni pianta ne lascia un’impronta. Insieme creavano la sinfonia di un paesaggio olfattivo particolare. Più annusavo la corteccia e più mi sentivo confusa. Di cosa sapeva un pino? Solo allontanandomi ho visto la foresta nel suo insieme: fitta di pini, certo, ma anche di altro. Potrei elencare ogni singola nota che accompagnava quella del pino. È così che fanno le aziende di profumi: forniscono le note di testa (la sensazione che si avverte nei cinque minuti dopo lo spruzzo), di cuore (la scia) e di fondo (la personalità del profumo). A volte queste informazioni sono riportate sulla confezione, ma è impossibile immaginare la loro combinazione senza annusare il profumo. Il linguaggio ci offre solo una vaga approssimazione di un profumo, che a sua volta è un’approssimazione di un paesaggio olfattivo naturale. Il lieve odore che si diffonde dopo una pioggia è noto con il nome di petricore, di cui esistono molte varianti. Il petricore di Singapore, per esempio, è diverso da quello di Reykjavík.
Il deserto è più profumato dopo un acquazzone estivo, quando le piante rilasciano i loro oli e il suolo apre i suoi pori. I profumieri hanno individuato l’essenza comune del petricore: la geosmina, un composto chimico. Il suo nome deriva dalle parole greche per “terra” e “odore”. In piccole quantità ha un odore familiare e ammuffito, vagamente fangoso ma in un certo senso gradevole. In dosi più elevate può risultare stantio e rancido, un po’ come quello degli indumenti sporchi dimenticati in uno scantinato umido.
In natura la geosmina è prodotta da alcune specie di cianobatteri che abitano il suolo e fa parte dell’insieme di fragranze che nel deserto si diffondono nell’aria prima, durante e dopo uno scroscio di pioggia. Negli anni sessanta la scoperta e la denominazione della geosmina furono una manna dal cielo per i profumieri, anche se c’è voluto parecchio per perfezionare la versione sintetizzata in laboratorio del composto. In profumeria può essere usata per aggiungere una nota terrosa di petricore a un bouquet. Dato che la maggior parte delle ditte di profumi non pubblica la lista completa dei composti chimici, non è sempre facile capire se si sta annusando della geosmina.
L’azienda di profumi Solstice scents produce una fragranza botanica legnosa chiamata Desert thunderstorm (tempesta del deserto), che tra le sue note comprende salvia, resina di pino, erba dolce, cespuglio di creosoto e petricore.
Secondo Cebastien Rose e Robin Moore, profumieri dell’azienda Drylands wilds, di Albuquerque, negli Stati Uniti, ci sono altri modi per ottenere il profumo di una pioggia nel deserto. Diversamente da molti profumieri loro non usano molecole sintetiche, ma solo ingredienti che provengono da piante raccolte in zona, e hanno una conoscenza approfondita dei vari paesaggi olfattivi del New Mexico. Perfino il Sarcobatus vermiculatus, spesso considerato infestante, un arbusto inutile di cui sbarazzarsi, è capace di sprigionare dalle sue foglie un aroma terroso e fresco tipico del Southwest. “Apre tutti gli stomi poco prima della pioggia”, spiega Rose. Queste “piccole bocche” sono i pori attraverso cui la pianta respira e quando comincia a piovere le foglie rilasciano un composto organico aromatico chiamato cresolo, che odora un po’ come il catrame di carbone e ha un profumo molto simile a quello di un deserto bagnato, in parte anche grazie alla combinazione con l’acqua piovana.
“Siamo alla ricerca ossessiva di come catturare esattamente l’esperienza di essere qui, camminare tra queste colline e annusare la resina di pino quando fa caldo o la corteccia di pino giallo che rende l’aria profumata di vaniglia”, dice Rose. Ma non basta estrarre gli oli dalla corteccia. È perfino difficile catturare l’essenza di un singolo albero sotto forma di profumo. E comunque non rifletterebbe l’esperienza di camminare sotto “questi giganti dalla corteccia color arancio. Non si coglierebbe il muschio di quercia, il suolo, la specificità del luogo”. È qui, spiega Rose, che entra in gioco “l’arte della profumeria”. Il profumo di pino giallo del marchio Drylands wilds contiene giunchiglia gialla, trifoglio dolce, pino del Colorado, muschio di quercia, abete e pino giallo. La sua formula imita il profumo del suolo locale, il risultato è un composto che profuma come un albero, certo, ma è anche pensato per riprodurre gli aromi di un momento specifico: un pomeriggio estivo asciutto sui sentieri dell’Atalaya. “Qualcuno ha pianto dopo averlo annusato. Una donna aveva vissuto per un anno su un albero di pino giallo, cercando di proteggere una foresta secolare e per lei è stato un colpo molto forte”, aggiunge Moore.
Per me questo profumo è quasi un’interpretazione artistica, la traduzione di un’esperienza capace di risuonare quanto una canzone o una poesia. “Non si tratta solo di creare qualcosa con un buon profumo”, dice Moore. “È più un tentativo di riconnettersi con questi luoghi. Di ispirare un senso di responsabilità”. Non è poco per qualche goccia di una confezione da 32 dollari (27 euro), ma forse un profumo può davvero ispirare un’azione. È anche quello che spera Nalls. E dopotutto, cambiare il mondo almeno un po’ con la propria opera non è l’obiettivo di ogni artista?
La profumeria è un’arte antica e redditizia. A quanto dice Stuart Firestein, un neuroscienziato della Columbia university che studia l’olfatto, la maggior parte dei finanziamenti per le ricerche in questo settore arriva dalle aziende di profumi. Sappiamo relativamente poco sulla fisiologia e sulla psicologia dell’olfatto se paragonato alla quantità di informazioni che abbiamo sulla vista.
Le cose stanno cominciando a cambiare ora che molti scienziati studiano il sistema olfattivo per comprendere meglio il cervello. È anche il motivo per cui Firestein ha scelto questo campo: “Per tanti anni abbiamo usato il senso della vista come paradigma per capire il funzionamento del cervello. E la retina ci ha detto molto sulle funzioni cerebrali. Ma ora l’apparato visivo è diventato meno interessante”, spiega. A differenza della luce, che in ultima analisi può essere descritta come una serie di variazioni di quella “dimensione unica”, come la chiama Firestein, che è la lunghezza d’onda, gli odori non possono essere scomposti in uno spettro preciso. Il sistema olfattivo è più complesso, ma forse più rappresentativo del modo in cui il cervello svolge le sue funzioni essenziali, dal recupero della memoria all’elaborazione delle emozioni.
L’olfatto dipende da moltissime variabili: può essere influenzato dalle nostre esperienze precedenti, dal contesto attuale, dal nostro stato emotivo o mentale. La stessa cosa può avere un odore “buono” o “disgustoso” a seconda della situazione. Il giudizio su un odore può essere influenzato dal contesto sonoro, dalla temperatura ambientale, da quello che stiamo mangiando o dai colori che vediamo. È un senso che oscilla e si modifica a volte in modi imprevedibili. Proprio come il cervello.
Perdere l’olfatto, sottolinea Majid, significa sperimentare un’alterazione della percezione che può avere un impatto emotivo e psicologico enorme. “L’olfatto umano è strettamente legato al benessere, al punto che perderlo ha una ricaduta pesante sulla qualità di vita e può avere una relazione con la depressione. È un senso che diamo per scontato, un po’ come respirare”, afferma.
Firestein concorda: “Di solito sottovalutiamo l’olfatto umano. Ma ci accorgiamo subito della sua importanza quando lo perdiamo. Chi lo ha perso, per esempio, magari si rende conto di essere dentro casa sua, tra gli oggetti che gli sono familiari ma spesso dice di ‘non sentirsi a casa’”.
Sono sempre stata consapevole degli odori della mia casa e del mio corpo, ma da quando mi sono trasferita nel New Mexico, il mio rapporto con gli odori all’aria aperta è cambiato. All’inizio identificavo i singoli aromi e ne ricercavo le fonti, tramite un’esplorazione capillare del paesaggio che mi ha permesso di avere una buona conoscenza della flora e della fauna del deserto. Quando ho cominciato a riconoscere i profumi più intensi – foglie di ginepro, pini gialli, fiori di cioccolato – ho cominciato a coglierne l’interazione, così come ora conosco a menadito il paesaggio olfattivo della mia stanza da letto.
Il senso più ancestrale
Adesso capisco perché i profumieri parlano di “note”. Qualsiasi arte emotivamente complessa, capace di essere evocativa, ha bisogno di più di una nota. Un paesaggio olfattivo non è solo un elenco di sostanze chimiche presenti in un luogo. È una mappa poetica del mondo, compilata dal nostro senso più ancestrale. I paesaggi olfattivi sono parte integrante del processo che fa sì che un luogo si impregni di significati. Diventando qualcosa di più di un posto fisico, perché e fatto di storia, tradizione, memoria ed emozioni.
Il massimo che possiamo chiedere a un profumo è che evochi le sensazioni di un luogo, che apra una porta nella memoria. Annusare un paesaggio e conoscere, in profondità, l’odore di un luogo. Sono queste le azioni che ci radicano nel mondo. E quando un posto fisico diventa un luogo, siamo più attrezzati per celebrarlo e proteggerlo.
Prima o poi lascerò questo paesaggio per tornare dalla mia famiglia a est, nella mia piccola casa nei boschi del Maine. Trascorrerò molte giornate al freddo del New England desiderando con ardore la luce e il calore del New Mexico. Avrò nostalgia di quel luogo, ma forse troverò conforto in una via di ritorno, tutta mentale, tracciata dal giusto profumo del deserto. Il profumo unico di un luogo capace di creare connessioni in un intero continente. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati