Nairobi è una città di opposti. Da una parte ci sono i trafficoni, i venditori ambulanti e le masse di poveri che tirano avanti in insediamenti cresciuti in modo casuale come Kibera, lo slum più grande dell’Africa. Dall’altra, in comunità separate, si trovano alcune tra le residenze più costose dell’intera regione. È un luogo disordinato, fatto di strade in cui sgomitano i matatu, _minibus privati decorati con colori vivaci, e i moto-taxi _boda boda. Negli ultimi anni però Nairobi è diventata anche un importante snodo per l’arte contemporanea.

Certo, non è ancora ai livelli di città come Lagos o Città del Capo, afflitta com’è da una serie di problemi che vanno dal numero insufficiente di gallerie, scuole e spazi in cui creare ed esporre opere d’arte alla mancanza di sostegno da parte del governo. Ma la sua comunità è florida e si stanno affermando alcune realtà importanti come la Circle art gallery, la più attiva a livello internazionale, il GoDown arts center, il Kuona trust e la One-off contemporary art gallery.

Lo studio di Michael Soi a Nairobi (Khad​ija Farah (The New York Times/Contrasto))

In termini di mercato, la Circle art gallery ha fatto da apripista. Dal 2013 ospita l’asta annuale East Africa art, che attira compratori da tutta la regione. Nel 2019 l’asta si è tenuta in un prestigioso albergo della città e ha accolto una folla di persone entusiaste e facoltose. Nel 2020, a causa della pandemia, si è svolta online. Il 90 per cento delle opere disponibili è stato venduto, per un valore complessivo di 128.182 dollari. L’opera più costosa, un dipinto dell’ugandese Geoffrey Mukasa (morto nel 2009), è stata venduta per 9.600 dollari. La Circle art gallery ha inoltre esposto opere di artisti della regione alla Fnb art Joburg, una delle più importanti fiere d’arte contemporanea del continente, alla 1-54 contemporary African art fair e alla Somerset house di Londra e, alla fine di marzo, ha partecipato alla fiera Art Dubai.

Una città speciale

Mentre alcuni artisti keniani come Wangechi Mutu hanno trovato un pubblico globale trasferendosi all’estero, altri vivono e lavorano a Nairobi, e continuano a essere ispirati dall’energia speciale sprigionata da questa città.

Tra questi ci sono il pittore Boniface Maina, che nelle sue opere surrealiste gioca con l’astrattismo, e Michael Soi, uno dei più famosi artisti keniani.

distico di Lincoln Mwangi; (Gravitart gallery Nairobi)

Soi è stimato universalmente per le sue tele, spesso satiriche, in cui affronta questioni politiche e di attualità. Come i rapporti del Kenya con la Cina, al centro di China loves Africa (2012-2013): una serie coloratissima in cui l’artista critica il rapporto inquietante, complesso e che in alcuni casi si può definire neocoloniale, che il gigante asiatico intrattiene con molti paesi africani. Senza dubbio Nairobi e la sua vita quotidiana sono per Soi di grande ispirazione.

C’è anche una nuova generazione di talenti locali che cerca ispirazione nel caos e nelle contraddizioni della capitale keniana. “Non posso tirarmi fuori dalla città. Sono nato qui”, dice Lincoln Mwangi, 24 anni. Durante una telefonata spazia da Vermeer al _waterboarding _della Cia, alla sua ossessione per le capre keniane, un soggetto che torna nelle sue opere come una sorta di ubiqua immagine “archetipica” della vita in Kenya. Lo fa perché, racconta, vuole ritrarre la realtà di un paese in cui il 72 per cento della popolazione vive ancora nelle aree rurali. Mwangi ha studiato disegno e pittura al Buruburu institute of fine arts di Nairobi e fa parte del BrushTu art studios, un collettivo di artisti contemporanei fondato nel 2013, che offre agli artisti spazi per lavorare e facilita le loro collaborazioni. Con il suo lavoro Mwangi esplora i temi dell’identità, della paura e dell’appartenenza in una città in continua trasformazione.

La confusione della città lo ispira. A Nairobi trova bellezza e “speranza”, anche se con l’espansione urbana crescono la popolazione, il traffico e l’incessante fracasso dei cantieri in sottofondo. Lui però vuole anche “smorzare il caos”.

Il suo lavoro si presenta in forme figurative e ritratti di soggetti con tessuti e veli bagnati in testa. Definisce queste figure “avatar” e “ombre” della vita keniana, una lente attraverso cui cogliere il mondo interiore degli abitanti di Nairobi.

Encounter di Eltayeb Dawelbait. (Gravitart gallery Nairobi)

Con l’uso dei tessuti e dei veli vuole indirizzare l’attenzione del pubblico verso i personaggi e le storie piuttosto che verso le identità. Considerato quanto può essere turbolenta Nairobi, con la sua opera Mwangi cerca di evocare una sorta di quiete visiva che possa indurre alla meditazione e alla riflessione.

Arazzo multiculturale

Gli artisti sono ispirati anche dall’arazzo multiculturale che fa da sfondo alla città, come sottolinea Verónica Paradinas Duro, curatrice spagnola e proprietaria della galleria online GravitArt, che organizza anche mostre temporanee ed espone l’opera di Mwangi in una personale dal titolo A painted book of life, time and feelings. A suo parere, ciò che rende Nairobi così magnetica è il fatto che è “una delle città più cosmopolite e multiculturali dell’Africa orientale”. Attira artisti dal Sudan, dall’Etiopia e dall’Uganda. In un regione dominata da governi autoritari, il Kenya è relativamente più aperto rispetto ai paesi confinanti e offre agli artisti lo spazio e la libertà di cui hanno bisogno.

Dal suo studio nel quartiere di Westlands, il sudanese Eltayeb Dawelbait si è ritagliato uno spazio tutto suo nella scena artistica di Nairobi. In Sudan non c’era posto per la creatività né per realizzare ed esporre opere. Trasferendosi in Kenya, lontano dal regime dell’ex dittatore Omar al Bashir, ha potuto sviluppare la sua arte all’interno di una comunità più ampia. Dawelbait si distingue per l’uso creativo di materiali di recupero. Passa intere giornate a scandagliare la città a caccia di oggetti di ogni tipo per le sue opere, come Encounter (2019), in cui ritrae un uomo e una donna dipinti su delle porte di legno trovate per strada.

L’opera di Dawelbait s’ispira alla sua infanzia sudanese. Suo padre era un navigatore: l’astronomia, il deserto e il cielo del Sudan hanno avuto un impatto duraturo sul suo immaginario. Negli ultimi anni però l’artista si è concentrato di più sui ritratti delle persone che incontra nella vita di tutti i giorni e sulla resurrezione degli oggetti che trova nelle strade. Concepisce la sua opera come uno svelamento degli strati nascosti della città, un modo per reimmaginarne la storia.

Secondo Azza Satti, direttrice creativa somalo-sudanese della Statement films, una casa di produzione cinematografica con sede a Nairobi che sostiene le registe africane, Nairobi è diventata ormai una “meta culturale”, con un mondo artistico in pieno fermento creativo.

Naturalmente ha bisogno di cura e investimenti se vuole veder fiorire ancora di più la sua scena, dove artisti di ogni genere stanno trovando nuove opportunità, nonostante le difficoltà che devono affrontare. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati