Quando il ministro della salute tedesco Jens Spahn ha annunciato il blocco delle somministrazioni del vaccino AstraZeneca, ha aggiunto con un supplemento di enfasi: “È una decisione tecnica e non politica”. Le sue parole sono suonate un po’ come se avesse detto: “Qui mi trovo e non posso fare altro”. Eppure un istante prima aveva affermato risolutamente: “Questa decisione non l’abbiamo certo presa alla leggera”. Quindi è il caso di chiedersi: le decisioni dei politici possono mai essere non politiche?

In questa pandemia Spahn si muove su un terreno accidentato, e ultimamente ha inciampato di brutto. Ora, per di più, la campagna vaccinale sta subendo un nuovo colpo. Non sorprende, quindi, che il ministro cerchi qualcosa di solido a cui aggrapparsi. La raccomandazione dell’istituto Paul Ehrlich, l’ente tedesco che vigila sui vaccini e che si è espresso in favore della sospensione, sembra proprio quello di cui un ministro aveva bisogno per presentare una decisione come inevitabile e inattaccabile.

Le decisioni politiche, tuttavia, non smettono di esserlo solo perché sono state prese sulla base di dati scientifici. La scienza può e deve condividere le sue scoperte con i governanti. Questi ultimi, in cambio, devono capire che acquisire conoscenze significa sempre, quando sorgono dubbi, abbandonare le presunte certezze, anche se alla politica non piace molto dover rivedere le sue decisioni. Ma soprattutto, la politica deve resistere alla tentazione di usare la scienza come base del processo decisionale solo quando le conviene.

Le opinioni
Difendere la fiducia nei vaccini

◆ In controtendenza rispetto alla maggior parte dei giornali tedeschi, la Frankfurter Ründschau approva la decisione del governo di Berlino di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca: “La sicurezza viene prima di tutto. Questo principio vale per tutti i farmaci e in particolare per i vaccini, che sono somministrati a persone sane per evitare malattie. La valutazione di costi e benefici è quindi completamente diversa per un vaccino rispetto agli altri farmaci”. Secondo il quotidiano “anche il minimo sospetto che il vaccino provochi gravi effetti collaterali è sufficiente a giustificare lo stop”, e la correlazione dev’essere esclusa al di là di ogni dubbio prima di riprenderne la somministrazione, “anche se questo significa che la campagna vaccinale procederà ancora più lentamente. Quello di AstraZeneca infatti era il vaccino destinato alle masse, che l’Unione europea aveva acquistato in grandi quantità”.

Anche l’Irish Independent è convinto che la sospensione decisa dal governo di Dublino sia stata la scelta più giusta: “Le autorità irlandesi sono tenute a proteggere la salute dei cittadini e a mettere al primo posto il principio di precauzione. Inoltre hanno il dovere di tutelare la reputazione e l’integrità della campagna vaccinale. In Irlanda la fiducia nel vaccino contro il covid-19 è più forte che in altri paesi dell’Unione, ma sarebbe più facile distruggere questa fiducia che ricostruirla. Bisogna sottolineare che in questi giorni in Irlanda era prevista la vaccinazione delle persone più vulnerabili al covid-19 a causa di malattie preesistenti. Questo ha reso ancora più necessario usare la massima cautela. Alcuni saranno felici di poter approfittare di questa vicenda per rafforzare i loro argomenti contro la vaccinazione. Ma la maggior parte dei cittadini vedrà questa decisione precauzionale come un’altra prova che le autorità stanno adottando la massima prudenza. Di conseguenza dovrebbe aumentare la loro fiducia nella campagna di vaccinazione e nella possibilità che questa ci liberi presto dalle restrizioni legate alla pandemia”.


Eppure in questa pandemia è già successo più volte. In Germania il consiglio etico e la commissione permanente sulle vaccinazioni sono stati incaricati di proporre un ordine di priorità da seguire per somministrare le iniezioni ai cittadini. Il risultato è stato un elenco di sei gruppi, stilato in base a princìpi etici e modelli matematici.

Ma il ministero della salute ha prima ridotto l’elenco a quattro gruppi, e poi ha spostato il personale delle scuole elementari e degli asili dal terzo al secondo gruppo. Successivamente si è deciso di vaccinare i residenti nelle regioni di confine particolarmente colpite, anche se non appartenevano a nessuno dei gruppi a rischio, semplicemente perché abitavano in aree con un’incidenza di infezioni estremamente alta.

Saggezza o viltà

Tutte queste decisioni sono motivate, ma sono in contrasto con le raccomandazioni della comunità scientifica. La cosa non è necessariamente da condannare. In fondo, al nucleo di ogni agire politico c’è questo: la scienza ricerca la verità e la conoscenza, mentre la politica deve prendere decisioni vincolanti, soppesarle e giustificarle. Quando però il rinvio alla scienza diventa arbitrario e la responsabilità poco chiara (“sull’ordine di somministrazione dei vaccini deroghiamo, ma sulla raccomandazione del preparato di AstraZeneca no”), le cose prendono una brutta piega.

In una pandemia, non chiedere consiglio alla scienza sarebbe un’omissione grave. Ma scegliere se seguire o meno le raccomandazioni degli scienziati non è mai una decisione puramente tecnica. Affermare il contrario nuoce alla scienza perché alimenta la tesi infondata di una tecnocrazia illegittima, che non è sostenuta solo dai negazionisti del coronavirus, e nuoce anche alla credibilità della politica. Perché quella che si vuol far passare per saggezza può facilmente essere presa per viltà.◆ma

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati