Quali forme può prendere il dissenso quando la politica è indifferente?
In questi giorni si discute molto sul senso della Global sumud flotilla, la grande iniziativa a cui aderiscono decine di imbarcazioni che da vari porti del Mediterraneo cercheranno di attraccare a Gaza per portare provviste, acqua e medicinali e per manifestare la solidarietà internazionale alla popolazione palestinese.
È un dibattito interessante perché fa riflettere su quali possano essere le forme di una nuova partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.
C’è chi lo fa risalire alle laceranti discussioni che si svolsero a Genova nel luglio 2001, quando ci si divideva sull’opportunità di oltrepassare la linea rossa pur sapendo che la risposta delle forze dell’ordine sarebbe stata violenta. La stessa consapevolezza accompagna oggi chi attraversa il Mediterraneo.
Quando si sa che l’impresa è disperata, che gli aiuti difficilmente arriveranno a destinazione e che addirittura si rischia la vita, ha senso partire? Non c’è il pericolo di un contraccolpo che può aumentare la sfiducia e rafforzare l’idea che nessun cambiamento è possibile?
Forse, dicono alcuni, sarebbe meglio concentrarsi su obiettivi strategicamente più importanti e raggiungibili. Come fare pressione sui governi perché interrompano i rapporti commerciali con Israele o sostenere campagne di boicottaggio a cui il governo di Benjamin Netanyahu è sempre molto sensibile.
Tra i possibili argomenti all’interno del dibattito c’è anche quello di cui parlava nel 1952 lo scrittore Roger Stéphane che, ricordando la resistenza francese a cui aveva partecipato, scriveva: “Mai tante persone hanno corso consapevolmente tanti rischi per una cosa tanto piccola: il desiderio di testimoniare. Forse è assurdo, ma è con queste assurdità che abbiamo recuperato la nostra dignità di esseri umani”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati