Uno dei capitoli più gustosi del grande libro della tv riguarda le argomentazioni dei produttori per giustificare i loro programmi. Ritenendo l’ambizione economica troppo prosaica per essere sbandierata, dirigenti di reti e produzioni si avventurano in profonde analisi sociologiche, anticipando gli studiosi. Non per obblighi contrattuali, quanto per una velleità intellettuale che impone che nulla, nemmeno l’intrattenimento più leggero, possa esistere senza un presunto “contenuto”. È una tendenza recente. Nel 2000 gli olandesi conquistarono il pubblico con il Grande fratello mantenendosi nel perimetro del gioco e della parodia orwelliana, senza ergersi a scienziati dell’animo umano, ruolo che in Italia spettò a Umberto Eco, nel rispetto della separazione di poteri e competenze. Oggi invece, per una sorta di giustificazione preventiva, i comunicati stampa si trasfigurano in pamphlet. In Destination X (Nbc) i dodici concorrenti viaggiano su un autobus dai vetri oscurati, ignari della loro posizione geografica. Attraverso sfide e indizi devono individuare la collocazione e segnarla su una mappa. Chi si allontana troppo viene eliminato. Suona divertente, ma l’ufficio “implicazioni morali” ci avverte solennemente che il reality fonde disorientamento e strategie di gruppo, elevando un semplice viaggio a metafora del nostro tempo dove, tra fake news e realtà manipolate, si smarrisce il senso del destino. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati