A Dar es Salaam, in Tanzania, io e il mio compagno di viaggio siamo saliti a bordo del Tazara, l’acronimo di Tanzania-Zambia railway autority e nome affettuoso del treno che collega la Tanzania e lo Zambia. È stato un salto indietro nel tempo, come quando gli spostamenti erano condizionati dai capricci degli dèi. Quando il treno arrivava nelle stazioni, quasi mai in orario, i controllori accompagnavano al loro posto i tanti passeggeri in attesa sul binario. Chi non era ancora salito poteva solo aspettare e chiedersi se sarebbe riuscito a partire.
Non esiste né un’app né un sito funzionante per tenersi aggiornati sulle peripezie di questo convoglio che ha mezzo secolo di storia. Ma se si fa un viaggio di questo tipo bisognerebbe informarsi prima e non fare come l’ingenuo viaggiatore che ha assegnato al Tazara una stella su Tripadvisor dopo aver perso il volo da Lusaka “a causa di gravi ritardi del treno”. Online ci sono decine di recensioni che confermano l’inaffidabilità del treno. Non è raro che si fermi anche per settantadue ore senza alcuna spiegazione per poi ripartire come se nulla fosse. Da un punto di vista romantico questi inconvenienti di viaggio potrebbero essere visti come parte integrante del fascino d’altri tempi del Tazara. La tratta a lunga percorrenza parte dalla città portuale di Dar es Salaam, sulla costa della Tanzania, e arriva fino alla stazione di New Kapiri Mposhi, a un paio d’ore da Lusaka, la capitale dello Zambia. Il Tazara è la manifestazione fisica del libero arbitrio, svincolato da qualsiasi orario e obbligo: fa ciò che vuole e lo fa al suo ritmo.
La guerra fredda
La storia del Tazara s’intreccia con le lotte per l’influenza durante la guerra fredda. Il progetto era stato voluto da Kenneth Kaunda, il leader che guidò lo Zambia all’indipendenza, e da Julius Nyerere, padre fondatore della Tanzania, che immaginavano un corridoio di trasporto che si estendesse dalla Copperbelt (la regione di estrazione del rame) fino ai porti dell’oceano Indiano, evitando di passare dalla Rhodesia e dal Sudafrica, che erano amministrati da regimi coloniali. Erano gli anni delle indipendenze africane, e l’autosufficienza economica era considerata fondamentale. I due leader si rivolsero a istituzioni internazionali come la Banca mondiale e le Nazioni Unite per chiedere sostegno, affermando che la ferrovia avrebbe favorito le attività agricole e le esportazioni dei due paesi.
Le potenze occidentali non videro un interesse economico nel progetto e non lo finanziarono. Fu Mao Zedong, presidente della Repubblica popolare cinese, a raccogliere la sfida. Nel 1967 i governi cinese, zambiano e tanzaniano firmarono a Pechino l’accordo per la realizzazione del Tazara. Era il più grande progetto di aiuti esteri mai intrapreso dalla Cina fino a quel momento: un prestito di 400 milioni di dollari senza interessi, equivalenti a 3,29 miliardi di dollari di oggi. All’epoca, nel pieno della rivoluzione culturale, la Cina aveva problemi interni: povertà e carenze alimentari. Tuttavia Mao vide nel Tazara un’opportunità per l’espansione degli affari cinesi oltre confine, in particolare in Africa. Questa mossa nasceva anche da un senso di solidarietà tra i paesi non occidentali che sfidavano l’imperialismo di Europa e Stati Uniti. “Zambia e Cina sono vecchi amici”è una frase che ho sentito più volte pronunciare sia dagli zambiani sia dai cinesi.
Oltre ai soldi, la Cina mise a disposizione competenze e mezzi. In preparazione di questo viaggio ho letto Africa’s freedom railway, di Jamie Monson, che descrive la storia e le implicazioni geopolitiche del progetto Tazara, considerato una delle più grandi opere di sviluppo nell’Africa postcoloniale. Le foto ritraggono interazioni culturali avvenute in un’epoca in cui le relazioni sino-africane e la competizione geopolitica con l’occidente non erano temi di discussione. La mia preferita ritrae un supervisore cinese che osserva un giovane tanzaniano mentre impara a saldare. In un’altra alcuni cinesi si rilassano dopo una giornata di lavoro mentre guardano una squadra giocare a basket.
I cinesi ebbero una particolare attenzione per i tanzaniani, in contrasto con l’approccio colonialista degli europei in Africa. Secondo alcune comunità del sud della Tanzania i cinesi erano disciplinati “come soldati”e rispettavano le regole che proibivano di bere alcolici o di uscire con le donne del posto. Molti frequentarono corsi di swahili, una lingua molto diffusa in Africa orientale.
La ferrovia è riuscita a portare nuova linfa vitale in aree remote di Zambia e Tanzania. Collega un villaggio rurale all’altro e serve da sentiero in zone dove la fitta giungla sarebbe altrimenti insormontabile. Le cisterne d’acqua presenti in ogni stazione sono apprezzate dalla popolazione locale che le usa per lavarsi o per fare rifornimento d’acqua.
Il fatto che il Tazara due volte alla settimana percorra 1.850 chilometri è straordinario. Inaugurato nel 1976 non è mai stato ammodernato. Durante il nostro viaggio il treno si è fermato spesso e più volte mi sono chiesto se stessi assistendo alle sue ultime ore di vita. Ci sono viaggiatori che lo prendono per pura curiosità. A Dar es Salaam, pochi giorni prima della mia partenza, l’autista di un bajaji, un mototaxi a tre ruote, si è entusiasmato quando gli ho detto che stavo per salire sul treno: “Era pulito e comodo. Ho mangiato e fatto la doccia. Ero in prima classe. Noi tanzaniani dobbiamo fare queste esperienze e non aspettare che arrivi uno straniero a raccontarcele”.
Non sapeva che la mia missione era proprio questa. Ma la maggior parte dei passeggeri prende il Tazara per necessità. Come Evans, uno studente universitario, che andava a trovare la famiglia: “Lo faccio due volte all’anno. Ma davvero gli americani leggeranno la storia di questo treno?”, mi ha chiesto stupito. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati