Il rapporto pubblicato all’inizio di agosto dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) somiglia a un “codice rosso per l’umanità”. In un momento cruciale come questo, dovremmo fare tutto il possibile per combattere il riscaldamento globale.

Circa un quarto delle emissioni di gas serra è legato alla fabbricazione di prodotti di uso comune. Anche se l’anidride carbonica ha un suo valore commerciale (è usata nella produzione di certi prodotti chimici), la domanda è insufficiente a ridurla in maniera significativa. Bisognerebbe quindi convertire la produzione industriale, trasformandola da fonte a utilizzatrice di anidride carbonica. La buona notizia è che plastiche, sostanze chimiche, cosmetici e altro hanno tutti bisogno di una fonte di carbonio. Se per produrli usassimo l’anidride carbonica invece degli idrocarburi potremmo potenzialmente rimuovere miliardi di tonnellate di gas serra all’anno.

chiara dattola

Forse avrete sentito parlare dei microrganismi usati per produrre birra e pane, ma anche biocarburanti come l’etanolo. Per attivarsi hanno bisogno di zuccheri, ma certi batteri, chiamati “acetogeni”, sono capaci di usare l’anidride carbonica per produrre varie sostanze chimiche, tra cui l’etanolo. Si pensa che gli acetogeni siano una delle prime forme di vita sulla Terra. In passato l’atmosfera era molto diversa da quella odierna, in quanto priva di ossigeno e ricca di anidride carbonica. Gli acetogeni la riciclavano usando fonti d’energia chimiche, come l’idrogeno, grazie al processo della fermentazione dei gas. Oggi sono presenti in vari ambienti anaerobici, tra cui l’intestino di certi animali.

Non potendo usare l’ossigeno, gli acetogeni sono meno efficienti nella riproduzione e crescono lentamente, ma sono molto più efficienti come produttori. Per esempio, l’efficienza energetica di una coltura agricola (in cui la luce del sole viene trasformata in prodotto) è intorno all’1 per cento; se l’energia solare fosse usata per fornire idrogeno rinnovabile da impiegare nella fermentazione con batteri acetogeni, l’efficienza energetica salirebbe al 10-15 per cento. Potenzialmente, quindi, gli acetogeni hanno un’efficienza doppia rispetto alla maggior parte dei processi industriali attuali, e costituiscono pertanto un’alternativa più economica ed ecologica. Ma bisogna potenziare la tecnologia.

In Cina, Stati Uniti ed Europa la fermentazione dei gas si sta diffondendo su scala commerciale. Certe emissioni industriali contenenti monossido di carbonio e idrogeno sono trasformate in etanolo, che dal 2022 servirà a produrre carburante per aerei e dal 2024 bottiglie di plastica. Al momento, però, il processo industriale non impiega l’anidride carbonica, una fonte di emissioni ben più significativa del monossido di carbonio, in parte a causa di limiti tecnologici, ma soprattutto perché poco economico.

Tuttavia, in un recente studio di fattibilità tecnico-economica abbiamo scoperto che gli ostacoli al riciclo dell’anidride carbonica esistono per alcuni prodotti, ma non per tutti. Per esempio, oggi con la fermentazione con batteri acetogeni è possibile ottenere le sostanze chimiche che servono a produrre il plexiglas. Ma per aumentare l’applicabilità del processo bisognerebbe incentivare la produzione dell’idrogeno rinnovabile (verde).

Anche certi rifiuti rinnovabili si prestano al riciclo dell’anidride carbonica con gli acetogeni. Negli impianti di trattamento delle acque reflue e nelle discariche si generano grandi quantità di biogas, che viene solitamente bruciato in modo controllato o usato per produrre calore ed energia elettrica. In alternativa, il biogas può essere convertito in idrogeno e anidride carbonica rinnovabili, e il nostro studio evidenzia che questi possono a loro volta essere usati nella fermentazione dei gas per fabbricare prodotti a impatto zero.

Secondo il rapporto dell’Ipcc, per contenere il riscaldamento globale entro due gradi bisogna ridurre l’anidride carbonica. La sua cattura e stoccaggio figura tra le priorità di molti governi. Tuttavia, l’anidride carbonica stoccata sottoterra non ha valore economico. Al contrario, la nostra analisi suggerisce che sia economicamente vantaggioso usarla come materia prima per certe produzioni. Sfruttando le sue potenzialità invece di considerarla un prodotto di scarto, aiuteremmo il settore industriale a compiere la transizione verso una produzione sostenibile. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati