Nel 1980 Pippo Baudo invitò a Domenica in Franco Battiato per presentare L’era del cinghiale bianco. Anche se aveva già inciso vari dischi, Baudo lo introdusse come un nuovo cantautore, caricando l’aggettivo con un’espressione sorniona, come a dire talmente nuovo che chi lo capisce? Baudo, straordinario nel tradurre la complessità a favore della platea generalista, va dritto al cuore di questa creatura “triste e accigliata”. Con bonario sarcasmo lo incalza sul linguaggio. “Ti prego spiegaci il significato dei tuoi testi”. Battiato parte da una premessa ragionata che Baudo interrompe con una considerazione sul naso aquilino che “pensate a una trasmissione fatta da lui e Pippo Franco”. Il pubblico ride. Battiato rimane serio. Prende forza, l’artista, e inverte i ruoli, incalzando Baudo sull’apparente ermetismo delle sue liriche: meta-analitico, non-spazialità e collage orfico. “Zichichi, siciliano come noi, mi metterebbe al rogo, perché le mie non sono teorie scientifiche ma intuizioni, e non si possono spiegare”. Pippo gli tiene testa. Ha premura di sdrammatizzare, di alleggerire la posa del musico dotto. Battiato non si sottrae, e gioca la sua parte di alieno. Un’intervista che poteva risultare antipatica si trasforma in una gag perfetta con punte memorabili, come quando Baudo chiede perché Battiato indossa un impermeabile visto che fuori è bel tempo, e lui risponde: “È instabile, e sono di passaggio”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati