Poco prima che il rapporto presentato dalla commissione indipendente dell’Onu dichiarasse che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio e l’esercito israeliano intensificasse la campagna di distruzione, è uscita questa riflessione intensa di Paola Caridi giornalista, esperta di Medio Oriente e di Hamas. Caridi parte dal problema di come sia possibile evitare di abituarsi al massacro, non distogliere lo sguardo e continuare a pensare all’enormità di ciò che avviene. Trova una risposta proponendo di visualizzare alcune immagini, in una sorta di esercizio spirituale. Si comincia dalle fotografie dei sudari di tela o di plastica in cui sono avvolti i morti nella Striscia, rendendo possibile pensare a loro cogliendone l’individualità, quindi, con una serie di passaggi, invita a ritrovare Gaza nel cretto realizzato da Burri a Gibellina, sudario steso su una città distrutta; nell’esperienza del carcere, vissuta dai palestinesi prima e dopo il 7 ottobre; nelle poesie di Darwish e nelle pitture di Caravaggio. Non si tratta di una meditazione fine a se stessa, ma di una presa di coscienza necessaria all’azione collettiva, di una premessa allo sviluppo di quella voce che ha preso corpo nell’appello “Ultimo giorno di Gaza” lanciato il 9 maggio scorso dall’autrice e da altri e nella mobilitazione con cui quindici giorni più tardi sono stati esposti sudari in tutta Italia. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati