La linea ferroviaria ad alta velocità finanziata e costruita dalla Cina in Indonesia è alle prese con i debiti ed è diventata una “bomba a orologeria”. L’ha riferito lo scorso agosto al parlamento l’amministratore delegato dell’azienda ferroviaria statale. Sul progetto infrastrutturale, che ora sembra richiedere un salvataggio da parte del governo, l’agenzia nazionale anticorruzione sta svolgendo un’indagine. Se un tempo per spiegare cos’era andato storto gli osservatori avrebbero potuto invocare la “trappola del debito” – il rischio per un paese coinvolto nella Belt and road initiative (Bri), o nuova via della seta, di non riuscire a ripagare il debito con Pechino –, questo concetto oggi è sempre più discutibile.
La realtà di un piano ambizioso che non è stato all’altezza del clamore suscitato evidenzia alcuni limiti degli investimenti cinesi nel sudest asiatico. Un rapporto sulla Bri pubblicato nel 2024 dal Lowy institute di Sydney nota che la predilezione della Cina per megaprogetti infrastrutturali vulnerabili a problemi, ritardi e cambiamenti politici ha bloccato cinquanta miliardi di dollari in finanziamenti. Per un periodo sembrava che Pechino avesse imparato la lezione sui vantaggi di ridurre la portata dei progetti, promuovendo interventi con lo slogan “piccolo ma bello”. Ora però gli investimenti nel quadro della Bri sono aumentati di nuovo e il caso della linea ad alta velocità in Indonesia ne mostra tutti i rischi.
Il piano da 7,2 miliardi di dollari, chiamato Whoosh, era stato lanciato nel 2015, quando il governo indonesiano aveva annunciato che la Cina avrebbe costruito un collegamento ferroviario ad alta velocità tra la capitale Jakarta e la vicina città di Bandung, includendo poi gradualmente altre città. Pechino si era aggiudicata l’appalto battendo il Giappone, e la linea ad alta velocità era diventata uno dei tanti investimenti cinesi in Indonesia.
Fin dal suo avvio, però, gli esperti hanno messo in discussione la sostenibilità del progetto. Si sono accumulati ritardi e i costi sono saliti del 20 per cento circa rispetto alle stime iniziali. La Kcic, l’azienda che gestisce la linea, genera ancora ricavi sufficienti a coprire i costi, ma gli interessi, le perdite di valuta estera e la svalutazione l’hanno mandata in bancarotta. La Banca cinese di sviluppo ha concesso prestiti con un tasso d’interesse del 2 per cento sul capitale e del 3,4 per cento sui costi aggiuntivi; il 60 per cento a carico di un consorzio di aziende statali indonesiane e il 40 per cento a carico di un consorzio di aziende di stato cinesi. Difficile definirla una “trappola del debito”, ma la Kcic è comunque in difficoltà.
Il problema principale riguarda il numero di passeggeri: le entrate provenienti dai biglietti sono infatti molto lontane dall’obiettivo. Da gennaio a ottobre di quest’anno i treni hanno trasportato più di 5,1 milioni di passeggeri, ma gli studi iniziali ne prevedevano molti di più.
È evidente la necessità di un salvataggio finanziario. Il punto è stabilire chi dovrà pagare. Il ministro degli investimenti indonesiano Rosan Roeslani ha detto di voler premere sui finanziatori cinesi perché accettino di ridurre il debito estendendo i termini di rimborso, tagliando i tassi d’interesse e forse convertendo in yuan il prestito contratto in dollari, ma non c’è ancora niente di confermato.
Una lezione per il futuro
La questione ha acceso un dibattito più ampio in Indonesia: il progetto è mai stato pensato per generare profitti? Joko Widodo, presidente ai tempi dell’avvio di Whoosh, aveva dichiarato che trattandosi di un servizio pubblico il profitto non era una priorità. Il disastro, segnato da eccessivo ottimismo, confusione politica responsabilità scaricate su altri, non può essere attribuito solo a Pechino. Come ha scritto Muhammad Zulfikar Rakhmat su Asia Times, “la Cina ha pagato l’acciaio e fornito i treni, ma l’Indonesia ha definito l’accordo, gestito il progetto e ora ne subisce le conseguenze”. Naturalmente anche le aziende cinesi hanno la loro parte di responsabilità per aver sostenuto un piano i cui rischi erano ben noti. Con la nuova ondata di investimenti cinesi in arrivo, resta da vedere se si ripeteranno gli stessi errori. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati