È un tranquillo villaggio nel centro storico di Roma, tra piazza Navona e il Pantheon. E come in ogni villaggio che si rispetti, al centro c’è una chiesa. La facciata di San Luigi dei francesi sottolinea il legame con la Francia, dalle statue di due re (Carlo Magno e Luigi IX) e due regine (Clotilde e Giovanna di Valois), fino ai motivi a forma di salamandra, simbolo di Francesco I. E per fugare gli ultimi dubbi, l’edificio vicino, che ospita la libreria Stendhal e il centro culturale Saint-Louis, è decorato con una bandiera blu-bianco-rossa.

Dall’inizio della pandemia questo piccolo angolo di Francia, di solito pieno di turisti, è immerso in un torpore ovattato. Solo la domenica a mezzogiorno, all’uscita dalla messa, si fanno due chiacchiere tra fedeli o con i sacerdoti della comunità di San Luigi. In questi ultimi mesi c’è un argomento che torna nelle conversazioni: l’opaca gestione dei Pii stabilimenti della Francia a Roma, la struttura che amministra il patrimonio della chiesa francese a Roma. Tutto è cominciato alla fine del 2019. I genitori degli studenti che fanno catechismo allo Chateaubriand (la scuola francese nel centro di Roma) vengono a sapere dal rettore di San Luigi dei francesi, monsignor Bousquet, che l’apprezzata responsabile del catechismo (“madame B.”) avrebbe lasciato il suo incarico perché non aveva accettato “di lavorare dal 1 gennaio 2020 con un contratto italiano”.

La manifestazione

Alcuni hanno cominciato a fare domande e la vicenda è diventata di dominio pubblico: dall’autunno 2018 madame B. aveva chiesto invano che le fossero pagati i quindici anni di contributi pensionistici dovuti, e quindi aveva rifiutato di firmare un contratto secondo le leggi italiane, che avrebbe ridotto del 30 per cento il suo stipendio. Temendo di essere licenziata, si era rivolta al tribunale del lavoro di Tarbes, la città dove aveva firmato il contratto precedente. Madame B. aveva problemi di salute e senza la copertura previdenziale si sarebbe trovata in una situazione molto difficile. Così il 10 gennaio 2020 un comitato di sostegno che conta oggi 130 persone ha organizzato una manifestazione davanti all’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. La direzione dei Pii stabilimenti ha sospeso i suoi progetti, ma la questione rimane aperta. Madame B. chiede che prima di cominciare a discutere le siano pagati i contributi arretrati. I datori di lavoro assicurano di “averle fatto delle proposte”. Nel frattempo il 14 gennaio 2021 il tribunale del lavoro francese si è dichiarato incompetente, ma madame B. ha fatto ricorso in appello. La decisione è attesa per giugno.

Non sono di nessuno

“È stata ingannata. In fin dei conti si tratta solo di qualche decina di migliaia di euro, e i Pii hanno milioni di euro sui loro conti. Per quale motivo s’intestardiscono così?”, osserva Gaël de Guichen, che ha fatto parte della Congregazione generale dei Pii stabilimenti (l’organo collettivo che approva i bilanci) dal 1993 al 2017, e che ha preso posizione in favore di madame B. Né Michel Kubler, dal 2019 amministratore dei Pii (ed ex giornalista del quotidiano cattolico La Croix), che ha riconosciuto che il contratto di madame B. non era regolare, né l’ambasciatrice francese presso la Santa Sede Élisabeth Beton-Delègue, arrivata nell’estate del 2019, hanno risolto la questione.

Nel frattempo si è scoperto che la vicenda dello Chateaubriand non era un caso isolato. Nei primi anni duemila Bénédicte Lacombe-Héring si era occupata dell’amministrazione del catechismo: “Ho cominciato il 1 settembre 2001 e ho firmato il mio contratto solo nel maggio 2003. Inoltre quando sono rientrata in Francia, nell’estate del 2004, mi sono resa conto che non avevo diritto al sussidio di disoccupazione e che i miei contributi pensionistici non erano stati pagati. Ho scritto e non mi hanno mai risposto. Ho finito per lasciar perdere”.

Altro argomento di discussione: fino a pochi mesi fa le indennità dei sacerdoti della comunità di San Luigi erano pagate in contanti.

Si è scoperto che la vicenda dello Chateaubriand non era un caso isolato

Con l’accumularsi di queste rivelazioni, hanno cominciato a farsi sentire anche le voci dello “schieramento” opposto. Così, coperto dall’anonimato, un prelato ha dichiarato senza mezzi termini: “Non vorranno lasciare i Pii nudi come un verme?”, irritato per una domanda un po’ indiscreta. E un diplomatico ha spiegato con tono deciso: “Queste persone vogliono la pelle dei Pii”. Ma perché i Pii stabilimenti scatenano tutte queste discussioni? Per rispondere bisogna fare una piccola divagazione storica.

Alla fine del medioevo Roma era una piccola città e la sua principale attività economica era l’accoglienza dei pellegrini, che si raggruppavano per origini geografiche intorno alle chiese “nazionali. Queste ospitavano, curavano e nutrivano i nuovi arrivati e talvolta si occupavano di seppellirli. Di fatto entrare a far parte di una chiesa significava evitare di finire nella fossa comune e assicurarsi un posto al cimitero.

Nel corso del tempo e grazie alle donazioni di ricchi fedeli, queste chiese si assicurarono un consistente patrimonio immobiliare, che nel settecento passò sotto la tutela dei re di Francia. Con la rivoluzione francese questi beni rischiavano di finire allo stato, così su richiesta del papa furono riuniti negli “stabilimenti della Francia” e affidati nel 1793 al cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis.

Oggi rappresentano un importante patrimonio nel centro di Roma: cinque luoghi di culto (San Luigi dei francesi, Sant’Ivo dei bretoni, Santi Claudio e Andrea dei borgognoni, San Nicola dei lorenesi e il complesso di Trinità dei Monti), e tredici edifici. Un totale di 180 immobili in affitto tra uffici, negozi e appartamenti. Tra questi c’è anche l’alloggio del corrispondente di Le Monde a Roma. Il valore complessivo di questi beni sarebbe 250 milioni di euro.

Il funzionamento dei Pii stabilimenti è definito da un regolamento del 1956: a capo c’è l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, assistito da una congregazione che riunisce “dodici personalità francesi residenti a Roma”, sei religiosi e sei laici. Per l’ordinaria amministrazione i Pii sono diretti da un amministratore e un tesoriere.

I contropoteri sono inesistenti. Ed è quello che denuncia l’ex vicesegretario generale della Conferenza dei vescovi di Francia, Olivier Lebel, che si è dimesso dall’incarico nella primavera del 2020, mettendo in evidenza l’atteggiamento della direzione nella vicenda di madame B.: “La congregazione può solo approvare il bilancio e nessuno può contestare nulla. Di conseguenza i Pii stabilimenti sono in balia degli errori umani e di problemi personali. Non ci sono modi per controllare le assegnazioni degli alloggi e i vari beneficiari”. Di fronte al numero crescente di critiche, l’ambasciata di Francia e l’amministratore dei Pii hanno annunciato all’inizio del 2021 la nomina di una commissione dei conti, che avrebbe già cominciato i suoi lavori.

Il problema è ancora più delicato visto che i Pii stabilimenti hanno uno status giuridico molto vago, che finisce per rafforzare la loro autonomia. “Sono proprietà francesi ma non si tratta di beni appartenenti alla Francia”, spiega Kluber. Un giorno un ex ambasciatore francese presso la Santa Sede ha affermato ironicamente: “I Pii non appartengono né al diritto francese, né a quello italiano né al diritto vaticano, forse al diritto divino, ma anche questo non è sicuro”.

Dalla fine dello stato pontificio, nel 1870, diverse fondazioni che appartenevano alle chiese nazionali (Spagna, Portogallo e Germania hanno strutture simili ai Pii) godono di una sorta di extraterritorialità fiscale che non è mai stata messa in discussione. Sui circa cinque milioni di euro prodotti ogni anno da questo patrimonio (sulla base dei bilanci che Le Monde ha potuto consultare) e nonostante la natura commerciale delle loro attività, i Pii sono esenti da imposte e tasse immobiliari, un privilegio garantito da accordi tra Francia e Italia.

Per giustificare questa situazione i Pii sottolineano le loro iniziative. Dopo un periodo di difficoltà economica negli anni ottanta, hanno risanato i conti e hanno avviato importanti lavori di ristrutturazione (talvolta finanziati insieme al ministero della cultura francese), in particolare a Trinità dei Monti. Ma di fatto la loro vocazione iniziale, l’accoglienza dei pellegrini, ha perso molta importanza e oggi per questo compito sono stanziati ventimila euro all’anno.

La missione dei Pii, mal definita fin dalle origini, è al centro di profonde divergenze. Si tratta di una semplice struttura commerciale che ha come scopo fondamentale mantenere le chiese francesi di Roma, come sostiene la loro amministrazione? Di uno strumento d’influenza della Francia a Roma, come vorrebbero i diplomatici? Oppure di una società di mutuo soccorso che deve conformarsi alla dottrina sociale di papa Francesco, come dice chi critica l’attuale direzione?

Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro dei Pii stabilimenti. Lo storico François-Charles Uginet, ex componente della congregazione e amministratore delegato dei Pii dal 2006 al 2009, ha una teoria interessante: “Alla fine dell’ottocento si è cominciato a usare l’espressione ‘pii stabilimenti’, traducendo in modo approssimativo l’espressione ‘opere pie’. Se si fosse voluto tradurre in modo più preciso, forse la storia sarebbe stata diversa”.

Inserire la moneta

Oggi le “opere caritatevoli” dei Pii ammontano a centomila euro, una somma molto bassa rispetto a quanto incassano. E l’annuncio all’inizio del 2021 di due donazioni da centomila euro alle associazioni umanitarie Caritas e Sant’Egidio, invece di dissipare le critiche ha attirato l’attenzione sui fondi a disposizione dell’istituto (16 milioni di euro).

Le centinaia di migliaia di turisti che entrano ogni anno nella chiesa di San Luigi dei francesi vengono soprattutto per una cosa: ammirare il trittico del Caravaggio presente da quattro secoli nella cappella Contarelli. Il quadro più noto di questo ciclo, la Vocazione di San Matteo, fa riferimento a un versetto del vangelo (Matteo 9, 9): “Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli si alzò e lo seguì”. Tanto i laici quanto i religiosi possono ammirare liberamente questo appello di rinuncia ai beni materiali. A condizione però d’inserire una moneta da un euro nel contatore per accendere la luce. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati