C’è stato un tempo, alla fine degli anni novanta, in cui il movimento no global adottò l’efficace espressione “piccola patria” per indicare le comunità che praticavano forme di resistenza indigena. Un’idea insieme romantica e concreta, percepibile da diversi angoli del mondo. Con il tempo si è affievolita, ma nel mio scarno lessico politico continua a definire ogni ostinazione democratica, perfino il carattere e il temperamento di una singola persona. Nel cortile televisivo, Geppi Cucciari mi appare come una piccola patria: il piglio insorgente con cui abbassa la cresta ai ministri mettendone alla berlina la disperata assenza d’ironia, o quando stabilisce con Mattarella – umanizzandone il ruolo istituzionale – una sorta di corrispondenza di amorosi sensi, come a dirgli: anche tu sei una piccola patria. Di recente, in una puntata di Amici di Maria De Filippi, con un monologo leggero scritto insieme al suo autore Luca Bottura, Geppi ha invitato la platea di ragazzini a non voltare le spalle al prossimo referendum, a credere ancora in quell’antica idea di partecipazione. “Dite la vostra, anche solo per dimostrare che potete farlo”. Ed ecco l’imprevisto: il pubblico si è alzato in piedi applaudendo, Amadeus e Malgioglio commossi perdevano il trucco, il talent aveva trovato parole che lo sostanziassero. Un sabotaggio liberatorio in piena regola, come solo le piccole patrie, e Geppi la campesina, sanno fare. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati