Dire che la parola di una donna non è bastata a far calare la scure della legge su Harvey Weinstein è esatto ma incompleto. La verità è più sgradevole. Nella primavera del 2015 il produttore di Hollywood riconobbe di aver messo le mani addosso a una donna senza il suo consenso, ma per la procura non fu abbastanza per mandarlo a processo.
Ambra Battilana Gutierrez aveva ventidue anni quando riferì alla polizia di New York che durante un incontro di lavoro Weinstein le aveva palpato un seno e infilato una mano sotto la gonna. Mentre Gutierrez era con gli investigatori, Weinstein le telefonò e gli agenti lo sentirono ammettere di averle toccato il seno. Gutierrez era sconvolta, ma accettò comunque la proposta degli investigatori di incontrare Weinstein il giorno dopo con un registratore addosso. Si videro nella hall dell’hotel Tribeca Grand, a Manhattan. Il produttore chiese alla donna di salire nella sua stanza mentre lui si faceva una doccia. Disse che voleva farsi guardare. Gutierrez ripeté più volte che voleva andarsene, poi pretese di sapere perché l’aveva molestata. Weinstein replicò: “Oh, ti prego, mi dispiace, vieni dentro e basta… Ci sono abituato”.
Era anche abituato a quello che gli successe dopo essere stato interrogato dalla polizia: niente. Weinstein mise insieme una squadra di avvocati con un’ottima rete di contatti, dall’ex sindaco di New York Rudi Giuliani all’ex responsabile dell’unità sui reati sessuali della procura di Manhattan, Linda Fairstein. I giornali gettarono ombre sulla reputazione di Gutierrez. Il New York Post scrisse che Weinstein era “un uomo sposato, padre di cinque figli” e citò una fonte anonima che liquidava la vicenda definendola un tentativo di estorsione.
Gli investigatori in seguito dissero che durante le indagini i procuratori dell’ufficio distrettuale di Manhattan, guidato da Cyrus Vance, avevano torchiato Gutierrez per sapere se era una lavoratrice del sesso. Poco dopo l’apertura delle indagini la procura annunciò che non avrebbe incriminato Weinstein.
Senza nessuno a cui rivolgersi, Gutierrez decise che la soluzione meno svantaggiosa fosse accettare un accordo economico con Weinstein in cui si impegnava a non parlare più delle molestie. All’epoca non poteva sapere quante altre donne avevano dovuto affrontare la stessa scelta. Due anni dopo, nel 2017, Gutierrez si decise a violare l’accordo di non divulgazione e fece ascoltare la registrazione di Weinstein a Ronan Farrow del New Yorker: “Spero che le altre ragazze abbiano giustizia”, disse al giornalista. Il suo racconto, insieme a quelli di decine di altre donne pubblicati dal New Yorker, dal New York Times e da altri giornali, riuscì finalmente a svegliare le forze dell’ordine.
Prove ignorate
A oggi almeno cento donne si sono fatte avanti accusando Weinstein di aggressione o molestie sessuali; più di dodici hanno presentato una denuncia alla polizia di New York. E a gennaio lo stesso procuratore distrettuale che nel 2015 si rifiutò di dare seguito alle accuse di Gutierrez, lo ha finalmente incriminato. Weinstein dovrà rispondere di cinque imputazioni per stupro e aggressione sessuale nei confronti di due donne: l’ex assistente di produzione Mimi Haleyi e un’altra donna (di cui non è stata resa nota l’identità) che sostiene di essere stata violentata in una stanza d’albergo di Manhattan nel 2013.
Durante il processo, che è cominciato il 6 gennaio, molte altre donne testimonieranno sui comportamenti di Weinstein. I pubblici ministeri sperano che le deposizioni aiutino a creare un quadro d’insieme più difficile da smantellare rispetto al racconto di una singola accusatrice. In questo senso, il processo sarà un altro banco di prova per il movimento #MeToo, che prende il nome dall’hashtag con cui in tutto il mondo vittime di abusi sessuali hanno condiviso sui social network le loro storie. “Le testimonianze di questo tipo sono efficaci”, sostiene Douglas Wigdor, avvocato di una donna che al processo testimonierà di essere stata aggredita sessualmente da Weinstein nel 2005. “Tolgono mordente a qualunque sforzo della difesa”.
L’ufficio di Cyrus Vance, che rappresenta l’accusa nel processo, ha alle spalle una lunga serie di casi di abusi sessuali ignorati o gestiti male
È la stessa strategia che ha funzionato contro l’attore Bill Cosby. Nel giugno del 2017, quando era sotto processo per la presunta aggressione ad Andrea Constand, solo a un’altra accusatrice fu consentito di testimoniare. Alla fine i giurati non raggiunsero un verdetto unanime e il processo fu annullato. Un anno dopo cinque donne testimoniarono contro Cosby, e quella volta il processo si concluse con una condanna. Nel frattempo l’opinione pubblica aveva anche capito meglio perché una persona che è stata aggredita sessualmente potrebbe non denunciare immediatamente l’assalitore e perfino continuare ad avere contatti amichevoli con lui. La testimonianza che gli avvocati di Weinstein temono di più è quella di Annabella Sciorra, che ha accusato il produttore di averla stuprata all’inizio degli anni novanta e di aver poi tentato di distruggere la sua carriera. L’accusa spera che il racconto di Sciorra convinca la giuria che Weinstein era un aggressore sessuale seriale, il capo d’imputazione più grave in base alla legge sulle aggressioni sessuali nello stato di New York, la quale prevede una pena di detenzione tra i dieci anni e l’ergastolo. Gli avvocati di Weinstein si sono opposti con forza alla sua testimonianza, finora senza successo.
Questo è lo scenario migliore per le accusatrici di Weinstein, ma l’esito del processo non è affatto scontato. L’ufficio di Cyrus Vance, che rappresenta l’accusa nel processo, ha alle spalle una lunga serie di casi di abusi sessuali che coinvolgevano uomini potenti e sono stati insabbiati, ignorati o gestiti male, e questi precedenti saranno il sottotesto del processo. Joan Illuzzi-Orbon, l’assistente del procuratore che oggi si occupa del caso Weinstein, ha seguito le indagini e il successivo ritiro di tutte le imputazioni a carico dell’ex direttore del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, che era stato accusato di aver aggredito sessualmente Nafissatou Diallo, una cameriera dell’albergo Sofitel. Nonostante le prove, le accuse furono ritirate, anche a causa di incongruenze nella richiesta di asilo della donna, come ha scritto il New York Times.
I procuratori hanno già ritirato le accuse avanzate da Lucia Evans, una dirigente di marketing che sostiene di essere stata aggredita sessualmente da Weinstein nel 2004. La sua vicenda è significativa: quando degli uomini che dicevano di essere della polizia si presentarono a casa sua, alla fine del 2017, non sapeva se poteva fidarsi. “È così difficile fidarsi di qualcuno, specialmente dopo aver vissuto quello che abbiamo vissuto tutte noi”, afferma oggi Evans. Weinstein pagava degli investigatori privati per sorvegliare le case delle sue accusatrici e assoldava ex spie che si spacciavano per giornalisti e femministe. Magari, pensò Evans, aveva pagato quelle persone perché si spacciassero per poliziotti. Dopo aver dimostrato di essere veramente chi dicevano di essere, racconta la donna, “dissero che ero l’unica che poteva mandarlo in galera”. Passò un anno a parlare con detective e procuratori, e Weinstein fu accusato di aggressione.
Ma nell’ottobre 2018 Evans è venuta a sapere che i procuratori volevano ritirare le accuse perché un testimone aveva dato a un investigatore della polizia di New York informazioni in parte “contrastanti” con le sue. Il testimone, che inizialmente aveva confermato la storia di Evans al New Yorker, aveva detto che forse l’incontro poteva essere stato consensuale. Quando il suo caso è stato archiviato, lei si è sentita abbandonata: “Confermava i miei peggiori timori sul sistema giudiziario”. In seguito Evans mi ha scritto un’email dicendo che nonostante tutto non si pente di aver collaborato con le autorità. “Se le vittime non si fanno avanti per denunciare”, mi ha scritto, “non c’è speranza di fare giustizia o che si verifichino cambiamenti positivi sistematici”.
Colpa delle donne
Nell’agosto del 2018 gli avvocati di Weinstein hanno chiesto ai giudici di rigettare la causa penale, sostenendo che il loro cliente aveva “una relazione intima consensuale e di lunga data” con una delle donne che lo accusavano, quella di cui non è stata rivelata l’identità. Le email che si erano scambiati, scrivevano gli avvocati, sono “molto diverse dalle comunicazioni che ci si potrebbe aspettare tra una vera vittima di stupro e il suo presunto stupratore”. Quanto all’altra accusatrice, Haleyi, non poteva essere stata aggredita perché sette mesi dopo aveva mandato al produttore un messaggio per organizzare un incontro.
I procuratori di Los Angeles hanno incriminato Weinstein all’inizio di gennaio. Nel frattempo le cause civili contro di lui si sono moltiplicate
A dicembre del 2019, durante un’intervista alla rete Abc, l’avvocata che difende Weinstein, Donna Rotunno, si è spinta oltre. Quando l’intervistatrice ha detto che capita spesso che le donne aggredite continuino a comunicare “per normalizzare qualcosa di traumatico”, Rotunno ha risposto: “Ci sono medici che lo sostengono. Ma screditeremo questa tesi: non è dimostrata da nessuna ricerca”. Poi ha continuato: “Se non vuoi essere una vittima, non andare nella stanza d’albergo”. La strategia dei legali di Weinstein, a quanto sembra, consiste nel sostenere non solo che il sesso sia stato consensuale, ma che le accusatrici stiano violando il patto che avrebbero accettato: il loro corpo in cambio di un lavoro. “Quando noi donne non vogliamo accettare certe responsabilità per le nostre azioni”, ha detto Rotunno all’Abc, “ci comportiamo da bambine”.
Weinstein si è presentato in tribunale appoggiandosi a un bastone e poi a un deambulatore (in seguito è stato fotografato in un negozio di Westchester mentre camminava senza nessun appoggio). A dicembre, ricoverato in ospedale per un intervento alla schiena, ha detto al New York Post che nessuno apprezzava tutto quello che aveva fatto per le donne.
Progetto criminale
Anche se dovesse essere assolto a New York, non è detto che Weinstein resti a piede libero. I procuratori di Los Angeles lo hanno incriminato all’inizio di gennaio. Nel frattempo le cause civili contro il produttore si sono moltiplicate. La più controversa è quella avviata dall’avvocata Elizabeth Fegan contro la Weinstein Company, l’azienda fondata dal produttore che ha dichiarato bancarotta nel 2018 e che alla fine del 2019 ha raggiunto un accordo provvisorio con decine di vittime di Weinstein. Wigdor, il legale che rappresenta molte delle donne che accusano il produttore, lo ha definito “uno dei peggiori accordi che abbia mai visto”. In parte è un problema strutturale: le leggi in materia di bancarotta sono pensate per proteggere il consiglio di amministrazione e i creditori privilegiati; non, come in questo caso, decine di donne pronte a giurare che quell’azienda era un’organizzazione per il commercio sessuale.
Una volta spolpata, all’azienda restano 18,5 milioni di dollari, dice Fegan. “Siamo consapevoli che non sono abbastanza”, aggiunge. “Per quello che Harvey ha fatto, non esiste una somma che possa veramente risarcire queste donne”. L’avvocata si difende dall’accusa di intascare fino al 25 per cento di quella cifra in parcelle legali, sostenendo che sia “meno delle tariffe standard calcolando il tempo dedicato alla causa”. L’accordo proposto interessa anche le donne che non potrebbero querelare Weinstein autonomamente perché è passato troppo tempo da quando il presunto reato è stato commesso. Una scelta inclusiva che però riduce l’ammontare dei risarcimenti per ogni donna. “Le nostre clienti hanno pensato che fosse semplicemente giusto creare uno spazio aperto a tutte le vittime di Harvey”, dice Fegan. “Senza seguire quelle oscure valutazioni introdotte da leggi maschili che non capiscono quanto tempo serve alle donne per trovare la loro voce”.
Fegan spiega che l’accordo deve essere approvato da un giudice, che poi nominerà un esperto “per dare una valutazione olistica di ogni singola richiesta”. Louise Godbold, che ha accusato Weinstein di proposte sessuali indesiderate e dirige un’organizzazione non profit che aiuta le vittime di aggressioni, commenta: “Alla fine la questione è solo quanto vale il mio seno, quanto vale la mia vagina?”.
Alcune donne hanno rinunciato alla causa collettiva di Fegan per portare avanti il proprio caso. Wigdor rappresenta Kaja Sokola, che sostiene di essere stata aggredita da Weinstein nel 2002, quando aveva 16 anni. Il procedimento è reso possibile da un prolungamento temporaneo dei termini di prescrizione per abuso di minori nello stato di New York. L’attrice Rose McGowan fa causa non solo a Weinstein ma anche alla squadra che lui ha ingaggiato per respingere le accuse, tra cui gli avvocati David Boies e Lisa Bloom e l’agenzia investigativa Black Cube: li accusa di aver messo in piedi un progetto criminale.
Ashley Judd, la prima donna a denunciare pubblicamente Weinstein, ha intentato una causa civile contro il produttore presso l’alta corte di Los Angeles. Può contare su una rara prova della ritorsione di Weinsten per aver respinto le sue proposte sessuali: Peter Jackson, il regista del Signore degli anelli, ha ammesso di non averle dato la parte perché Weinstein aveva detto che era un “incubo” lavorare con lei. Judd accusa Weinstein di averla diffamata e di aver interferito sulla sua carriera. La causa è stata sospesa in attesa del procedimento penale, e Judd ha fatto ricorso contro una sentenza secondo cui la legge sul lavoro, che contiene norme in materia di molestie sessuali, non si applicava alle relazioni produttore-attrice all’epoca dei fatti. Judd ha dichiarato che se vincerà la causa donerà l’intero risarcimento al fondo legale di Time’s Up, un’organizzazione che difende le vittime di molestie sessuali.
Foto di gruppo
Ho chiesto a Judd se secondo lei Weinstein si assumerà mai la responsabilità delle sue azioni. “Finora non ha messo in discussione il suo atteggiamento di sfida e la sua mancanza di umiltà”, ha risposto. “Sarei felice di vedere un uomo che ha aggredito delle persone ma vuole imparare e fare la cosa giusta”. Sarebbe favorevole a un percorso di giustizia riparativa, con “un mediatore, un mentore”. Weinstein è il tipo di uomo che intraprende un percorso del genere? “Per ora no”, risponde seccamente Judd.
Per decenni Weinstein era riuscito a isolare queste donne raccontandogli delle attrici famose che avevano ceduto al suo modo di fare accordi. Denunciarlo le ha unite. A dicembre del 2019 ventuno accusatrici di Weinstein si sono ritrovate a Los Angeles e a New York alla vigilia del processo per una foto di gruppo. “È essenziale, tenero e potente”, dice Judd parlando del legame tra queste donne, che si tengono in contatto via email.
È stato un legame fondamentale nei più di due anni che ci sono voluti per arrivare al processo. “Tutti vogliono che ci comportiamo come guerriere”, dice Godbold, ma lei è esausta. È così difficile restare arrabbiate. È così difficile restare concentrate. Anche questo è stato fatto di proposito. Godbold fa notare che la squadra di avvocati di Weinstein ha chiesto e ottenuto diversi rinvii, una strategia a cui potrebbe ricorrere di nuovo. “Sa che non si può proiettare il trailer di un film per due anni senza che le persone finiscano per annoiarsi”. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1341 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati