Il teatro ci manca. Manca il chiacchiericcio prima dello spettacolo, il buio della sala, la luce in fondo al palco. Manca la recitazione, lo stupore, lo sgomento. In questo tempo senza teatro mancano perfino gli spettacoli brutti. Manca tutto. E soprattutto, almeno a me, manca il turbamento. Quella sottile inquietudine che il teatro sa dare. Non sappiamo cosa succederà dopo la pandemia, ma una cosa è certa, il giorno in cui riusciremo a riguadagnare un po’ di normalità dovremmo portare i più giovani ad assaporare la magia della presenza sul palco. La mia battaglia, testo che Elio Germano ha scritto a quattro mani con Chiara Lagani e portato in giro per i teatri d’Italia, è una lettura che provoca tante emozioni. Germano è un attore poliedrico che non si limita a recitare, ma ci fa vivere le vite che lo attraversano. Unisce al talento una sincerità d’intenti che commuove e scuote. Cosa che fa anche questo testo. All’inizio c’è solo un comico con le sue battute. Ma il comico diventa un politico, un demagogo, un agitatore di folle, ci manipola. Il pubblico è chiamato in causa, ingannato, manipolato. Ci viene chiesto se siamo davvero liberi di pensare. Se lo siamo mai stati.

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati